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La Politica dal basso. Ricerca Censis

la politica dal basso

La Politica dal basso. Ricerca Censis

Il Censis ha presentato la ricerca effettuata riguardante le idee e le proposte politiche presentate “dal basso” (dalla cittadinanza) nella recente campagna elettorale, dalla quale emerge uno schema di Governo a 5 assi

La competizione elettorale da poco terminata ha fatto emergere le vere esigenze e le attese da parte delle imprese e delle associazioni di cittadini. Si tratta di precise richieste di azioni politiche e normative al Parlamento appena insediato.

Nel presentare la ricerca, il Censis stesso afferma che “misurare la distanza tra offerta pubblica e domanda diventa un esercizio utile a dare maggiore luce alle prospettive di formazione e di funzionamento del governo e delle azioni di governance della società e dell’economia nelle prossime settimane e mesi”. Per questa ragione il Centro di ricerche sociali ha raccolto e analizzato 81 «lettere al governo che verrà», pubblicate in rete nei giorni precedenti le ultime elezioni politiche, e ha selezionato le proposte sostenibili con il quadro attuale della finanza pubblica.

Questi primi 81 documenti (poiché altri se ne potranno aggiungere) vanno dal manifesto programmatico all’appello, dal decalogo delle priorità alla proposta di Governo. Raccolti insieme, costituirebbero un volume di 433 pagine.
Analizzati, questi documenti indicano 5 direzioni di marcia che interessano particolarmente i cittadini, ovvero:

  • 1) La revisione del sistema del Welfare
  • 2) Il ripensamento degli assetti del territorio
  • 3) La composizione razionale dei processi imprenditoriali
  • 4) La copertura di nuovi sottoinsiemi economici
  • 5) La valorizzazione della macchina burocratica pubblica

Il Censis ha scelto 10 proposte presentate per ciascuna di queste direzioni di marcia che la politica del nuovo Parlamento dovrebbe prendere. Tali indicazioni rappresentano in sintesi il programma di governo richiesto “dal basso” (dal popolo), ma rappresentano anche una richiesta di attenzione alle piccole componenti del funzionamento dell’economia e della società reali.
In poche parole, i cittadini vogliono che venga semplificato il dibattito sui temi pubblici, portandolo alle questioni basilari quotidiane, e una maggiore capacità di comprensione e messa fuoco dei reali problemi della gente.

Tra le segnalazioni che partono dal popolo ci sono questo tipo di richieste che prevedono l’allontanamento dalle seguenti situazioni:
– azioni  di  governo  che  traggono  contenuto  e  legittimità  da  vincoli esterni (i mercati, l’Europa, il fiscal compact, il patto di stabilità, ecc.) ma non hanno alcuna cultura, forse neppure conoscenza,  di come è fatta e come funziona la nostra società;
–  conflitti originati dall’alto (conseguenti cioè alle manovre correttive necessarie per contrastare  le crisi  finanziarie);
–  un  linguaggio  sempre  meno  incisivo,  quasi  inconsistente,  dove anche  le  sue  componenti  tradizionalmente  più  solide  (i  numeri  e  le cifre) perdono di significato e di profondità di traccia.

Le richieste della piazza mettono in mostra anche una paura del futuro da parte della cittadinanza dovuta alla consapevolezza di un allontanamento dalle questioni reali e una scarsità di vigore da parte di chi fa politica. Di conseguenza, i cittadini vorrebbero che la società fosse compresa appieno dai governanti, i quali dovrebbero iniziare anche ad esprimersi con un linguaggio più diretto e facilmente comprensibile.

