Conciliazione tra lavoro e famiglia
Lavorare e prendersi cura dei propri figli o di familiari anziani, malati o con problemi di disabilità. In Italia sono oltre 15 milioni le persone che lo fanno e sono per la maggior parte donne. Lo rivela l’Istat, diffondendo i dati del rapporto sulla conciliazione dei tempi di lavoro con quelli dedicati alla famiglia
Una connessione fondamentale, per l’occupazione femminile, è quella tra la possibilità di ottenere un contratto di lavoro e quella di prendersi cura della propria famiglia. Come denunciato in altri nostri articoli, molte donne non riescono a lavorare proprio a causa dell’impossibilità di conciliare le due attività. Ora i dati diffusi dall’Istat confermano tale stato di fatto.
Si tratta probabilmente di una questione culturale – che occorre modificare – ma i dati sono significativi: in Italia nel 2010 il 38,4% della popolazione italiana ha dichiarato di prendersi regolarmente di figli coabitanti minori di 15 anni, di adulti malati, di disabili o di anziani bisognosi di assistenza e a farlo è il 42,3% delle donne italiane, contro il 34,5% degli uomini. Ed è per questo che risulta più bassa la loro partecipazione al mercato del lavoro: se i padri occupati sono infatti più del 90%, le madri occupate sono solo il 55%. Non solo: quando si tratta di prendere un permesso dal lavoro – in particolare il congedo parentale, che spetta sia agli uomini che alle donne, a utilizzarlo sono quasi sempre queste ultime: esattamente una donna su due, mentre i papà che lo utilizzano sono appena 6 su 100.
Secondo le rilevazioni dell’Istat, in Italia il 27,7% della popolazione in età, ha figli coabitanti minori di 15 anni e l’8,4% assiste parenti anziani. Quasi 3,5 milioni di lavoratori vorrebbero cambiare la propria situazione: modificare il tempo dedicato al lavoro e alla cura parentale. Solitamente le donne preferirebbero lavorare e guadagnare. Sono oltre 1 milione le persone non occupate perché costrette a prendersi cura dei familiari che sarebbero disposte a lavorare, se riuscissero a ridurre il tempo impegnato nell’assistenza e nell’accudimento di bimbi, malati e anziani. L’ostacolo principale che devono superare tali persone è la mancanza di supporto nelle attività di cura: 204 mila donne hanno trovato un lavoro part time proprio a causa di questo problema, ma vorrebbero lavorare a tempo pieno; 489 mila donne non occupate vorrebbero lavorare ma non possono farlo sempre a causa dello stesso problema. Inoltre, 702 mila donne lavoratrici con figli di meno di 8 anni, sono state costrette ad interrompere la propria attività lavorativa per almeno un mese dopo la nascita di un figlio: si tratta del 37,5% delle madri occupate. Quasi nessun padre invece ha interrotto la propria attività lavorativa per occuparsi di un figlio.
Quando parliamo di “prendersi cura” intendiamo un vasto tipo di attività: nei confronti dei bambini, ad esempio, l’Istat ha compreso le cure personali, come l’aiuto nel lavarsi, vestirsi, mangiare, ecc., ma anche l’accompagnamento a scuola, il supporto nel “fare i compiti”, l’attività di sorveglianza nonché il gioco o la lettura di favole. Nei confronti degli adulti, le attività di cura considerate dall’Istat sono state: le prestazioni sanitarie (medicazioni, iniezioni, ecc.), l’accudimento e l’assistenza (come per i bambini: l’aiuto nel lavarsi, nel vestirsi, nel mangiare, ecc.) ma anche l’aiuto nelle attività domestiche – come lavare, stirare, fare la spesa, cucinare, rassettare, ecc. – il fare compagnia o l’accompagnare in vari luoghi le persone bisognose di assistenza o anziane.
Non vengono considerate attività di cura il sostegno economico o quello svolto in quanto volontari appartenenti ad associazioni o organizzazioni assistenziali. Inoltre, per essere considerate tali, le attività di cura devono svolgersi in modo costante e continuato nel tempo.
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In Italia essere madre è da sempre associato a una minore presenza femminile sul mercato del lavoro: basti pensare che le madri di età compresa tra i 25 e i 54 anni con figli coabitanti di meno di 15 anni, le donne occupate sono il 55%, mentre le donne senza figli lavorano sono il 62%. Gli uomini invece, pur essendo padri, lavorano in oltre il 90% dei casi.
