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Il check up delle imprese italiane

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Il Check-Up delle imprese italiane

Divulgati dall’Istat i dati elaborati e analizzati del nono Censimento generale dell’Industria, dei servizi e delle istituzioni non profit. I dati sono relativi a più di un decennio, dal 2001 al 2012, e indicano l’evoluzione dell’economia italiana, la più lenta dell’intera Europa. E nei primi mesi del 2013 si recede dello 0,1% mentre il resto dell’area euro fa il contrario

La dinamica del PIL italiano è lenta, l’economia è cresciuta tra il 2001 e il 2012 solo dell’1,6% in termini reali. La più lenta dinamica di crescita tra quelle di tutti i Paesi europei. Un gap che si è manifestato già da prima della crisi, tra il 2000 e il 2007 e che è continuato ad allargarsi tra il 2008 e il 2012, in piena crisi, quando è stato perso più dell’80% della crescita realizzata tra il 2000 e il 2007.

 

 

Un decennio perduto. Così lo ha definito l’Istat. In termini di crescita della produttività del lavoro. Un decennio che ora si riflette sulla situazione attuale. Dal punto di vista congiunturale, nel terzo trimestre del 2013 il PIL italiano ha mostrato, secondo le stime preliminari, una caduta dello 0,1%, rispetto ad una crescita dell’area euro dello 0,1%, che segue l’espansione dello 0,3% del trimestre precedente. 

I dati più recenti mostrano timidi segnali di ripresa nel settore industriale, mentre nei servizi sembra persistere un quadro recessivo. Le previsioni Istat per l’anno in corso stimano per l’Italia una diminuzione media annua del Pil dell’1,8%, con una crescita modesta (+0,7%) nel 2014.

La foto scattata dall’Istat mostra un’Italia la cui economia è basata sulle piccole imprese, soprattutto a conduzione familiare.  Nel decennio l’intero sistema delle imprese ha mantenuto questa connotazione. Nel 2011 risultano attive circa 4,4 milioni di imprese, con 16,4 milioni di addetti. Rispetto al 2001 si registra un aumento di 340mila imprese (+8,4%) e di circa 700mila addetti (+4,5%). 

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Ad una crescita media nazionale del 4,5% del numero degli occupati, corrisponde una crescita maggiore nelle Isole (+12,7%), nel Sud (+9,8%) e nel Centro (+7,2%). Il Nord-est presenta una crescita minore del dato nazionale (+4%), mentre il Nord-ovest registra una lieve flessione occupazionale (-0,1%). 

Per quanto riguarda i settori si registra una riduzione del numero di imprese dell’industria in senso stretto (-18,4%, pari a 100mila imprese in meno), associato ad una flessione occupazionale di poco inferiore (-17,5%, pari a circa 900mila addetti in meno). Nell’industria in senso stretto, di conseguenza, la dimensione media è rimasta sostanzialmente invariata (9,5 addetti per impresa), così come la struttura dimensionale dell’occupazione: nel 2011, in termini di addetti, il peso delle grandi imprese (con 250 e più addetti) è pari a circa il 25%, più o meno lo stesso di quelle con meno di 10 addetti. 

Nel sistema produttivo italiano prevalgono modelli di governance semplificati, con una concentrazione delle quote di proprietà, un controllo prevalentemente familiare e una gestione aziendale accentrata. 

La connotazione familiare delle imprese italiane coinvolge l’intero sistema: il socio principale è una persona fisica nel 94,8% delle imprese che impiegano 3-9 addetti (microimprese), nell’83,9% delle piccole imprese (10-49 addetti), nel 54,2% delle medie (50-249 addetti) e permane elevata (25,3%) anche nelle grandi (250 addetti e oltre). 

La percentuale di imprese con primo socio estero è pari in media al 3% per le imprese fino a 49 addetti, all’8,3% per quelle di media dimensione (50-249 addetti) e al 17,3% per le grandi. L’appartenenza a gruppi coinvolge l’11% delle imprese, con incidenze molto basse nelle microimprese (6,7%) e nelle piccole imprese (23,4%). Nelle medie imprese l’incidenza di quelle appartenenti ad un gruppo passa al 60,1%. 

L’indagine sulle imprese ha previsto, per le imprese a conduzione familiare con meno di 10 addetti, una sezione dedicata all’imprenditorialità. La larghissima maggioranza dei titolari di microimprese a conduzione familiare sono uomini (78,5%). Il titolo di studio prevalente tra gli imprenditori è il diploma di scuola media superiore (44%) seguito dalla licenza media (34%); la quota di persone con studi universitari (14,8%) è comunque superiore a quella dei meno istruiti, con nessun titolo di studio o licenza elementare (7,2%). 

Nei settori dei servizi diversi dal commercio, la quota di imprenditori che ha compiuto studi universitari è pari a poco meno di un quarto. Complessivamente, il 46,3% degli imprenditori ha avuto come precedente esperienza lavorativa il lavoro dipendente, il 36,6% il lavoro autonomo. 

