Fisco e norme

Verso l’abolizione degli studi di settore

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Viceministro Economia Casero: “Vanno aboliti, lo chiedono gli ordini professionali” e avvia il piano di semplificazione. Ma nel frattempo l’Agenzia delle Entrate annuncia i nuovi modelli da utilizzare

di Daria Contrada, giornalista

Il Governo ha aperto il cantiere di semplificazione degli studi di settore. L’annuncio arriva dal Viceministro all’Economia, Luigi Casero, cui l’esecutivo ha affidato le “chiavi” della gestione della delicata macchina fiscale: “per favorire un sistema più semplice durante l’anno interverremo subito sugli studi di settore; è uno strumento che deve essere rivisto in relazione all’evoluzione dei tempi. Riteniamo che per i professionisti, che hanno una contabilità di cassa, ci sia la necessità di intervenire in solo modo: abolendoli”. 

Un’ottima notizia, che dovrebbe portare alla cancellazione di uno strumento mai troppo amato dalle categorie. Da sempre gli Ordini contestano l’attendibilità degli studi: tra l’altro i professionisti, applicando il principio di cassa nella determinazione del reddito, spesso non riescono a evidenziare una stretta relazione tra le spese sostenute nell’anno e i compensi percepiti.

Ma il Viceministro non si è limitato ad annunciare la soppressione degli studi per i professionisti, evidenziando come il problema della loro applicazione sia più ampio, di portata generale: “sono uno strumento che deve essere rivisto e quindi, nel frattempo, credo che sarebbe opportuno che gli Uffici li utilizzino con grande moderazione, nei casi effettivamente eclatanti e quando vi è un quadro probatorio già sufficientemente delineato. Nei prossimi mesi potremmo intervenire per semplificare e ridurre i tempi che imprese e contribuenti dedicano all’assolvimento degli obblighi ed è inutile mantenere gli studi di settore per i professionisti. So che è una richiesta avanzata dalle professioni ed è una richiesta che può essere accolta tanto che già da quest’anno potremmo intervenire. Comunque sia interverremo per una semplificazione generalizzata di tutti gli studi di settore”.

L’intervento di semplificazione sugli studi di settore fa parte degli otto punti indicati nella direttiva sugli obiettivi di politica fiscale 2016-2018 diramata dal Ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. Le linee di indirizzo dettate dal Mef puntano a rafforzare la collaborazione tra contribuente e amministrazione finanziaria come strumento di semplificazione e di contrasto all’evasione e all’elusione fiscale. L’obiettivo è quello di rendere gli studi più efficaci senza ridurre comunque la loro attendibilità, come chiedono le associazioni di categoria.
Saranno semplificati a partire dalla riduzione del loro numero: i 204 modelli saranno aggregati e destinati a una platea che conta più di 3 milioni di contribuenti.

Secondo gli ultimi dati disponibili sul sito del Dipartimento delle Finanze e relativi all’anno d’imposta 2013, a dire addio agli studi saranno circa 800mila professionisti i cui compensi medi dichiarati al fisco ammontano a 75mila euro, mentre il reddito di lavoro autonomo si attesta sui 42mila euro annui. Poco più della metà dei professionisti (451.312) con compensi oltre 30mila euro è congruo naturale o per adeguamento agli studi di settore e dichiara ricavi medi per 124mila euro e reddito vicino a 70mila euro.

La Cna ha accolto con favore la proposta di Casero e, insieme a Rete Imprese Italia, ha presentato al Mef un documento ufficiale dove sono state formulate le richieste in merito agli studi di settore: con lo scopo di “meglio tutelare gli interessi delle imprese nell’evitare che l’evasione determini una concorrenza sleale, di evitare l’introduzione di accertamenti vessatori ed indiscriminati e di ridurre la pressione fiscale ormai insostenibile”, l’associazione datoriale ritiene che: “gli studi di settore non devono essere più utilizzati quali strumenti di accertamento dall’Agenzia delle entrate; deve essere confermato l’attuale meccanismo premiale degli studi che protegge le imprese da altri sistemi di accertamento presuntivi; deve essere introdotto, a regime, un sistema premiale di riduzione del carico fiscale sul reddito incrementale dichiarato rispetto al valore soglia minima”.

Per i deputati del Nuovo Centro Destra, l’abolizione degli studi di settore, “dimostra, ancora una volta, che orientiamo in senso liberale le scelte di questo governo, che sta cambiando in meglio il volto dell’Italia. Si tratta di una norma che finora ha pesato eccessivamente sul carico fiscale di partite Iva e autonomi e che ora viene proporzionata alla realtà. Si elimina, quindi, una stortura del sistema e si favorisce il rilancio dei consumi. Al tempo stesso, con i nuovi strumenti che verranno messi in campo, come la fatturazione elettronica, puntiamo a una maggiore equità e a una maggiore trasparenza”.

Tutto risolto insomma? In realtà balza agli occhi la prima incongruenza: pochi giorni fa l’Agenzia delle Entrate ha annunciato il debutto “sprint” per i nuovi modelli da utilizzare per la comunicazione dei dati, approvati definitivamente con ben quattro mesi di anticipo rispetto allo scorso anno.
Nel dettaglio, i modelli approvati riguardano 51 studi per il settore delle manifatture; 60 studi per il settore dei servizi; 24 studi per i professionisti; 69 studi per il settore del commercio.
Devono essere presentati dai contribuenti soggetti agli studi di settore (e da coloro che sono comunque tenuti, anche se esclusi dall’applicazione degli studi) che nel periodo d’imposta 2015 hanno esercitato in via prevalente una delle attività economiche nei diversi settori per le quali risultano approvati, con decreto ministeriale, gli studi di settore.
Resta da domandarsi se si sia trattato di una sfortunata coincidenza o se invece sia un difetto di coordinamento.

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