A confermare il fatto che si tratta di un fattore culturale, concorre la relazione esistente con la località di appartenenza della famiglia: nel Mezzogiorno, la partecipazione femminile al mercato del lavoro è inferiore e la responsabilità di cura dei figli ricade completamente sulle spalle delle donne: si consideri che solo il 34% delle madri che vivono al Sud o nelle Isole è occupato, mentre se si vive al Nord sono occupate il doppio delle madri (68,8%).
Un’altra conferma ci viene dal fatto che le donne con titolo di studio universitario partecipano al mercato del lavoro di più rispetto a quelle che detengono un basso titolo di studio.
Anche la cura degli anziani, degli adulti malati o disabili, ricade sulle spalle delle donne e non permette loro di accedere al mercato del lavoro.
Lo scontento riguardo ai tempi di lavoro e di cura parentale è generale: 3,5 milioni di italiani vorrebbero o trascorrere più tempo con i propri figli o lavorare di più. Solitamente vorrebbero lavorare di più le donne del Meridione e vorrebbero stare di più con la famiglia quelle del Settentrione. Il tipo di lavoro è comunque significativo per questo tipo di rilevazione: si scopre così, ad esempio, che le lavoratrici autonome riescono a trovare un equilibrio soddisfacente. Ma si scopre anche che i meno soddisfatti si trovano tra i dirigenti e gli imprenditori, il 43% circa dei quali – sia maschi che femmine – vorrebbero destinare più tempo alla famiglia. Gli operai, invece, vorrebbero – in particolare se donne – lavorare e guadagnare di più.
Per quanto riguarda gli orari di lavoro, il 40% delle lavoratrici a tempo pieno vorrebbe dare più spazio alla cura dei propri figli, mentre il 70% delle lavoratrici part-time è soddisfatto dell’organizzazione della propria giornata. Nonostante sia un buon numero, non bisogna sottovalutare il 31% delle donne (oltre 438 mila) occupate con contratto part-time che invece vorrebbe averne uno a tempo pieno ma non può per via del carico familiare troppo pesante.
Infine, non dimentichiamo gli inattivi: si tratta di persone disoccupate che non cercano lavoro e non lo fanno proprio perché impossibilitate dalle responsabilità di cura nei confronti di altri individui. Si tratta di più di un milione di persone che sarebbero ben liete di lavorare fuori casa e di ridurre il tempo dedicato ai familiari. Ad impedire la conciliazione dei tempi di vita con quelli di lavoro sono soprattutto i figli e meno gli anziani e i malati. Sono soprattutto le Regioni del Sud Italia a spiccare per gli alti livelli sia di inattività che di disoccupazione dovuti ai carichi familiari. In particolare, sono i giovani a risentire di più di tale situazione: per le persone di età compresa tra i 35 e i 44 anni infatti, la situazione in cui versano è tale da non consentire di entrare nel mercato del lavoro: il lavoro di cura è troppo oneroso e lo impedisce completamente.
Per tutte queste persone sarebbe di enorme aiuto la presenza di strutture adeguate che possano prendersi cura al loro posto di familiari bisognosi di assistenza. Purtroppo l’indisponibilità di tali servizi sul territorio impedisce a tutti costoro di lavorare (tra l’altro realizzare strutture simili darebbe anche opportunità di lavorare e guadagnare a molte persone). Ma un ostacolo ancora maggiore è quello degli alti costi di tali strutture ove esistenti.
L’orario flessibile è una delle politiche che viene attuata già da alcuni anni per permettere soprattutto alle donne di accedere al mondo del lavoro. In realtà solo un terzo delle donne con lavoro dipendente ha tale orario – per la maggior parte nelle zone del Centro e del Nord Italia – e, tra l’altro, in una stessa realtà aziendale la flessibilità dipende dal ruolo ricoperto: sono i dirigenti ad avere un orario flessibile.
Per quanto riguarda il settore di attività, gli orari flessibili si ritrovano soprattutto nel settore dell’intermediazione finanziaria e nella Pubblica Amministrazione. A seguire ci sono il settore dei servizi alle imprese, quello industriale, quello del commercio e quello della sanità.
E, nonostante siano le donne ad essere più coinvolte negli impegni di cura, esse non hanno una maggiore probabilità di seguire un orario flessibile rispetto agli uomini.
Ben 4 donne ogni 10 devono interrompere il proprio lavoro per prendersi cura dei figli. 702 mila madri occupate hanno dichiarato di aver dovuto sospendere per oltre un mese la propria attività lavorativa dopo la nascita di un figlio (e non per congedo di maternità), cosa che fanno solo l’1,8% degli occupati uomini con figli piccoli (le donne invece lo fanno nel 40% dei casi).