I temi emersi dall’analisi del Censis non nascono dall’alto (da filosofie  economiche, da ideologie,  da  trattati  e  vincoli  internazionali),  ma  nascono  dalla  realtà effettiva del Paese, quella che da qualche tempo sembra non trattata, non capita e neppure  intuita da chi ha governato. 
I temi che in questa luce vanno approfonditi sono – come riportato dal Censis:
–  la  revisione  del  welfare,  in  modo  che non  sia  puramente  un problema  di  natura  finanziaria  e  di  necessitato  impoverimento  degli strumenti di  intervento e, di conseguenza, della copertura dei bisogni di sempre più ampie fasce di popolazione;
–  la  revisione  degli  assetti  del  territorio,  assetti  che  per  dieci  anni  si sono persi dietro la fallimentare aspirazione politica al decentramento e al federalismo e che vanno ricollegati alla dinamica spontanea (con anche  i  relativi  problemi)  dei  grandi  processi  di  comportamento
collettivo:  l’evoluzione  dei  localismi  produttivi; la  vitalità  della  rete delle  città  intermedie;  il  crescere  di  funzioni  e  responsabilità  delle grandi metropoli;  il mantenimento  “in  linea  di  volo”  dell’esperienza dei borghi (oggi minacciata più dall’Imu sulle seconde case che dalla
globalizzazione);
–  il  collegamento  della  miriade  di  iniziative  imprenditoriali  (piccole, medie  e  grandi,  senza  distinzione)  in  una  logica  nuova  di  filiere settoriali.  Occorre  sganciarsi  dalle  “fissazioni”  banalmente dimensionali  e  territoriali  (il  rimpianto  per  la  grande  impresa,  la colpevolizzazione delle piccole, la stagione dei distretti) e giuocare sul ritrovarsi dei comportamenti di  impresa sulle  logiche che permettono la  loro  verticale  partecipazione  ai  processi  di  internazionalizzazione
(non solo contratti di rete per piccoli gruppi di  impresa, ma filiere da gestire  dalle  componenti  di  ricerca  giù  giù  fino  alla  strategia  di presenza  commerciale  nelle  economie  a  più  intenso  e  nuovo sviluppo);
–  la  copertura  dei  sottoinsiemi  socioeconomici  via  via  emergenti  nelle contraddizioni del sistema. Si pensi solo a come nessuno oggi in Italia abbia  una  intelligenza  di  visione  ed  una  capacità  d’azione  nei confronti di  sottoinsiemi di grande  rilievo  socio-politico  come quelli
degli  esodati,  dei  precari,  dei  lavoratori  stranieri,  dei  cittadini  non autosufficienti,  dei  beni  confiscati  alla  criminalità  organizzata,  della confuse platea delle partecipazioni della Cassa Depositi e Prestiti, ecc. Sottoinsiemi diversi naturalmente, ma che hanno una caratteristica  in
comune: fanno tanto clamore di opinione ma non hanno un minimo di lucida governance; 
–  la valorizzazione delle componenti della Pubblica Amministrazione. È più  che  noto  il  peso  che  l’inefficienza  di  quest’ultima  giuoca  nella rabbia dei cittadini, delle  imprese, dei consumatori-utenti,  tanto che è quasi banale dire che  la dose maggiore  (e ormai non più  latente) del “conflitto  dal  basso”  derivi  dalle  valutazioni  negative  che  la collettività  e  l’opinione  pubblica  compiono  contro  la burocratizzazione e le relative carte. Non si può al riguardo continuare ad  affrontare  il  problema  dall’alto:  con  le  denunce moralistiche,  che alimentano solo il populismo; o peggio con le carismatiche operazioni di  governo  (la  spending  review,  l’agenzia  digitale,  le  riforme  dei
comportamenti  amministrativi,  ecc.);  con  l’ampliamento delle  grandi strutture pubbliche. Occorre partire, anche qui, dal basso, risistemando i  fondamentali:  le  anagrafi  delle  componenti  più  svariate  (le  strade, come  i natanti, come  i bilanci comunali, come gli studenti, ecc.) e  la
capacità  tecnica degli amministratori (basta pensare alla povertà delle relazioni  tecniche  che  accompagnano  provvedimenti  destinati fatalmente a non durare).

Vediamo ora di seguito cosa ne pensa la gente di questi temi e quali sono le proposte emerse, che il Censi ha schematizzato inserendo in tabelle:

Revisione del welfare

La  parola  chiave  per  le  attese  di  revisione  dei  sistemi  di  welfare  sembra essere: integrazione.  Integrazione  delle  politiche  e  degli  strumenti  per  la tutela  sociale  con  quelli  dell’assistenza,  integrazione  dei  fondi  e  delle risorse,  integrazione  della  dimensione  nazionale  con  quella  territoriale. Integrazione come risposta a un bisogno diffuso di coordinamento tra istituti
e  tra competenze  istituzionali  (dall’Inps alle  aziende  sanitarie, dai Comuni alle Casse di previdenza e assistenza private) e di maggiore equilibrio nelle forme di gestione e di controllo degli strumenti di previdenza e di assistenza (di  equilibrio  tra  sanità  ospedaliera  e  sanità  territoriale,  di  equilibrio  tra mobilità  nel  lavoro  e  gestioni  pensionistiche,  di  equilibrio  tra  regolarità
contributiva  e  fiscale  per  i  lavori  saltuari  e  flessibilità  di  lavoro  per  i giovani).
tabelle attese per il welfare

Ripensamento degli assetti del territorio

La base e le radici nel territorio come chiave interpretativa delle attese post-elettorali  emergono  con  forza  e  con  chiarezza  sia  sul  fronte  della  tutela  e prevenzione degli assetti  idrogeologici,  sia come domanda di una  strategia nazionale  che metta  la  città  e  le  sue  relazioni  al  centro  delle  politiche  di sviluppo.  Ambiente  e  salvaguardia  ambientale  in  primo  luogo, ma  anche
mobilità, logistica delle persone e delle merci, investimenti in infrastrutture minori, uso delle  tecnologie digitali per garantire  la nascita e  la crescita di una competitività locale oggi messa in secondo piano.