Per quanto riguarda la gestione, la presenza di una conduzione diretta da parte di membri della famiglia proprietaria e/o controllante è diffusa fino alle imprese di medie dimensioni (circa 60% di queste). La scelta di affidarsi a dei manager è influenzata dalla dimensione aziendale e passa da un’incidenza del 3,2% nelle micro al 10,1% nelle piccole, al 22,4% nelle medie fino ad arrivare a circa il 40% in quelle con almeno 250 addetti. La valorizzazione delle risorse umane attraverso la formazione del personale coinvolge solo 400mila imprese su circa un milione (il 37,9%), mostrando una diffusione fortemente crescente con la dimensione aziendale: il 32,6% nelle microimprese, il 56,3% nelle piccole imprese, il 79,4% nelle medie imprese e la quasi totalità delle grandi unità. Per quanto riguarda le microimprese, le tipologie maggiormente adottate sono: corsi di formazione a gestione esterna (17,2%), corsi di formazione gestiti direttamente dall’impresa (15,2%), attività di formazione alternative quali training on the job, apprendimento mediante rotazione programmata nelle mansioni, partecipazione a convegni (10,9%). 

L’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione non sono sfruttate appieno dalle microimprese: Il 77% delle imprese tra i 3 e 9 addetti dispone di una connessione internet. Il 65,7% utilizza un collegamento in banda larga ed il 16,5% una connessione mobile. Tuttavia, il 42,2% delle microimprese reputa internet non necessario o inutile per l’attività che svolge. Le microimprese utilizzano internet soprattutto per i servizi bancari e finanziari (62,8%) o per ottenere informazioni (42,1%), ma anche per svolgere procedure amministrative interamente  per via elettronica (26,9%). Un terzo delle microimprese utilizza un sito web o pagine internet. 

Il commercio elettronico viene effettuato dal 25,1% delle microimprese: l’opportunità di vendere on line è sfruttata soltanto dal 5,1%, mentre il 23,4% acquista sul web.

Le strategie adottate dalle imprese negli ultimi anni sono soprattutto di tipo difensivo: il 70,5% delle imprese ha dichiarato che il mantenimento della propria quota di mercato è la strategia prevalente. Si tratta dell’orientamento principale per le imprese di tutte le classi dimensionali e tutti i macrosettori. A questo orientamento, tuttavia, si affiancano o si sostituiscono altre strategie più complesse: ampliare la gamma dei prodotti e servizi offerti (41,1% dei casi), accedere a nuovi mercati (22,2%) o ad attivare/incrementare collaborazioni con altre imprese (11,7%). Circa il 6% delle imprese deve ridimensionare la propria attività.

Alcuni settori puntano maggiormente su strategie orientate all’accesso a nuovi mercati: nel segmento delle grandi imprese si tratta di settori fortemente rappresentativi del Made in Italy tradizionale come industrie tessili, articoli in pelle, abbigliamento, mobili, apparecchiature elettriche. 

Tra le medie imprese spiccano i macchinari e le apparecchiature elettriche, i mobili, i prodotti elettronici; tra le piccole imprese emerge la chimica, i macchinari, i prodotti elettronici, le apparecchiature elettriche, i mobili; tra le microimprese spiccano i prodotti farmaceutici, la chimica, i macchinari, i prodotti elettronici. 

La ricerca di una maggiore competitività è, secondo le dichiarazioni delle imprese, frenata da ostacoli di diversa natura: mancanza di risorse finanziarie (40,4%), scarsità o mancanza di domanda (36,8%), oneri amministrativi e burocratici (34,5%), contesto socio-ambientale sfavorevole (23,2%). Viceversa, le imprese percepiscono come relativamente meno gravi la carenza di infrastrutture, la mancanza di risorse qualificate e la difficoltà nel reperire personale o fornitori.

Le tipologie di imprese

L’analisi multivariata condotta su un ampio ventaglio di informazioni raccolte dall’indagine ha permesso di identificare cinque tipologie di imprese:

1) Le “conservatrici” 

È il gruppo più numeroso con quasi il 64% delle imprese (670mila unità, con un’occupazione di quasi 6 milioni di addetti), con una dimensione media di 8,9 addetti per impresa. Relativamente più presenti nei servizi diversi dal commercio e delle costruzioni. Hanno un profilo strategico semplice (poche strategie e per lo più difensive), con bassa propensione all’innovazione (innova circa il 20% delle imprese) e sono rivolte soprattutto ai mercati locali (circa il 67%). Forte la presenza delle imprese meridionali e, in misura inferiore del Centro. Dal punto di vista dimensionale, sono presenti i due terzi delle microimprese, poco più della metà delle piccole imprese, il 40% delle medie imprese e il 30% delle grandi;

