Il lavoro femminile nel mondo. Osservatorio internazionale sul gender gap
Lo studio del World Economic Forum misura le differenze di impiego nel privato tra uomini e donne di tutte le nazioni. All’Italia la bandiera nera del Paese che effettua maggiori discriminazioni sessuali sulle retribuzioni
Il WEF è un’organizzazione internazionale indipendente, autonoma, che non offre alcuna possibilità da parte di un singolo Stato di interferire con i risultati delle sue indagini. La sua base è a Ginevra, in Svizzera. Si tratta di una fondazione che viene interpellata dalle varie nazioni del globo per delle inchieste a livello economico internazionale. Non ha interessi politici né economici essendo una realtà No Profit e lavora spesso in collaborazione con altri enti riconosciuti che hanno le stesse finalità: imparzialità, apoliticità, nessun fine di lucro, nessun interesse di parte, nessun “tifo” per una nazione o per l’altra.
Il World Economic Forum ha come indagine suprema quella sulla competitività delle nazioni ed è ai suoi report che le istituzioni internazionali fanno spesso riferimento per valutare le politiche economiche da realizzare sui propri territori. Ebbene, per valutare il livello di competitività il WEF stesso utilizza come indicatore fondamentale il talento delle persone impegnate nei vari business, ovvero dei lavoratori: la loro competenza, la loro capacità produttiva e manageriale, la loro professionalità, il loro livello di istruzione.
Nella prefazione a questo rapporto (Corporate Gender Gap 2010), l’executive chairman del WEF, Klaus Schwab, scrive che le donne costituiscono una parte importantissima nella forza lavoro delle nazioni e in molte nazioni del mondo sviluppato oggigiorno più della metà delle sono laureate ma nella maggior parte delle economie emergenti l’istruzione superiore è ancora loro preclusa.
Questo significa che il lavoro delle donne sarà ben diverso da quello maschile già dalla base di partenza. E che la competitività di queste nazioni non sarà mai adeguata a sostenere il confronto internazionale.
Sono le donne infatti a costituire l’asso nella manica delle nazioni più evolute. Il loro talento è una risorsa insostituibile utile a massimizzare il livello di competitività del proprio Paese.
Sono i governi però a dover intervenire per superare il gender gap (differenze di genere): lo sviluppo potenziale di un Paese infatti dipende da questo.
Far partecipare le donne nei processi decisionali, sia politici che economici, è uno dei modi per uscire dalla crisi che ha colpito l’economia globale. Ed è indispensabile che i governi provvedano a realizzare politiche che portino le donne ad avere la stessa sostanziale e non semplicemente formale parità di diritti rispetto agli uomini che consiste nell’assumere le stesse responsabilità ed avere le stesse opportunità. Per far questo essi devono provvedere a creare i presupposti innanzitutto pensando alla maternità e alla cura dei figli: queste ultime non devono rappresentare un ostacolo per l’occupazione e la carriera femminile.
Il livello di competitività economica di un Paese dipende da come esso utilizza i propri talenti femminili. Per questa ragione il World Economic Forum realizza il rapporto – l’ultimo è relativo al 2010 – sul lavoro femminile nel mondo. E Klaus Schwab afferma che è di primaria importanza per le imprese creare un ecosistema in cui i migliori talenti – sia femminili che maschili – possano fiorire. Insieme, e non l’uno contro l’altra.
Il Global Gender Gap Index (indice globale della differenza di genere) utilizzato dal World Economic Forum serve ad analizzare il livello di disparità di genere nei campi dell’istruzione, della politica, dell’economia, del benessere. Esso è stato creato nel 2006 per aiutare le imprese a chiudere il gap di genere.
Attraverso questo indice si studia l’integrazione femminile nei livelli occupazionali delle imprese di oltre 20 nazioni e di 16 grandi industrie che stanno implementando politiche ad hoc per rimuovere gli ostacoli alla parità di genere.
Nel 2008 il WEF ha avviato gli studi di parità di genere anche in altri Paesi: dall’America Latina all’Africa all’Asia, identificando i problemi femminili relativi a ciascuna area geografica analizzata.
Il rapporto redatto dagli esperti: Saadia Zahidi, Tessema Tesfachew, Yasmina Bekhouche, Marc Cuénod, Eimear Farrell, Herminia Ibarra and Marina Niforos è uno strumento utile alle aziende e ai governi per rimuovere le barriere che trattengono le donne dall’entrare ed avanzare nel mondo del lavoro.
Il rapporto sulle differenze di genere relativo all’anno 2009 mostrava come in 134 nazioni di tutto il mondo la differenze di genere per quanto riguardava l’accesso allo studio e alle cure mediche fosse ormai quasi chiuso: rispettivamente per il 93% e per il 96%. Ma il problema persisteva invece per quanto riguardava il coinvolgimento nella politica e nell’economia, dove le donne prendono parte appena per il 60% nelle imprese e addirittura solo per il 17% nei ruoli politici.
Un ben misero risultato per l’andamento economico internazionale, dal momento che il rapporto tra l’uguaglianza di genere e il grado di sviluppo di un Paese vanno di pari passo.
Il rapporto 2010 è stato realizzato sulla base di interviste a gruppi selezionati di lavoratori di oltre 3 mila aziende appartenenti a 20 delle maggiori economie mondiali. Sono stati coinvolti 34 Paesi in tutto, scegliendo circa 100 imprese a nazione. Tra queste ci sono aziende appartenenti alle seguenti nazioni: Austria, Belgio, Brasile, Canada, Repubblica Ceca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, India, Italia, Giappone, Messico, Olanda, Norvegia, Spagna, Svizzera, Turchia, Gran Bretagna e Stati Uniti.
