EDUCAZIONE E FORMAZIONE

La ragazza che vuol diventare avvocato e i suoi compagni che la deridono

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di Mariangela Giusti, Docente di pedagogia interculturale all’Università di Milano Bicocca

I maggiori quotidiani nazionali del 19 maggio 2015 (Corriere della Sera, Repubblica, QN, La Nazione, Il Giorno, Il Resto del Carlino e altri) hanno dato ampio spazio a una notizia che parrebbe legata a epoche lontane e passate. Che cosa è successo? 

In un Istituto tecnico di Pisa una ragazza quattordicenne (figlia di genitori senegalesi in Italia oramai da 15 anni), bravissima in tutte le materie, in particolare a Diritto (dove le sue valutazioni erano sempre fra il 9 e il 10) si è vista arrivare ben sei lettere anonime, scritte nel corso dell’ultimo mese evidentemente da alcuni compagni di classe, con offese molto pesanti per il suo essere nera e con pesantissime parole di disprezzo nei confronti della sua aspirazione a diventare avvocato. Scrivono gli anonimi nelle lettere “Non esiste che una negra possa diventare avvocato” (riporta Il Tirreno a pagina IV dell’edizione di Pisa) e – ancora- scrivono “Quando ve ne tornate al vostro …di paese?” (stessa pagina del giornale).
” I professori – si legge nell’articolo del Corriere della Sera (pagina 21 edizione nazionale)- dicono che la ragazza è tra le migliori della scuola e dicono pure di sospettare che i responsabili del gesto siano alcuni compagni che alla studentessa hanno anche strappato i libri e un quaderno di appunti e gettati nel cestino. […] Matar Ndlaye, presidente della comunità senegalese di Pisa, afferma che ciò che è accaduto nell’Istituto tecnico non è un episodio isolato, Succede spesso, purtroppo, che i bambini di immigrati subiscono insulti razzisti…”.
C’è ancora molto da lavorare, insomma. Che possono fare gli insegnanti e forse anche i genitori?
Proporre delle attività di educazione interculturale, per esempio, può rappresentare un miglioramento della qualità del servizio scolastico per tutti gli studenti. Allargare il raggio delle conoscenze ad altre culture e ad altre conoscenze può aiutare a capire meglio la cultura nella quale siamo immersi e le culture degli altri.
Siamo nei primi decenni del Duemila, eppure è necessario ancora (come negli anno Novanta del Novecento) presupporre azioni reciproche che aiutino a far dialogare le discipline, i punti di vista sul mondo, gli individui. Si consiglia a questo proposito un libro di piccole dimensioni e utilissimo a genitori e a insegnanti: M. Giusti, L’educazione interculturale nella scuola, RCS Etas, 2012.

La scuola è un luogo dove si sta insieme, si lavora e si apprende insieme. Come altri luoghi della formazione informale, la scuola è facilitata dal fatto di essere uno spazio interattivo protetto, in quanto induce chi la frequenta a stare insieme, a trovare occasioni comuni di progetti, di giochi, di azioni.
Per questo una delle prime scelte di carattere deontologico che si prospetta alla riflessione interculturale consiste nel non costringere in vincoli culturali troppo stretti gli allievi che arrivano da lontano con stili cognitivi propri, con linguaggi diversi, con culture altre già interiorizzate. Gli insegnanti sanno che il bagaglio personale che ciascun allievo proveniente da altrove si porta dietro deve essere riconosciuto nel suo valore.
Gli spostamenti e le migrazioni di massa sono state una necessità economica di ogni epoca; sempre vi sono stati popoli che hanno cambiato territorio, che si sono spostati e che, cambiando luogo, nel breve e nel lungo periodo, hanno mutato abitudini, scambiato strutture sociali, incrociato culture, hanno invertito l’ordine delle loro economie e si sono trasformati geneticamente.

Nel Mediterraneo, in particolare (la zona geografica che ci riguarda da vicino) le migrazioni hanno costituito l’elemento essenziale per lo sviluppo e la diffusione della cultura e delle società. E altrettanto, in epoche diverse, sono arrivate popolazioni partite da lontano, dalle pianure del nord, dalle steppe, dai deserti.
Sembrerebbe persino inutile ripetere questi discorsi. Invece, a sentire ciò che accade in un civile Istituto tecnico superiore della civilissima Toscana, sembra proprio che inutile non sia e che, anzi, sia necessario che gli insegnanti di quell’Istituto propongano ai loro studenti frequenti attività di educazione interculturale.

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