Ambiente Imprenditoria

Future Respect, uniti per lo sviluppo sostenibile

Tutti insieme per lo sviluppo sostenibile è il messaggio del IV congresso nazionale Future Respect svoltosi a Roma dal 18 al 20 aprile 2024

Una tre giorni dedicata allo sviluppo sostenibile che ha coinvolto cittadini, associazioni di tutela dei consumatori, studenti delle università, istituzioni e aziende. Il congresso Future Respect promosso da ConsumerLab e realizzato da Future Respect Evoluzione sostenibile in collaborazione con Markonet è stato patrocinato dal MASE (Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica) e si è tenuto presso lo Stadio di Domiziano.

Future Respect e l’impegno aziendale
Per contrastare gli effetti del cambiamento climatico e le disuguaglianze economiche siamo tutti chiamati a riequilibrare il modo di produrre, di lavorare e di consumare. “Il Congresso ribadisce la necessità di fare sistema per creare sinergie appropriate e potenziare la produttività in un’ottica di futuro autenticamente sostenibile ed equità sociale” spiegano gli organizzatori. “Tre i binari su cui si muove con questo obiettivo: 1) valorizzare la storia d’impresa nella storia d’Italia; 2) la presentazione di WE, la “moneta invisibile che salverà il mondo”; 3) promuovere consapevolezza sulla sostenibilità stimolando la curiosità, soprattutto dei più giovani”.
Il Congresso ha un format originale: le imprese si raccontano rispondono alle domande precedentemente raccolte sui social o nella rete di ConsumerLab. Un modo più efficace di divulgare la cultura della sostenibilità, laddove i Report/Bilanci di Sostenibilità e le strategie di marketing non hanno raggiunto i risultati sperati. Le risposte alle domande dei cittadini consumatori sono state così il filo conduttore del Congresso, un congresso che, seguendo il claim “tutti insieme per lo sviluppo sostenibile” ha aperto le porte alla Generazione Z per creare interazione con le imprese pronte ad ascoltare, rispondere alle domande e indicare le esperienze più efficaci per “rispettare il futuro”.

Uno sviluppo sostenibile
Al IV congresso Future Respect hanno partecipato le imprese leader driver della sostenibilità, esempi da seguire per uno sviluppo sostenibile. Il Congresso ha rappresentato una piattaforma di lancio per una cultura della sostenibilità democratica e popolare che coinvolge prima di tutto i consumatori, che sono gli attori determinanti del “successo sostenibile”. Le imprese presenti hanno deciso di aprirsi con trasparenza alle reali istanze dei cittadini (consumatori e utenti) che cercano consapevolezza per orientarsi nel mercato. L’importante infatti è conoscere, per avere consapevolezza della reputazione, trasparenza e integrità di un’azienda: ciò che caratterizza l’impegno per lo sviluppo sostenibile. Future Respect in questo senso è stato un ponte per agevolare questa consapevolezza portando le domande dei cittadini all’Impresa, raccogliendone le risposte e implementando un archivio a disposizione di tutti: consumatori, decisori pubblici, terzo settore, concorrenti.

L’introduzione
A introdurre il congresso è stato Francesco Tamburella, coordinatore del IV Future Respect, che ha parlato delle due matrici di questo confronto tra imprese e consumatori sui temi della sostenibilità ambientale, economica e sociale. La prima matrice è quella che viene dal basso, perché si tratta di un congresso organizzato dal basso, che parte da ciò che serve al mercato: “abbiamo chiesto da un mese a chi ha domande da porre sull’argomento di inviarcele in modo che i partecipanti potessero rispondere in diretta dal palco”. La seconda è riassumibile nel “nostro primo claim: Tutti per Zero. Ovvero: dobbiamo lavorare insieme affinché tutti gli impatti ambientali siano azzerati. Dobbiamo lasciare le sale delle università e delle istituzioni ma parlare con le persone affinché vengano coscienziosamente coinvolte”. Tamburella ha spiegato con un breve esempio perché ciò dovrebbe avvenire: “guardiamo gli studenti che manifestano per l’ambiente: hanno tutti indosso abiti e accessori che impattano sull’ambiente”. Una contraddizione che si potrebbe superare se si spiegasse ai ragazzi cosa veramente impatta sull’ambiente, allontanandosi dai proclami del marketing.