Dal rapporto emerge in quali settori le donne sono maggiormente impiegate:
Anzitutto è evidente che in nessun settore le donne superano il 60%. Il settore in cui le donne sono maggiormente utilizzate è quello finanziario-assicurativo. Segue quello dei servizi professionali e ancora dopo quello del turismo. Sono invece sottoutilizzate nei settori dei trasporti, delle costruzioni e dell’energia, in agricoltura e nelle miniere. Se alcuni di questi settori sono fisicamente forse più adatti agli uomini, sorprende però che le donne vengano poco impiegate in settori come quello chimico, della telefonia e addirittura del tessile.
Le differenze di pagamento
A non effettuare pagamenti differenziati a seconda del genere sessuale sono solo il 54% delle imprese intervistate.
Il 15% delle aziende intervistate applicano paghe differenti se si è un uomo o una donna e non si pongono problemi al riguardo; il 13% pur applicando paghe differenti sta tentando di apportare dei cambiamenti che correggano questa scorrettezza. Il 18% delle aziende dichiara di non sapere se ci sono differenze di genere.
Quasi nessuna delle aziende monitora la situazione della disparità retributiva
E chi è ad avere le maggiori disparità di retribuzione in base al sesso? Di tutti i Paesi intervistati questa bandiera nera appartiene proprio al nostro. L’Italia ha il massimo valore negativo per quanto riguarda la disparità di trattamento economico tra uomini e donne senza che le aziende intervengano con politiche ad hoc per sanare la situazione.
Francia, USA e Finlandia, pur applicando disparità di trattamento hanno il maggior numero di aziende che stanno approntando dei programmi di equità di retribuzione fra uomini e donne.
Sono invece il Giappone, l’India e la Grecia a non fare differenze nel pagamento dei lavoratori donne o uomini che siano.
L’Italia
Il nostro Paese in generale ha un indice di 72 (su base 134) il che significa che in un arco che va da zero a 1 in cui 1 è la parità tra uomo e donna e zero la totale disuguaglianza, l’Italia ha 0,68 insomma l’ago della bilancia ha superato la metà ed ora è più dalla parte della parità, anche se di strada ce n’è ancora da fare.
Ma scendiamo nel dettaglio: come si comportano le aziende italiane nei confronti delle donne?
Ottimamente per quanto riguarda il livello formativo: a donne e uomini è data esattamente la stessa opportunità di accesso agli studi superiori. Il punteggio raggiunto dall’Italia qui è uguale a 1, cioè il massimo.
Per quanto riguarda le possibilità di cura della salute il punteggio è altissimo ma non è il massimo: 0,97. Questo significa che in Italia non c’è ancora una percezione di totale uguaglianza di trattamento sanitario tra uomini e donne.
C’è invece un livello di pari opportunità maggiore del previsto per quanto riguarda l’accesso alle professioni prettamente tecniche: il punteggio è di 0,88, dunque molto alto.
La faccenda si complica però per quanto riguarda l’accesso al lavoro in generale. Le donne non hanno pari opportunità di accesso, e i dati del rapporto indicano che il punteggio è dello 0,7 in una situazione così importante come la possibilità di lavorare non è certo un buon risultato.
Per quanto riguarda le opportunità di partecipare alla situazione economica del Paese, con posizioni di vertice, il punteggio cala ulteriormente arrivando a 0,59 e causando, insieme ad altri motivi, per questa ragione all’Italia un livello ancora basso nella classifica internazionale dei Paesi competitivi a livello economico.
La situazione diventa critica nel momento in cui il rapporto affronta le questioni relative all’avanzamento di carriera. Bloccata nella metà dei casi e in particolare per quanto concerne i ruoli manageriali (che non sono neanche tanto alti).
Ma c’è addirittura da vergognarsi per quanto riguarda il coinvolgimento delle donne nella politica. Qui il punteggio è addirittura vicino allo zero, quello della totale disuguaglianza di accesso. Un punteggio di 0,16 significa che alle donne non è praticamente permesso di fare politica, che non vengono considerate affatto in questo senso. E d’altronde la realtà ce lo dimostra ad ogni tornata elettorale.
Intervistati sulle assunzioni femminili, i soggetti dell’inchiesta hanno risposto NO nella stragrande maggioranza dei casi a questa domanda: la tua azienda attua delle politiche per aumentare il numero delle donne con mansioni direttive o per la loro carriera?
Stessa drammatica risposta alla domanda se l’azienda offre alle donne la possibilità di riprendere il proprio posto di lavoro una volta lasciatolo per seguire la crescita dei figli.
Per terminare vediamo come sono rappresentate, in base ai risultati del rapporto, le donne nel mondo del business. Hanno ruoli importanti? Viene loro permesso di fare carriera?
Come vediamo man mano che si va alla destra del grafico ci sono le posizioni più importanti. Non c’è bisogno di far notare che l’impiego delle donne è inversamente proporzionale al livello di carriera.
Con questo non crediamo ci sia bisogno di aggiungere altro, se non che forse occorre che i nostri decisori politici e i vertici delle nostre aziende comprendano che se l’Italia continua ad essere ritenuta un Paese in crisi, gran parte della colpa sta in questa differenza di trattamento tra uomini e donne e nel non dare alle donne la possibilità di far valere le loro potenzialità. Ma comprendere questo sarà possibile se i vertici delle nostre aziende e i nostri decisori politici – ahinoi – non sono donne?