Salute e benessere Società

Epicovid 19, il questionario nazionale del CNR

Abbiamo intervistato i ricercatori dell’Istituto tecnologie biomediche del CNR che hanno ideato il questionario Epicovid 19, uno strumento che permetterà di fare la mappa italiana delle possibili infezioni da Covid-19

Si chiama Epicovid 19 ed ha lo scopo di raccogliere informazioni utili per stimare il numero di possibili infezioni da Covid-19 nella popolazione italiana e determinare le possibili condizioni associate. Lo studio, nato da un’iniziativa dell’ITB-CNR, viene attuato in collaborazione con altri enti e istituti di ricerca medica e scientifica italiani e ha ricevuto l’approvazione del Comitato etico dell’INMI Lazzaro Spallanzani IRCCS (il Comitato etico unico nazionale ai sensi dell’art. 40 del DL 23/2020). Responsabili dello studio sono i dottori Fulvio Adorni e Federica Prinelli, dell’Unità di Epidemiologia dell’ITB-CNR. Noi li abbiamo intervistati per approfondire meglio questo argomento.

Premessa. Il questionario EpiCovid 19
Tutta la popolazione italiana adulta (maggiore di 18 anni di età) è invitata a rispondere alle domande del questionario EpiCovid 19 che si trovano a questo link: https://ec.europa.eu/eusurvey/runner/Epicovid19_CNR?language=it
Per completarlo occorrono meno di 10 minuti e i risultati ottenuti da questa ricerca potranno fornire un contributo immediato per la definizione di programmi di sorveglianza e intervento da parte delle autorità sanitarie.
Sottolineiamo che nella ricerca sono coinvolte varie realtà del mondo scientifico-sanitario, come il Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche dell’Ospedale Sacco – Università degli Studi di Milano, diretto dal Prof. Massimo Galli, l’Istituto di Neuroscienze e l’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR, le società scientifiche SIGG e SIMIT.

La nota informativa sullo Studio EpiCovid 19
Per presentare al pubblico le ragioni che hanno condotto alla realizzazione dello studio e alla nascita del questionario, è stata diramata la seguente nota informativa, che riportiamo:
I dati epidemiologici finora si sono basati solo su pazienti con sintomatologia grave, senza poter considerare i casi d’infezioni lievi o asintomatiche che non hanno richiesto ricovero e cure mediche intensive o sub-intensive. Una valutazione più precisa della prevalenza di Covid-19 a livello nazionale e delle caratteristiche epidemiologiche associate consentirebbe, invece, una solida base per stimare dei tassi di mortalità e letalità più robuste, prendere appropriate decisioni di politica sanitaria e di misure del contenimento, riallocare risorse sanitarie per la gestione dell’emergenza e costruire solidi modelli statistici previsionali.

L’INTERVISTA AGLI EPIDEMIOLOGI RESPONSABILI DELLO STUDIO EPICOVID 19
L’intervista agli epidemiologi Fulvio Adorni e Federica Prinelli è stata svolta in modalità conferenza telefonica e dunque citiamo, dopo ogni domanda, il nome di chi ha dato la risposta.

Si tratta di un’iniziativa del CNR o c’è un incarico governativo?
ADORNI
L’iniziativa è nata dal CNR, dall’Istituto delle tecnologie biomediche di cui facciamo parte, e poi è stata proposta ad altri due istituti del CNR: l’IFC (Istituto di fisiologia clinica) e l’IN (Istituto di Neuroscienze). L’iniziativa è stata supportata dall’Università degli Studi di Milano e Malattie Infettive dell’ASST FBF Sacco, nella figura del professor Massimo Galli. È nata così e poi si è estesa coinvolgendo altre realtà, come le Società Scientifiche SIGG e SIMIT.

Il questionario è destinato all’intera popolazione? Perché leggo che possono rispondere solo gli adulti, ma anche i minorenni possono essere contagiati (e per di più sembra senza accusare sintomi) e di conseguenza essere a loro volta altamente contagiosi…
PRINELLI
Siamo ben consci che anche la popolazione giovane può essere stata contagiata e probabilmente può essere stata anche il serbatoio dell’infezione in quanto non mostrando, per la maggior parte, la sintomatologia l’ha anche propagata. Per il questionario ci siamo rivolti ad una popolazione adulta, cioè ai maggiorenni, principalmente per una questione di privacy, perché in questo tipo di indagini se si coinvolgono i minorenni è richiesta l’autorizzazione da parte del genitore o del tutore. In questa prima fase abbiamo deciso di garantire la privacy del minore ma chiaramente è nostro interesse estendere in futuro il questionario anche ai minori.