La moneta WE
WE, “la moneta invisibile che salverà il mondo”, è stata presentata durante l’evento. Si tratta di una moneta virtuale e virtuosa che serve a calcolare il reale costo di un prodotto. Ogni prodotto o servizio che acquistiamo ha un prezzo industriale e commerciale: in realtà non contiene tutti i costi che rimangono a carico dell’ambiente e della società e che saremo costretti a pagare in futuro.
Si tratta di un costo economico nascosto: danni collaterali, vizi occulti, rischi non calcolati, esternalità. Il futuro di tutti dipende invece proprio dalla valutazione costante delle esternalità. La WE (Weight of Enternality) è la moneta invisibile che serve a dare conto di questi costi. Calcola “quanto pesa quel prodotto sulle nostre spalle, perché noi paghiamo in realtà dei costi superiori” continua Tamburella. “È una moneta immaginaria ma un calcolo reale dei costi effettivi, compresi quelli ambientali”. Più è alto il valore della WE, più il prodotto-servizio cui si riferisce, messo a confronto con altri simili, non va acquistato.

Aziende e università per la sostenibilità
Il prorettore dell’Università Sapienza, Livio De Santoli, ha detto chiaramente: “Tutti vogliono interpretare la sostenibilità ma nessuno sa esattamente cosa significhi. Per esempio gli ESG [le tre aree principali della sostenibilità: Environmental – ambiente, Social – società, Governance, i criteri che le aziende dovrebbero rispettare per essere considerate sostenibili, ndr] sono basati su un modello datato, obsoleto, che non dà giusta evidenza a ciò che effettivamente dovremmo fare. Il confronto tra fonte fossile e rinnovabile è sempre stato falsato, perché non ci sono tutti i costi, come quelli relativi alla salute, alla sicurezza, all’impatto ambientale. Acquisire questa consapevolezza è il primo passo da fare”. De Santoli ha sottolineato che l’Università può anche inserirsi in questo processo da un punto di vista particolare: “le imprese entrano in contatto con le università finanziando ricerche, pubblicazioni, corsi di laurea. Ma gli atenei dovrebbero chiedersi se tali aziende hanno realmente iniziato il processo di decarbonizzazione o hanno eliminato le operazioni di green washing. Su questo Sapienza Università di Roma ha già iniziato a lavorare ma è un caso raro nel mondo accademico. Eppure è necessario capire chi è virtuoso e chi non lo è anche per poter capire chi può migliorare”.

La reputazione d’impresa
L’heritage d’Impresa è la base su cui poggia la sua reputazione, solida se ha radici in una storia di lavoro senza macchie, coerente con l’interesse generale, attenta all’equità e alla coesione sociale, nel rispetto del bene comune e di una condotta verificabile. Proprio in quest’ottica il BiblHuB di Università Sapienza, presso il Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale, raccoglie le monografie istituzionali delle attività produttive che concorrono alla storia dello sviluppo economico del Made in Italy. Un servizio pubblico, dal momento che si tratta di una biblioteca che raccoglie, conserva, studia e valorizza la “letteratura d’impresa” rendendola disponibile per la consultazione pubblica.

Erano presenti all’evento per portare la propria testimonianza Giovina Di Cecco (Responsabilità sociale d’impresa e Sviluppo sostenibile della De Cecco) – che ha sottolineato come lo sviluppo sostenibile sia importante per le imprese “perché crescere è il dovere principale di ogni impresa ma deve essere una crescita sostenibile, anche per i dipendenti e per il territorio dove ha sede” – e la prof. Valentina Martino (responsabile scientifica BiblHub Sapienza), che ha parlato di questa biblioteca innovativa. “BiblHub è una biblioteca d’impresa, dedicata alle imprese italiane che hanno donato libri e pubblicazioni aziendali. Si tratta di un progetto culturale e scientifico perché nella sala rossa del dipartimento di comunicazione e ricerca sociale questa letteratura aziendale è resa disponibile alla consultazione per produrre un nuovo sapere scientifico che come università siamo interessati a valorizzare”.

