COMUNICAZIONE

Grammatiche e testi delle massaie

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La pubblicità e la comunicazione d’impresa che socializzavano al futuro

A cura di Americo Bazzoffia,
libero docente universitario e consulente in comunicazione strategica integrata
 

Nella Parigi del 1300 un anziano ricco borghese sposò un’orfana di quindici anni. Lei era ancora una bambina e si rendeva conto di ignorare “i doveri e i piaceri del matrimonio”. Così si narra che ella supplicò l’anziano marito di evitare di riprenderla costantemente per le sue manchevolezze in pubblico o davanti agli ospiti. Il vecchio borghese la prese in parola ma, per istruirla a dovere, le scrisse un manuale sui lavori domestici “Le ménagier de Paris”. Il manoscritto, ancora esistente e datato 1392, conteneva tutto ciò che una donna di casa dell’epoca doveva sapere sull’arte di impartire indicazioni alle domestiche e su quello che a una brava padrona di casa “spettava fare”. Questo è uno dei pochi casi in cui la socializzazione delle giovani ai lavori e ai valori della casa non avveniva attraverso la famiglia. Spettava infatti alla madre, nelle società contadine e arcaiche, formare le figlie svelando loro tutti i segreti per svolgere diligentemente le faccende domestiche: dalla preparazione dei manicaretti alla pulizia della casa, dall’accudimento dei figli al lavaggio del bucato, ecc.  

Con l’avvento della società dei consumi, nel secondo dopo guerra, gli antichi e probabilmente millenari “saperi” relativi alla cura della casa e della famiglia divennero d’un tratto obsoleti. Chi oggi penserebbe mai di far diventare bianco un tessuto utilizzando la luce del sole? chi penserebbe di igienizzare un capo di abbigliamento con la cenere del camino?  e, infine, chi penserebbe mai di smacchiare degli indumenti sfruttano l’ammoniaca presente nell’urina di vacca?
Oggi abbiamo sbiancanti, brillantanti, detersivi, ammorbidenti, sgrassanti e quant’altro ci occorra direttamente pronti all’uso. Per non parlare poi di tutti quei prodotti, come ad esempio i pannolini o le stoviglie “usa e getta”, che – frutto della tecnologia e della ricerca applicata – hanno liberato la donna da incombenze penose e lunghe. Infine, l’avvento degli elettrodomestici: frigorifero, aspirapolvere, ferro da stiro, forno, ecc. e soprattutto la lavatrice, che di fatto hanno affrancato e agevolato le massaie degli anni ’50 rendendole finalmente più libere.

L’avvento di questi nuovi prodotti e di queste nuove tecnologie è stato accompagnato da un massiccio impiego della pubblicità e della comunicazione d’impresa. Attraverso questi strumenti, potenti, dirompenti ed estesi, è stata fatta conoscere l’esistenza di tali prodotti, si è sollecitato il bisogno di acquisto, ma soprattutto la pubblicità e la comunicazione di questi anni hanno svolto una funzione pedagogica fondamentale. La pubblicità, spiegando come usare questi “beni di cittadinanza” (cit. di F. Alberoni), di fatto socializzava alla nascente “società dei consumi” intere nuove e giovani generazioni. Come il manuale trecentesco “Le ménagier de Paris”, la pubblicità di quegli anni iniziava le giovinette dell’epoca a “saperi”, prassi e pratiche utili per gestire la casa.

Siamo nell’Italia del miracolo economico, quella attanagliata dal “logorio della vita moderna” (citando il celebre slogan della Cynar) in cui giovani donne di casa – le future “casalinghe” che si continua ancora a chiamare “massaie” – devono essere messe in condizione di affrontare le sfide della modernità. E mentre nel 1940 “Nascita e morte della massaia”, il romanzo di Paola Masino uscito a puntate settimanali su Il Tempo, già provava a demolire il ruolo di questa figura centrale nella concezione sociale del regime, nell’Italia del Boom si preferisce proporre modelli di modernizzazione del ruolo femminile tradizionale, per rendere possibile anche alle donne la partecipazione al comune progresso economico e sociale. Nascono in questa epoca Caroselli che spiegano i vantaggi dell’uso di nuovi materiali come il Moplen (si pensi alla celebre saga di Gino Bramieri “Quando la moglie non c’è” che ci ha lasciato uno dei più noti adagi legati a questo prodotto: “E mo… e mo… moplen” in cui il bravo maritino spiega alla moglie retrograda i vantaggi dell’uso di utensili nella nuova forma plastica) o di nuovi elettrodomestici (come “la cucina tutt’acciaio” Ignis).

Ma nascono in questi stessi anni operazioni rivolte alle donne ancora più esplicite  e persuasive come “La grammatica della massaia”: cinque episodi realizzati dai documentaristi Giuliano Tomei e Filippo Paolone, per pubblicizzare gli elettrodomestici prodotti dalla CGE (Compagnia Generale di Elettricità), che iniziavano a sconvolgere le tradizionali abitudini domestiche delle donne.
“La grammatica della massaia” veniva utilizzata prevalentemente nei corsi di formazione organizzati dal dopolavoro aziendale (ad esempio alla Fiat) e nei “corsi di economia domestica per signorine”.
In cinque lezioni, la “massaia italica” poteva così trasformarsi in una di quelle “donne di casa”, moderne ed emancipate, che i film americani proponevano come modello ormai da decenni.
Nella prima puntata, Il bilancio, la nuova “donna di casa” deve essere protagonista della vita familiare, imparando a gestirne il bilancio, dunque imparando a spendere e non solo a risparmiare, ma con una costante attenzione ai consumi, anche energetici.
Giovane, indaffarata, attiva, nella seconda puntata, La casa e il suo arredamento, la donna guida il marito nella scelta di un alloggio funzionale e di mobili pratici e razionali.
L’alimentazione, terza puntata, vede la massaia attenta custode della salute di tutta la famiglia, per cui prepara una dieta “sana, varia, gustosa”.
Ma la moderna massaia non accudisce soltanto ai suoi cari: nella quarta puntata, Il guardaroba, infatti, viene esortata a prendersi cura di sé, vestendosi con abiti alla moda ma senza rinunciare alla qualità dei tessuti e al risparmio.
Arriva infine il compimento della vita familiare: L’allevamento del bambino, che insegna alla giovane coppia come gestire in modo razionale l’allargamento della famiglia.  

Oggi siamo ormai lontani da quegli anni, siamo ormai abituati e annoiati nell’utilizzare questi prodotti, siamo distanti da quei linguaggi, da quella retorica e da quella società  rappresentata nei fotogrammi in bianco e nero, eppure inviterei i lettori a riflettere quanto spesso la pubblicità e la comunicazione d’impresa d’oggi svolgano ancora più caparbiamente ed intensamente l’incessante funzione di “socializzazione al futuro” (cit. di A. Bazzoffia), alla modernità, e all’innovazione attraverso una pedagogia alle merci e al consumo.    

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