Il questionario può essere utile anche a stabilire a chi si può fare il tampone? Ci dite qualcosa di più su questi tamponi?
ADORNI
L’intenzione iniziale era principalmente quella di quantificare la “parte sommersa dell’iceberg”, visto che ad oggi siamo in grado di stimare solo in minima misura il numero dei reali contagiati, perché i numeri dei positivi naturalmente è fortemente vincolato alle modalità con cui il tampone è stato fatto e sappiamo bene tutti che questo tampone ha colto soltanto una frazione della popolazione positiva. Per questo l’obiettivo principale è dare una dimensione della diffusione dell’infezione. Sappiamo che ci sono soggetti sicuramente più a rischio e che probabilmente si infettano molto anche i più giovani, ma coloro che poi vanno incontro a conseguenze più gravi sono le persone più fragili, le più malate, le più anziane. In queste persone il Covid19 genera gli effetti peggiori. I risultati del questionario potranno anche permetterci di identificare gruppi di persone a maggior rischio, su cui le Autorità Sanitarie potranno decidere per interventi specifici, come il tampone o il test sierologico. Al momento fare tamponi a tutti resta comunque molto problematico: c’è la questione organizzativa, quella delle risorse e, da un punto di vista scientifico, anche quella della validità del tampone nel riconoscere tutti i casi di COVID19. Perché il tampone riesce a fare una fotografia solo di una fase della malattia, quindi se una persona ha avuto un’infezione recente ma ancora non ha sviluppato carica virale, cioè il virus non è in circolo, il tampone non lo rileva, ma questo non significa che non sia affetta dal Covid-19. Sarebbe un falso negativo, cioè una persona che non riteniamo malata mentre invece lo è. Un altro fatto che accade è: la carica virale a un certo punto del percorso di malattia tende a scendere ma nel frattempo si sono attivati gli anticorpi e il tampone non rileva una positività, che invece può essere rilevata con test sierologico. Il tampone quindi identifica solo un “pezzetto” della storia della malattia. L’obiettivo primario del questionario resta la stima di prevalenza di COVID19, ma i risultati potrebbero essere d’aiuto per la scelta di interventi diagnostici e preventivi.

Come è stata divulgata l’iniziativa del questionario? A noi è arrivata attraverso i social per esempio e non attraverso i comunicati ufficiali
PRINELLI
La nostra idea iniziale era di provare a fare una sorta di sorveglianza sul territorio, così ci siamo attivati con i nostri contatti a livello locale perché avevamo capito che c’era la necessità di dare un contributo concreto ed immediato. Abbiamo cercato di “arrangiarci” con le nostre risorse – e sicuramente non ci aspettavamo questa risonanza, di cui ovviamente siamo molto contenti. Abbiamo esteso l’iniziativa ai gruppi di epidemiologi del nostro ente, il CNR, oltre all’Ospedale Sacco che già collaborava con noi. L’iniziativa si è diffusa molto rapidamente attraverso i social media rispetto ai canali “ufficiali”. Quasi in contemporanea sono stati pubblicati i comunicati stampa, in primis sul sito del CNR. Adesso è possibile seguire l’aggiornamento in tempo reale dei dati raccolti, attraverso una pagina web dedicata: https://www.itb.cnr.it/epicovid19/.

Perché non è stato coinvolto l’Istat, che è in possesso di enormi database?
ADORNI
È chiaro che un’indagine che fosse partita dalla disponibilità di liste anagrafiche o di residenti avrebbe avuto il vantaggio di permettere un campionamento più adeguato, però una volta di più il problema era la privacy. Quelle dell’Istat, giustamente, sono liste che non vengono distribuite a chiunque le chieda; ci sono delle procedure di approvazione e ci vuole la collaborazione delle istituzioni. Questa è un’iniziativa nata un po’ “dal basso” e con un obiettivo di tipo “esplorativo”. Non è quindi stato possibile effettuare un campionamento con le tecniche standard, che pure presentano alcuni limiti quando si usano questionari auto-somministrati, ma esisteva l’urgenza di fare un’indagine di questo tipo. E i numeri lo stanno confermando, abbiamo ricevuto già decine di migliaia di questionari compilati, che comincia ad essere un numero decisamente rappresentativo.