I commercialisti per lo sviluppo sostenibile
Michele De Tavonatti, vicepresidente del Consiglio nazionale dei Commercialisti ed esperti contabili, ha evidenziato un fatto: “le imprese stanno passando dalla pura massimizzazione del profitto alla sostenibilità. Si tratta di un passaggio che però non deve significare una remissione per l’azienda, in quanto il profitto deve continuare ad esserci. Non ci si può però limitare a riassumerlo in ESG o in bilanci di sostenibilità”. Il ruolo del commercialista per le micro e piccole e medie imprese soprattutto, in questo passaggio sarà essenziale ma di supporto, “perché il commercialista interviene solo dopo che il board ha preso delle decisioni. Anche il bilancio di sostenibilità interviene dopo, quindi la sostenibilità non passa per questi documenti ma per le decisioni prese antecedentemente. Il bilancio serve a documentare quali sono state queste decisioni in merito alla sostenibilità. È un rapporto successivo, che arriva quando tutto è già successo”.

I giovani e lo sviluppo sostenibile
“I giovani sono attenti all’ambiente anche perché fra 60 anni potrebbero vivere l’estinzione dell’homo sapiens.” Così ha esordito Alfonso Pecoraro Scanio, presidente della Fondazione UniVerde e già Ministro dell’ambiente nonché delle politiche agricole. “L’umanità rischi l’estinzione. Lo dice anche il segretario generale dell’Onu. Gli ultimi mesi sono i più caldi da 100.000 anni ma nel nostro Paese vogliamo stare a posto solo con le carte. È così per l’ambiente, è così per il lavoro – altrimenti non ci sarebbero tante morti bianche”.

 

La mobilità sostenibile. Il parere delle associazioni dei consumatori
Durante il congresso c’è stato un incontro con i rappresentanti di alcune delle principali associazioni di tutela dei consumatori che ha riguardato la mobilità sostenibile. Vi sono intervenuti Mauro Vergari dell’Adiconsum, Laura Pulcini dell’Adoc e Michele Carruso di Federconsumatori. Quando si parla di sviluppo sostenibile infatti non si può non parlare del processo di decarbonizzazione in atto, della causa dell’innalzamento delle temperature globali, dell’inquinamento atmosferico causato dalle emissioni di Co2. La mobilità è la maggiore fonte di inquinamento, i trasporti sono l’unico settore in cui le emissioni di gas serra sono aumentate negli ultimi tre decenni (del 33,5% dal 1990 al 2019) e proprio in questa occasione è stata presentata la ricerca “Dalla mobilità elettrica alla mobilità sostenibile” i cui risultati sono stati discussi dai tre rappresentanti delle associazioni consumeristiche.

Adoc
Laura Pulcini ha esordito dicendo che la mobilità è un bisogno sociale, soprattutto al giorno d’oggi, perché il lavoro è cambiato, le famiglie sono diffuse, la socialità stessa è cambiata. Ma per evitare gli effetti di questa mobilità, molto superiore rispetto ai tempi passati, bisogna ricorrere a quella sostenibile. Parlando di auto elettriche, Pulcini ha detto “oggi più della metà della popolazione non ha informazioni sufficienti sulla mobilità elettrica. Le informazioni dei produttori non sono chiare, trasparenti, non ci viene detto quali sono i pro e quali i contro eppure la comunicazione al riguardo viene lasciata in toto nelle mani dei costruttori. Se continuiamo di questo passo, con 40 milioni di macchine sulle strade, non raggiungeremo l’obiettivo prefissato al 2050. Un’alternativa al trasporto delle merci ad esempio potrebbero essere le ferrovie, così svuoteremmo le autostrade dai Tir. Purtroppo il consumatore non è consapevole di quanto inquina e le istituzioni sono assenti, non fanno alcuna campagna informativa al riguardo”.

