Diritti Lavoro

Shecession, la recessione delle donne lavoratrici

Gli americani hanno chiamato il fenomeno Shecession, è quello della recessione che colpisce le donne lavoratrici ben più degli uomini. L’analisi INAPP sul caso italiano

La Shecession in Italia, dove 312.000 donne lavoratrici hanno “perso il posto” nell’anno della pandemia. Il rapporto 2021 dell’INAPP (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) fotografa per la prima volta il fenomeno italiano.

La recessione delle donne lavoratrici
La recessione colpisce le donne lavoratrici molto più degli uomini: quelle occupate in Italia sono diminuite del 2,6% nel lavoro dipendente (contro l’1,9% degli uomini) e del 7,6% nel lavoro indipendente (contro il corrispondente -2,5% maschile). Negli Stati Uniti l’hanno ribattezzata Shecession (she in inglese significa Lei) per confrontarla con la crisi del 2008 denominata Mancession, che ha colpito i lavori nei settori a prevalenza maschile. Questa volta sono le donne lavoratrici le principali vittime dello sconvolgimento sociale ed economico causato dagli effetti globali del virus. Un fenomeno di livello mondiale, che ha determinato il calo del 4% della forza lavoro femminile solo in Europa e un impatto negativo sui salari dell’8,1% per le donne contro il 5,4% degli uomini.

I dati del rapporto INAPP 2021
Il Rapporto Inapp 2021 mostra come a dicembre 2020, le donne occupate siano 9 milioni e 530mila e gli uomini 13 milioni e 330mila, ovvero 444mila persone occupate in meno rispetto all’anno precedente, di cui ben 312mila donne. Un calo del 3,6% per le donne e del 2% per gli uomini. Rispetto alla tipologia di lavoro, come abbiamo anticipato le donne occupate sono diminuite del 2,6% nel lavoro dipendente (contro l’1,9% degli uomini) e dell’8,3% nel lavoro indipendente (contro il corrispondente -2,5% maschile).

Le ragioni del calo delle donne lavoratrici in Italia
Cosa ha determinato la shecession in Italia? Diversi fattori, in primis il fatto che le donne lavoratrici italiane sono impegnate più degli uomini nei settori e nei servizi oggetto di misure restrittive e di chiusure (per lungo periodo) a seguito della pandemia. Si tratta di settori che faticano ancora a riprendersi. Ci sono poi i mancati rinnovi dei contratti a termine, una tipologia di lavoro in cui le donne sono da sempre presenti in proporzione maggiore: i mancati rinnovi hanno riguardato il 16,2% delle donne contro il -12,4% degli uomini. Un’altra causa sta nella riduzione di nuovi rapporti di lavoro che è stata nel 2020 molto più marcata per le donne (-1.975.042) che per gli uomini (-1.486.079) in quasi tutte le tipologie contrattuali (nel tempo determinato -52% donne e -48% uomini; nell’apprendistato -51% donne e -47% uomini; nel lavoro stagionale -34% donne e -31% uomini). Infine, last but not least, fattore incisivo sulla partecipazione femminile complessiva è stato anche il crescente onere di cura su anziani e minori (aggravato dall’emergenza sanitaria e dalla didattica a distanza) che ha rafforzato l’etichetta per le donne over 40 di “sandwich generation”.

Come correre ai ripari. Di donne lavoratrici c’è assoluto bisogno
“Ora serve un nuovo impegno che favorisca una modifica di queste quote e metta seriamente al centro dell’agenda politica la questione dell’innalzamento del tasso di occupazione femminile, da più di 30 anni al di sotto del 48%” ha spiegato il prof. Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp. “In particolare sono due le direzioni da intraprendere: primo, invertire l’ottica con cui guardare il fenomeno. Non esiste una misura ‘risolutiva’ ma serve una strategia di policy mix che integri domanda ed offerta di lavoro, nel breve e nel lungo periodo, per affrontare la complessità delle determinanti della bassa occupazione femminile. Sinora sono state prevalenti misure di breve periodo, (come trasferimenti monetari, bonus, voucher, assegni, ma anche incentivi fiscali e decontribuzioni), orientate ad affrontare le manifestazioni del fenomeno piuttosto che le sue cause, mentre minore attenzione è stata dedicata a elaborare strategie di lungo periodo capaci di incidere sulle cause strutturali all’origine del fenomeno, cause a volte nascosta sotto un’apparente profilo di neutralità di genere delle dinamiche economiche e sociali. Secondo, non perdere l’occasione del PNRR. La clausola di condizionalità, recepita dal Decreto sostegni, che richiede il 30% di giovani under 36 e di donne sul complesso delle nuove assunzioni sui progetti del PNRR, può rappresentare una chance per uscire dalla shecession. L’Istituto” ha concluso Fadda “monitorerà l’andamento di questa misura, altamente innovativa nel sistema del public procurement”.

Per leggere l’intero rapporto: https://inapp.org/it/rapporto2021/volumesfogliabile

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