Dunque stanno rispondendo in molti. A che numero siete arrivati?
PRINELLI
Sì, ormai abbiamo superato i 150.000 invii di questionari. L’età media dei partecipanti è 47 anni e circa il 57% è di sesso femminile. La rispondenza è molto alta, c’è stata molta partecipazione perché è un argomento che ovviamente coinvolge tutta la popolazione e stiamo ricevendo molte e-mail con domande specifiche sulla studio e con la richiesta di essere aggiornati sui risultati della ricerca.

È vero che i risultati verranno presi in considerazione anche per sapere quante e quali persone vaccinare, dal momento che per creare abbastanza vaccini per tutti – secondo quanto hanno dichiarato alcuni esperti in tv – ci vorranno anni?
ADORNI
Chiaramente il vaccino darebbe una svolta a questo tsunami che ci è piombato addosso. Ma i tempi, come ormai abbiamo capito e come normalmente è, non sono così rapidi. È auspicabile che si riesca a disporre di un vaccino in tempi veloci ma oggi non sappiamo quando. Ma per quanto riguarda il questionario, ritorniamo al discorso di prima: provare a fare un po’ di luce su quanto sta capitando. Al di là delle scelte che saranno di politica sanitaria, di allocazione delle risorse, di modalità di utilizzo del vaccino e di “riapertura”, e sulle quali non abbiamo titolo per esprimerci, un nostro obiettivo è anche quello di produrre risultati che possono essere utili per identificare strati di popolazione, sotto-popolazioni per le quali si potrebbero applicare strategie di apertura, piuttosto che di vaccinazione, differenziate.

Perché nel questionario sono state inserite domande sul titolo di studio e sullo stato occupazionale? Si pensa ci sia qualche attinenza con la diffusione del virus?
ADORNI
Da un lato ci servono per stimare meglio la rappresentatività del nostro campione che così, oltre a rappresentare in modo quanto più omogeneo possibile il sesso e l’età della popolazione italiana, ne rappresenti anche gli strati sociali. È chiaro che, a differenza di alcune malattie croniche, l’associazione stato sociale/stato economico/malattia è più debole, dal momento che questo virus sembra colpire un po’ tutti i livelli socio-economici, ma su questo potremo avere conferme in più dai risultati che otterremo. Dopo di che è anche vero che in condizioni sociali meno agiate è possibile attendersi una maggior grado di prossimità nella “coesistenza” e quindi un maggior rischio di contagio. Ma ci sono anche alcune ipotesi, tantissime domande aperte per cui, per esempio, sembra che chi ha malattie autoimmuni o che ha certe condizioni come l’HIV potrebbe essere più protetto, per motivi legati alle le terapie che assume oppure anche per una maggiore attenzione all’igiene e alle modalità di possibile contagio, dal momento che la diffusione del Covid-19 è legata anche ai comportamenti.

Come mai si chiedono se i sintomi si sono avuti solo da febbraio? Non è possibile che si sia contratto prima il virus “in tempi non sospetti”? Oppure che, viceversa, si sia trattato di una ricaduta di una comune influenza, avendo già avuto i sintomi magari a dicembre o gennaio e poi di nuovo a febbraio?
PRINELLI
Alcuni dati ci indicano che il virus era già in circolazione prima del mese di febbraio. Ci sono stati casi, forse un eccesso, di polmoniti atipiche già nel mese di gennaio. Poiché nello stesso mese si verifica anche il picco della “normale” influenza, che si presenta con sintomi simili, sarebbe stato difficile discriminare le due malattie, quindi abbiamo deciso di essere più conservativi facendo partire la nostra osservazione dal mese di Febbraio, cioè nel momento in cui i malati di influenza diminuiscono rispetto al mese precedente. Naturalmente è possibile che una limitata quota di soggetti che avevano avuto i sintomi già a gennaio potevano essere contagiati dal Covid-19. In ogni caso, i partecipanti all’indagine potranno, se lo riterranno, specificare se si sono verificati i sintomi anche in precedenza – soprattutto nel mese di gennaio – nello spazio dedicato alle note in fondo al questionario.