Adiconsum
Mauro Vergari è un esperto utilizzatore di auto elettriche da oltre 9 anni ed ha anche scritto delle guide in materia. Nel suo intervento ha sottolineato che “parliamo dappertutto di sostenibilità senza saperne nulla. Addirittura molti cercano di trasformare le motivazioni della transizione – che sono emergenziali – in qualcosa di negativo. E mentre i giovani fanno semplicemente ‘gli ambientalisti’, chi non porta l’auto elettrica dice ‘capisco che bisogna fare qualcosa per l’ambiente, ma lo facciano gli altri’. E le aziende pensano al profitto. Che va bene ma se contemporaneamente si pensa al bene comune, bisogna chiedersi se il proprio operato danneggia gli altri o no. Agire verso una sostenibilità che cambi i comportamenti”. Secondo Vergari il costo ancora alto delle auto elettriche è un fattore positivo: “ben venga, perché così le auto vengono acquistate solo da chi ne ha veramente necessità”. E il rappresentante dell’Adiconsum ha continuato rispondendo alle critiche che i consumatori intervistati per la ricerca fanno all’elettrificazione delle auto: “poca autonomia? Guardate sulle centinaia di gruppi di automobilisti elettrici se mai qualcuno si è lamentato dell’autonomia, se mai qualcuno è rimasto a piedi. Nessuno mai. Oggi le auto elettriche hanno un’autonomia di 380 chilometri in media, ossia da un minimo di 240 chilometri a un massimo di 800 chilometri mentre quelle a metano – delle quali nessuno ha mai lamentato la poca autonomia – hanno un’autonomia di soli 200 chilometri. E vorrei anche capire: se una persona fa in media solo 2 viaggi l’anno in cui supera un tragitto di 500 chilometri, mentre tutti i giorni ne fa solo 20, dove sarebbe il problema?” Vergari ha aggiunto che anche i costi per la componentistica sono inferiori rispetto a quelli delle auto “tradizionali”. Si spende un terzo, i freni non si usurano, non occorre olio, non ci sono filtri da cambiare. E per quanto riguarda la ricarica: oggi chi ha un box può semplicemente attaccare la spina, come fa con lo smartphone. Infine Vergari ha smentito l’ultima bufala: “non è vero che le auto elettriche prendono fuoco. Lo fanno molto meno di quelle a benzina. E vi invito ad andare sul sito dell’Adiconsuma, nella sezione auto elettriche, per approfondire questi argomenti.”

Federconsumatori
Il presidente di Federconsumatori, Michele Carrus, ha ampliato il discorso: “le emissioni climalteranti sono legate al traffico stradale: gli autoveicoli sono responsabili di più del 60% delle emissioni. Abbiamo delle alternative: usare i biocombustibili, l’idrogeno, l’elettrificazione. In sede europea è stata scelta l’elettrificazione perché i biocarburanti da materia vegetale potevano far entrare in competizione il settore agricolo [che per ottenere redditi superiori poteva cambiare destinazione alle proprie produzioni sottraendole alla necessità primaria del cibo, ndr] mentre la produzione di idrogeno è molto costosa e nel mondo ci sono solo 126 distributori (in Italia solo uno a Bolzano). Oggi la rete di colonnine di ricarica si sta ampliando ma resta ancora un nodo critico”. Le altre criticità sulle quali occorre lavorare sono elencate da Carrus: “per le batterie si usano ioni di litio e il cobalto, minerali critici, ma fortunatamente la ricerca è andata avanti e oggi ci sono prototipi di batterie che utilizzano zolfo, selenio o altri materiali che hanno un minor impatto. Un’altra criticità è rappresentata dal fatto che nel 2030 avremo un parco di 6,5 milioni di auto elettriche in circolazione in Italia e quindi bisogna incrementare la rete di distribuzione di energia di almeno altri 50 gigawatt di potenza installata. Per questo va spinta ancora di più la produzione di energia da fonti rinnovabili, altrimenti sarebbe tutto inutile”. E anche Federconsumatori concorda con l’analisi di Adoc: “l’86% del traffico merci è su ruota: va spostato su ferro, che oggi è fermo al 4,5%. E usare per i camion i biocombustibili, anche se si pensa all’elettrificazione dei camion, bisogna considerare che le batterie peserebbero troppo quindi la UE ha deciso che nel 2050 tutti i camion dovranno usare i biocombustibili”.

In occasione del Future Respect, parlando di sviluppo sostenibile, sono state presentate le due ricerche: “Dalla mobilità elettrica alla mobilità sostenibile” Ricerca Dalla mobilità elettrica alla mobilità sostenibile e “Future Ability” Report Future Ability lo stile di vita sostenibile alla prova dei fatti.

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