La crisi dei consumi e degli investimenti pubblicitari sta profondamente cambiando il linguaggio della pubblicità italiana
di Americo Bazzoffia
Libero docente universitario e consulente in comunicazione strategica integrata
E’ un brutto periodo quello che stiamo passando. La crisi dei consumi e degli investimenti pubblicitari che da alcuni anni attanaglia il nostro Paese ha ormai raggiunto e superato i livelli di guardia. A fronte di un pessimismo generalizzato sulle condizioni economiche del paese (l’88,1% degli italiani ritiene che siano peggiorate nell’ultimo anno), come riporta l’ultimo Rapporto Censis, ci sono esigenze drammaticamente reali in Italia: infatti, il 30,8% della popolazione non arriva a fine mese con le proprie entrate, mentre il 51,8% ci riesce solo utilizzando i propri risparmi per pagare mutuo o affitto. In sostanza il 69,9% degli italiani ha avvertito una perdita del potere d’acquisto nell’ultimo anno. Si taglia su regali, pasti fuori casa, vacanze, spese per l’automobile e si privilegiano sempre più i pagamenti rateizzati per l’acquisto di elettrodomestici, automobili, ma anche per coprire cure mediche.
La pubblicità inevitabilmente risente delle condizioni economiche generali e della crisi dei consumi. Gli ultimi dati forniti e diffusi da Nielsen confermano questa tendenza. In particolare, il mercato degli investimenti pubblicitari a maggio 2014 chiude a -5,5% rispetto allo stesso mese del 2013, facendo registrare una riduzione tendenziale del -3,9% per i primi cinque mesi, pari a circa 110,5 milioni di euro in meno sul periodo gennaio – maggio dello scorso anno.
“A fronte di un periodo cumulato sostanzialmente in linea col periodo precedente (il quadrimestre si era chiuso a -3,6%), il mese di maggio registra invece una performance non molto confortante, dal momento che si confronta con i primi cinque mesi del 2013 che avevano chiuso a -17,2%”, spiega Alberto Dal Sasso, advertising information services business director di Nielsen. “Per recuperare gli oltre 110 milioni persi in questa parte dell’anno, sarebbe necessaria una crescita del +3,2% nei prossimi sette mesi, visto che il periodo giugno – dicembre 2013 si era chiuso a -8,6%”.
I dati negativi preoccupano. La scelta dei concept nei messaggi pubblicitari non fa altro che sottolineare questo stato di cose. Se ci si soffermasse in questo periodo ad analizzare le frequenza di alcune parole nei messaggi pubblicitari si scoprirebbe facilmente – senza dover ricorrere all’analisi delle corrispondenze lessicali – che “convenienza”, “risparmio”, “sconto” e “rate” stanno in vetta alle classifiche dei termini più utilizzati in pubblicità.
Cosa è accaduto in questi tempi alla sfavillante creatività pubblicitaria fatta di spumeggianti trovate? E’ in soffitta. E’ stata messa in soffitta, per non scrivere che è stata immolata sull’altare della “percentuale di sconto”, sul “tasso 0”, sul risparmio e la convenienza “senza paragoni”, ma anche senza creatività.
E’ un brutto periodo quello che stiamo passando, è stata la mia premessa. Ma questo non ci esime, anzi dovrebbe stimolare per destare la creatività assopita o pigramente appiattita sull’“unica proposta di vendita possibile”.
Il consumatore, ricurvo su se stesso e sui propri problemi, è evidente che rincorre il “miglior prezzo”. Ciò nonostante ritengo sia nelle possibilità della grande tradizione pubblicitaria italiana promuovere merci e servizi con un guizzo in più. “A testa alta e schiena dritta” proviamoci, percorriamo nuove sentieri o sentieri già battuti, ma che si esca dalle trincee.