Tra le altre domande che fanno sorgere dei dubbi sull’attinenza con questo Coronavirus ci sono quella sull’anestesia generale e sui vaccini, quella sull’assunzione dei farmaci e sulle terapie ormonali e anticoncezionali. E persino sul numero di gravidanze portate a termine. Perchè sono state inserite?
ADORNI
Covid-19 è una malattia trasmissibile, in cui il contagio avviene per via aerea, attraverso le goccioline di saliva o quelle emesse quando si tossisce o starnutisce. Poi ci possono essere condizioni varie che possono modulare la capacità di reazione da parte del nostro organismo. Ed è per questo che abbiamo inserito quelle particolari domande, per provare a capire se alcuni condizioni aiutano a combattere il virus meglio di altre o ci rendano più deboli rispetto al virus. Esistono ipotesi secondo cui certi farmaci potrebbero proteggere di più, certi altri potrebbero proteggere di meno, per cui abbiamo chiesto queste informazioni agli intervistati. Questo vale anche per i vaccini, non sappiamo per esempio se il normale vaccino anti-influenzale possa proteggere dall’infezione. Tutte le domande del questionario sono state inserite perché basate su ipotesi esistenti nella comunità scientifica.
PRINELLI
Le due domande rivolte alle donne sono state inserite perché i dati indicano che le donne sembrano meno a rischio di infezione grave rispetto agli uomini. Quindi era nostro interesse identificare fattori che potevano in parte spiegare questa differenza. A questo proposito ci sono varie ipotesi: un sistema immunitario più sviluppato nelle donne e quindi una reazione migliore all’infezione, una maggior attenzione all’igiene personale e ai comportamenti da parte delle donne, una miglior condizione di salute o ancora un effetto protettivo degli estrogeni in grado di potenziare le difese immunitarie. Le due domande rivolte alle partecipanti hanno proprio l’obiettivo di esplorare alcune di queste ipotesi per indirizzarci verso spiegazioni plausibili.

E perché la domanda sull’anestesia generale?
PRINELLI
La domanda sull’anestesia generale è stata inserita con l’obiettivo di definire una condizione riferibile ad interventi chirurgici importanti, cioè non eseguiti in anestesia locale, quindi ha solo lo scopo di discriminare tra persone che sono state sottoposte ad interventi chirurgici rilevanti, come ad esempio aver subito un trapianto.
ADORNI
Per la domanda sull’anestesia generale, noi chiediamo se l’intervistato ha avuto un intervento in anestesia generale non certo perché pensiamo che l’anestesia generale di per sé sia associata alla malattia, ma per identificare una possibile condizione di fragilità dovuta ad un intervento chirurgico importante, cioè non in anestesia locale.

Le risposte al questionario potranno essere utilizzate anche in futuro per altre situazioni sanitarie?
ADORNI
Noi lo speriamo. Il nostro questionario è derivato da questionari relativi a indagini già esistenti per sorveglianza di malattie infettive. Non è uno strumento che nasce ex novo, ma è frutto di una integrazione di strumenti esistenti, scientificamente validi, e di un adattamento alla specificità di questa nuova malattia. In parallelo stiamo facendo uno studio di validazione sia interna che esterna sul questionario in altri progetti che speriamo di portare avanti in tempi rapido. Senz’altro auspichiamo che possa diventare uno strumento in più da utilizzare in futuro per altre malattie, ma anche per questa stessa infezione. Se Covid-19 ci accompagnerà per un po’ di tempo, come temo sia probabile, la riproposizione del questionario potrà essere una modalità veloce e a costo zero per raggiungere tante persone sul territorio per sorvegliare la malattia nel tempo. Da solo ovviamente non basta, però è uno strumento in più.

Vi aspettavate, per come siete partiti un po’ “in sordina”, tanto coinvolgimento?
ADORNI
Siamo molto sorpresi perché la risposta che c’è stata e l’attenzione che si è creata intorno a questa iniziativa è stata davvero alta, naturalmente ci ha fatto molto piacere, soprattutto perché ci auguriamo di poter dare un contributo utile. Vogliamo anche sottolineare che abbiamo trovato un’altissima voglia di collaborare da parte dei nostri colleghi, con loro stiamo cercando di mettere insieme tutte le idee, e di renderle più solide e robuste possibili secondo la metodologia della ricerca scientifica.

Dunque si sta facendo rete
PRINELLI E ADORNI
Sì, esatto. Molto.

 

Il Team di ricerca EpiCovid 19
Il team di ricerca, oltre ai responsabili che abbiamo intervistato, è così composto:

Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR)
Jesuthasan N, Sojic A, Pettenati C, De Bellis G (ITB, Centro coordinatore); Maggi S, Noale M, Trevisan C (IN); Bianchi F, Molinaro S, Bastiani L (IFC)

Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche, Università degli Studi di Milano e Malattie Infettive dell’ASST FBF Sacco
Galli M, Rusconi S, Bernacchia D, Pagani G, Zehender G

Società Italiana di Geriatria e Gerontologia (SIGG)
Antonelli Incalzi R, Di Bari M, Pedone C

Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT)
Tavio M, Mastroianni C, Nozza S, Tinelli M, Andreoni M.

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