tabelle/Tabella attese nuova politica territoriale

La  nuova  promozione d’impresa
 
Due  sembrano  essere  gli  elementi  che  caratterizzano  la  domanda  di ripensamento  dei  modelli  e  delle  politiche  di  sostegno  allo  sviluppo  di impresa,  anche  e  soprattutto  come  superamento  di  una  logica  insieme territoriale e di filiera (per andare oltre lo schema di distretto specializzato):
innovazione e riconoscibilità.
Innovazione e ricerca di base e industriale come strumenti di competitività, ma anche  innovazione nei meccanismi di  ingresso e di mobilità del  lavoro per  i  giovani,  per  i  pensionati,  per  le  persone  con  diverse  abilità), innovazione  nei  fondi  e  negli  strumenti  di  sostegno  alle  imprese  e  agli imprenditori.
Riconoscibilità  del Made  in  Italy,  delle  produzioni  realmente  italiane, ma anche come presupposto per la lotta alla contraffazione o per la promozione dell’e-commerce.
tabelle/tabella attese revisione imprese

Sottoinsiemi sociali ed economici 

Dare  visione  e  copertura  non  solo mediatica, ma  anche  di  governo,  degli strumenti di sostegno e di tutela di nuove dimensioni economiche e sociali è una  delle  istanze  più  forti  e  condivise  che  emerge  dalla  lettura  dei documenti programmatici.
Come è naturale aspettarsi, si tratta di istanze parziali (minute e di parte) che chiamano  il  nuovo  governo  a  interrogarsi  e  a  intervenire  su  condizioni  a rischio  di  patologie  sociali  (dalla  dipendenza  dal  gioco  alla  possibile esclusione  sociale  dei migranti,  alla  non  protezione  su  fondi  esistenti  per scarsa  trasparenza), ma  anche  su  possibili  limitazioni  allo  sviluppo  e  alla
occupazione (dal divario tra lettori digitali e non al praticantato).
In  un  quadro  di  domanda  nuova  e  per  certi  versi  innovativa  di  tutela  (dei beni  culturali,  delle  persone  con  disabilità,  dei  giocatori  d’azzardo  e  delle loro  famiglie,  dei migranti)  capace  cioè  di  innervare  in  un  complesso  di politiche  sociali  non  solo  il  rispetto  dei  principi  essenziali  ma  anche  e soprattutto  gli  strumenti  e  la  cultura  che  quelle  politiche  rendono  attuabili e/o esigibili.
Le parole chiave su questo asse interpretativo sembrano essere: educazione e trasparenza.

tabelle/Tabella attese socioeconomiche
Efficienza nella Pubblica Amministrazione

peso della macchina burocratica è il più evidente tra i fattori di freno allo sviluppo  di  occupazione  e  reddito:  un’amministrazione  appesantita appesantisce  la  vita  quotidiana  di  cittadini  e  imprese.  La  cifra  di  questo bisogno  tuttavia non  sembra  essere  la  semplificazione delle norme  e degli adempimenti  burocratici,  evidentemente  questa  è  espressione  troppo
autoreferenziale, quanto piuttosto la facilitazione (espressione che guarda al cittadino e all’impresa). Facilitazione nell’incasso e nei versamenti verso le amministrazioni,  facilitazione  nell’esercizio  dell’autonomia  (specie  delle scuole),  facilitazione  nei  percorsi  di  formazione  e  di  carriera  dei  dirigenti pubblici. 
Solo  flebili  tracce  invece  rimandano  ad  un  bisogno  di  razionalizzazione  e centralizzazione  di  politiche,  di  indirizzo,  di  acquisto.  Se  bisogno  in  tal senso c’è, è sottotraccia e nasconde probabilmente il timore di un ritorno ad una grande macchina pubblica nazionale. La centralità di alcuni strumenti (a partire dalle anagrafi e le grandi banche dati pubbliche) ne è un esempio. 
Viceversa  il  taglio  drastico  degli  enti  strumentali  sembra  una  strada ineludibile.  In  questa  strada  di  progressiva  facilitazione  si  inseriscono inoltre  due  direzioni  di  lavoro:  il  riordino  delle  competenze  territoriali (troppa  sovrapposizione  e  confuse  attribuzioni)  e  il  censimento  dei  tanti fondi  “dormienti”,  risorse  che  l’amministrazione  pubblica  ha  accantonato, che sono già  iscritte nei bilanci ma che  faticano ad arrivare a destinazione. Delle due l’una: o si azzerano o si rendono fluidi.  

INSERIRE QUI TABELLA ATTESE NUOVA AMMINISTRAZIONE PUBBLICA

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