COMUNICAZIONE

Il web e i social media: fabbriche di solidarietà

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Quando la rete si scatena in soccorso di aziende vittime di disastri e cataclismi

A cura di Americo Bazzoffia, libero docente universitario e consulente in comunicazione strategica integrata

Molto spesso, e sempre più frequentemente ed insistentemente, la rete internet ed in particolare i social media sono dipinti solo come un territorio di scontri, polemiche e insulti (che si tratti di temi etici, di calcio o di politica). Sono considerati al più uno “sfogatoio” di pulsioni represse, di rabbia, di frustrazioni e paure. Sono anche considerati una pericolosa e insignificante perdita di tempo, un luogo dove smarrirsi in una futile galleria di immagini e filmati di animali e neonati improbabili e di situazioni assurde ed inverosimili capaci solo di distrarci e rendere la nostra vita insulsa. 

Questo è un aspetto, ma non certamente il più importante e interessante, della rete e dei social networks. Oltre alla superficialità dei verdetti, osservando ciò che accade sotto il nostro sguardo dovremmo imparare ad andare oltre la superficie dei fenomeni sia quando essi sono ammantati da un effimero smalto, sia quando essi sono sporcati dal fango. E proprio di fango parliamo oggi: di fango, di acqua, di terremoti ecc. e di solidarietà.
Quindi non la solita fanghiglia che siamo abituati a leggere quando si parla di social media ma di un fango “pulito”, mischiato con imprese, valori, bontà, generosità, umanità, che trasforma il web e i social networks in straordinarie “fabbriche di solidarietà”.

Il popolo della rete in molte occasioni ha dato prova di essere capace di ascoltare e mobilitarsi per azioni di solidarietà nei confronti di varie catastrofi naturali. I social networks e le persone che li utilizzano si sono mobilitati in soccorso delle vittime di tsunami, uragani, alluvioni e terremoti o di disastri dovuti a guerre ed incidenti.
La prima forma è certamente “la raccolta di fondi” e in questo la Croce Rossa americana ha dimostrato che le nuove tecnologie sono molto efficaci per raccogliere fondi per l’assistenza umanitaria (raccogliendo più di 5 milioni di dollari di donazioni nelle 48 ore successive al terremoto di Haiti del 2010).
In altri casi aziende di telecomunicazioni mettono a disposizione i propri canali social per diffondere la comunicazione di azioni di solidarietà verso chi è stato colpito dal cataclisma.
E ancora: Facebook, Twitter, YouTube e Google+ sono stati utilizzati come canali per mappare le conseguenze, raccogliere le testimonianze e mobilitare la comunità internazionale.
I canali social vengono ormai abitualmente utilizzati anche per reperire informazioni su persone che non davano notizie di sé ai familiari.

In molti di questi casi la solidarietà ha avuto per oggetto anche delle imprese in modo indiretto, infatti normalmente la macchina degli aiuti su web si attiva per “il territorio” e “la popolazione”. Ma in molti casi è necessario ripristinare il “tessuto produttivo”, il “distretto industriale”: come è avvenuto per i disastri del terremoto nel modenese nel 2012.

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È invece interessante notare come recentemente in Italia si attivino gare di solidarietà sul web di grandi dimensioni per rimettere in piedi anche solo una singola azienda privata vittima di disastri ambientali o di altra natura. Tra i primi casi di questo genere registrati dobbiamo ricordare quanto avvenuto in Veneto, dove un tornado sconvolse la Riviera del Brenta e mise in ginocchio lo storico Torronificio Scaldaferro. Nacque in quel caso attraverso il web un gruppo di acquisto solidale per il Torronificio e una gara di solidarietà. Nulla a che vedere con il corale slancio di generosità che la rete web è stata capace di generare per venire in soccorso dello storico pastificio Rummo, ricoperto di fango dopo la violenta alluvione che ha devastato il beneventano in Campania poche settimane fa.

Ma cosa fa scaturire tanta generosità su web per le sorti di una singola impresa?
Esaminando i casi recenti possiamo dire che vi sono alcune costanti, delle “linee di tendenza”, che combinandosi in vario modo e a vario titolo riescono a generare come da una “pallina di neve” posta sulla cima di una montagna, una “valanga” di generosità.

I fattori quindi sono molteplici e combinati in modo mutevole ma sempre presenti. Questi fattori sono:

  • La forza evocativa del brand aziendale e l’affetto che lega il consumatore al prodotto;
  • L’attivazione di strumenti, eventi, pagine e gruppi sui principali social networks per appelli e comunicazioni;
  • Far compiere un gesto semplice e il più possibile immediato (come inviare un SMS o acquistare un prodotto dell’azienda nel supermercato) a chi desidera esprimere generosità;
  • Trovare testimonial credibili: operai e loro parenti, opinion leaders, personaggi del mondo dello spettacolo, della cultura e della musica capaci di testimoniare le necessità e il bisogno che le persone si attivino;
  • Sollecitare il mass media system a trattare in testate giornalistiche e programmi televisivi l’argomento.

Dunque che si tratti di azioni per la salvaguardia di territori e popolazioni, o che riguardino distretti industriali o singole imprese colpite da catastrofi, i social networks e le persone che li usano e li animano si sono riscattati trasformando “sfogatoii” in straordinarie “fabbriche di solidarietà”.

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