Grande manifestazione a Roma prevista per il 30 novembre 2017 per un equo compenso dei professionisti iscritti agli Albi dopo l’altolà del Governo
“L’equo compenso per i professionisti non ha nulla a che vedere con la reintroduzione delle tariffe minime obbligatorie e pertanto non c’è alcun motivo per fermare l’iter legislativo avviato in Parlamento per colmare il vuoto creatosi a partire con le liberalizzazioni del 2006”. Questa la dichiarazione a partire dalla quale il Comitato unitario delle professioni e la Rete delle professioni tecniche hanno dichiarato la propria contrarietà a quanto esposto in una nota dal Dipartimento delle politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri. La nota del Dipartimento ritiene che il disegno di legge sull’equo compenso – su cui sembra ci sia un’ampia convergenza politica – punti ad una surrettizia reintroduzione di tariffe minime obbligatorie, “con conseguente necessità di previa notifica alla Commissione della proposta”.
In realtà l’obbligo di comunicazione alla Commissione di misure del genere è previsto dalla Direttiva Bolkestein (art. 15, co. 7) e i casi che richiedono la notifica sono indicati tassativamente; tra essi quello appunto delle “tariffe obbligatorie minime e/o massime che il prestatore deve rispettare (art. 15, par. 2, lett. g)”. A tutt’oggi la giurisprudenza europea non ha mai sancito l’incompatibilità con il diritto europeo primario e/o derivato da fonti interne che stabilissero tariffe vincolanti, purché siano appunto determinate dallo Stato e applicate dal giudice come accadeva in Italia fino al 2006 e siano adottate, in coerenza con il principio di proporzionalità, alla luce di motivi imperativi di interesse generale, quali la protezione dei consumatori e/o la corretta amministrazione della giustizia.
Insomma il Disegno di Legge all’esame del Parlamento non prevede affatto tariffe minime obbligatorie ma, molto più semplicemente, una presunzione giuridica (quindi superabile) per cui i compensi inferiori a quelli fissati dai parametri ministeriali sono appunto iniqui.
I parametri ministeriali sono, infatti, fonti statali e non atti delle professioni regolamentate, per cui – come spiegano le due organizzazioni – è escluso che possano essere qualificati come “intese restrittive della concorrenza”. Si tratta infatti di uno strumento diversissimo per ratio, struttura e cogenza (del tutto assente) dallo strumento tariffario, in Italia abrogato definitivamente dal Governo Monti con il Decreto legge Cresci Italia (n. 1/2012). Ne consegue che non sussiste affatto l’obbligo di previa notifica alla Commissione delle misure contenute nel DdL sull’equo compenso.
Una battaglia di civiltà per l’Equo compenso
Per andare avanti in quella che Cup e Rete definiscono una “battaglia di civiltà giuridica”, visto che l’art. 36 della Costituzione afferma che ‘il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa’, le due organizzazioni presiedute rispettivamente da Marina Calderone e Armando Zambrano hanno organizzato una grande manifestazione per il 30 novembre a Roma “a sostegno della dignità dei professionisti italiani”.
Bisogna ricordare che ultimamente infatti l’ultima sentenza del Consiglio di Stato (la n. 4614/2017) ha legittimato di fatto gli Enti pubblici a promuovere bandi senza compenso per il professionista e con la sola previsione del rimborso spese. Ci permettiamo – in qualità di giornalisti e dunque chiamati direttamente in causa – di definire questa sentenza una vergogna. Che un Consiglio di Stato sancisca che il lavoro svolto possa non essere pagato è assurdo. Anticostituzionale. Pericoloso.
Spesso la PA lancia bandi diretti a reperire giornalisti che tengano uffici stampa gratuiti, figuriamoci adesso che hanno dalla propria parte una sentenza siffatta.
Questo comporta – non solo per i giornalisti ma per TUTTI i professionisti (avvocati, medici, ingegneri, commercialisti, architetti, geometri, ecc. ecc.) – il rischio che lavorare con una pubblica amministrazione d’ora in poi sia unicamente a titolo gratuito, una condizione che toglie sicurezza, particolarmente ai giovani, rendendoli economicamente fragili e per di più in un periodo di crisi e in cui la disoccupazione giovanile ha tassi elevatissimi.
“Il Disegno di Legge sull’equo compenso può e deve evitare questa deriva” aggiungono Marina Calderone e Armando Zambrano, “per rispettare soprattutto la dignità del lavoro degli iscritti agli albi, che oggi contano su 2,3 milioni di soggetti”. L’appuntamento per i Consigli nazionali aderenti al Cup e alla Rete, nonché per le rappresentanze territoriali, è fissato dunque per il 30 novembre a Roma.
Si auspica che i vari Ordini professionali si riuniscano per trovare un argine a questa situazione prima che sia troppo tardi e inizino a pretendere giustizia.