2) Le “dinamiche tascabili”

Comprende poco meno del 20% delle imprese (circa 205mila unità, con 2,6 milioni di addetti), con un profilo settoriale simile a quello medio e una dimensione di poco inferiore ai 13 addetti per impresa. Hanno un profilo strategico articolato che punta molto su diversificazione produttiva e nuovi prodotti, esprimono un’elevata propensione innovativa (52%), ma sono ancora prevalentemente legate al mercato locale (55,8%). L’incidenza del raggruppamento è poco variabile tra le diverse classi dimensionali. In termini assoluti, il gruppo comprende 160mila microimprese e 37mila piccole imprese;

3) Le “aperte”

Conta poco più del 7% delle imprese con 75mila unità e 1,7 milioni di addetti, con una dimensione media di 22,9 addetti per impresa. Il gruppo è caratterizzato da una presenza piuttosto elevata di imprese industriali (il 42,7%), da un’elevata internazionalizzazione (quasi il 70% opera sul mercato estero), dall’apertura verso nuovi mercati (circa una su due) e dalla capacità di attivare relazioni con altre imprese (100%), e da una forte propensione innovativa (59,1%). In questo raggruppamento sono molto presenti imprese del Nord-ovest (il 38,1%) e del Nord-est (28,5%). Le “aperte” sono solo il 5% delle microimprese (comunque presenti nel raggruppamento con circa 50mila unità), il 12% tra le piccole imprese (circa 20mila unità), il 15% tra le medie e il 17% tra le grandi;

4) Le “innovative” 

Conta 74mila imprese (7%) che impiegano 1,5 milioni di addetti e mostrano una dimensione media di 19,8 addetti per impresa. Questo gruppo presenta un profilo settoriale abbastanza simile a quello medio. Dominano comportamenti innovativi, e forte propensione alle relazioni di collaborazione. Queste imprese hanno un forte orientamento al mercato domestico, alla competitività di prezzo e alla qualità del prodotto. Le microimprese sono presenti con 49mila unità e le piccole con circa 20mila unità;

5) Le “internazionalizzate spinte” 

Sono solo il 2,6% delle imprese (27mila unità, che impiegano 1,1 milioni di addetti), per una dimensione media di 39,5 addetti. Rispetto agli altri raggruppamenti, è massima l’incidenza delle imprese appartenenti a gruppi. Quasi una su due fa parte dell’industria, Molto sottorappresentati i servizi diversi dal commercio. L’apertura verso l’estero è massima (coinvolge oltre il 90% delle imprese), così come la capacità di attivare relazioni (100%). Molto elevata anche la propensione ad innovare (68,9%). Flessibilità produttiva e diversificazione i più rilevanti fattori competitivi. Le strategie di queste imprese puntano maggiormente all’aumento della gamma di prodotti e all’accesso a nuovi mercati. Quasi una su due è residente nel Nord-ovest e solo il 9% è attivo nel Mezzogiorno. In questo raggruppamento si riconoscono l’1,9% delle microimprese, il 5% delle piccole, l’11% delle medie ed il 15% delle grandi unità.

I commenti dei curatori del rapporto

Roberto Monducci, Direttore del Dipartimento per i conti nazionali e le statistiche economiche dell’Istat, ha così commentato questi dati: “la rilevazione diretta sulle imprese è stata incentrata, sin dalla fase progettuale, sull’esigenza di disporre di una mappatura quanto più completa possibile degli elementi di forza e di debolezza del sistema delle imprese, con uno sforzo specifico di misurazione degli assetti e delle strategie delle imprese di minore dimensione. Complessivamente il quadro che emerge è che i diversi settori e soprattutto le diverse dimensioni aziendali sono attraversati da profili d’impresa notevolmente eterogenei. Comportamenti e strategie complesse e ad elevato potenziale di crescita e competitività sembrano alla portata di molte imprese di piccole dimensioni in tutti i settori e in tutte le aree del Paese; d’altra parte, si evidenzia anche un’area di conservazione e comportamenti difensivi molto estesa e che coinvolge anche ampi segmenti di imprese di medie e grandi dimensioni”.

Andrea Mancini, Direttore del Dipartimento per i censimenti e gli archivi amministrativi e statistici dell’Istat, ha aggiunto: “il censimento è stata anche l’occasione per realizzare un nuovo registro statistico, denominato ASIA-Occupazione, interamente alimentato da fonti amministrative e capace di integrare microdati riferiti a lavoratori, a datori di lavoro e alle tipologie di contratto tra loro esistente. Queste innovazioni costituiscono investimenti per l’ampliamento futuro dell’informazione statistica sulle imprese, rendendo possibile fin dal 2014 il passaggio al censimento permanente con produzione annua dei registri statistici riferiti a imprese, a unità locali e a loro addetti e con approfondimenti tematici annuali basati sui risultati della rilevazione campionaria multiscopo”.

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