Quale futuro per i produttori indipendenti italiani del settore? È stato il tema del convegno organizzato dalla giovane associazione ITA.C.A.
Il convegno sul futuro dei produttori indipendenti italiani del settore cinematografico e audiovisivo si è tenuto a Roma presso il Teatro Prati il 25 settembre 2024. Organizzato dall’associazione ITA.C.A., nata un anno fa per contrapporsi alle grandi associazioni “storiche” che ormai tutelano e privilegiano solo le grandi major estere, il convegno ha approfondito i grandi temi che interessano tutti gli operatori del settore, imprese e lavoratori dipendenti, denunciando le storture di un sistema che sta mettendo in crisi le produzioni e di conseguenza i lavoratori del settore, sancendo una lenta fine della cinematografia italiana.
ITA.C.A.
L’Associazione sta raggruppando intorno a sé tutti i piccoli e medi produttori indipendenti italiani al grido de “l’unione fa la forza”. Applicando la strategia sociologica del long tail che portò Obama a vincere le elezioni americane quando nessuno avrebbe scommesso sulla vittoria di un presidente di colore negli USA. In base a questa teoria sociologica, ormai scientificamente e ampiamente provata, i piccoli soggetti indipendenti che nel pensiero comune rappresenterebbero una minoranza rispetto ai grandi blocchi di potere, in realtà se si unissero sarebbero notevolmente superiori a questi ultimi e potrebbero acquisire un grande potere. Il potere di fare le cose, di attuare il cambiamento. Nel caso del cinema si tratta di tornare ai vecchi fasti, alla reale cultura cinematografica italiana che ormai si sta perdendo (da qui il nome dell’associazione: l’acronimo Itaca porta subito alla mente il lungo e difficoltoso viaggio di Ulisse per tornare nella sua patria), fagocitata dalle grandi produzioni estere che hanno invaso l’Italia portando qui la loro cultura, non certo la nostra. E utilizzando le nostre risorse economiche statali (entrate con le tasse pagate dalle imprese e dai lavoratori italiani, ricordiamolo sempre) che riescono ad ottenere facendo man bassa. Milioni e milioni di euro che entrano nelle loro casse approfittando di tante distorsioni e lacune della legislazione italiana di settore. Il problema dunque è far comprendere ai tanti piccoli – indipendenti e solitari – imprenditori diffusi nel territorio italiano le potenzialità che hanno nelle loro mani.
Il convegno per i produttori indipendenti italiani
Rivolgersi ai produttori indipendenti italiani in quello che il presidente di ITA.C.A. Maurizio Matteo Merli ha definito un momento delicatissimo è fondamentale. Oggi le imprese italiane del settore sono schiacciate dal peso degli oneri, a loro non arrivano ancora i fondi stanziati dal Ministero (del Tax Credit, dei contributi selettivi, ecc.) da oltre un anno e mezzo, alcuni attendono ancora quelli relativi al 2020 e 2021 mentre alle grandi major americane sono arrivati immediatamente. “Stiamo andando verso il collasso” denuncia Merli “l’unica via d’uscita è fare fronte comune. Ci sono sei punti cruciali per salvare il cinema italiano indipendente e possiamo attuarli insieme, avanzando a piccoli passi.”
Lottare insieme contro l’assenza di visione
Presente al convegno, moderato dal giornalista Maurizio Pizzuto, anche il docente universitario Stefano Pierpaoli, direttore del Film Studio di Roma. È stato lui a parlare dell’assenza di visione di lungo periodo della politica italiana che dovrebbe considerare anche il lato economico, necessario alla sopravvivenza di chi lavora nel cinema e nell’audiovisivo. “Si deve consentire ai produttori indipendenti italiani di entrare nel mercato con una possibilità di giocare la partita. Invece in Italia i produttori indipendenti non hanno avuto lo spazio necessario per poter lavorare. Un produttore indipendente vuole produrre bene e vendere bene il proprio prodotto. È il mercato, che esige delle regole, mai stabilite in Italia, dove esiste invece un vizio di privilegi per alcuni. Se non c’è mercato per i produttori indipendenti italiani non c’è possibilità di sviluppo. E sia ben chiaro che noi non vogliamo regali perché siamo amici di qualcuno, vogliamo solo avere la possibilità di fare film dignitosi e poterli distribuire nelle sale. Invece oggi per vedere proiettate nelle sale – dal momento che c’è l’obbligo ministeriale di distribuirli in un numero di cinematografi prestabilito – oggi bisogna pagare.” Quindi perché un film venga visto dal pubblico occorre che chi ha prodotto il film – oltre a sostenere le spese di produzione – debba sostenere quelle di distribuzione e di visione. Una distorsione del “mercato” che porta alla fine del cinema indipendente. Anche in considerazione del fatto che le sale italiane sono in mano alle grandi catene estere collegate ai produttori stranieri le quali – ovviamente – prediligeranno sempre la distribuzione dei loro film.
Tasse italiane per dare liquidità alle imprese estere
Il vicepresidente di ITA.C.A., Salvatore Scarico, ha detto subito qual è la prima necessità della produzione indipendente nostrana: modificare la Legge Franceschini del 2016, “che ha ucciso il mercato cinematografico italiano favorendo il cinema estero. Noi paghiamo le tasse con i nostri soldi, arrivano le grandi major internazionali e se li prendono”. La risposta che l’associazione può dare è: “facciamo la major degli indipendenti. Se ci uniamo tutti quanti possiamo rilanciare la cultura italiana; perché il cinema di oggi non è più cultura italiana.”
L’“avvocato del cinema”
L’intervento dell’avvocato Michele Lo Foco, componente del Consiglio superiore del Cinema e dell’Audiovisivo, ha approfondito il tema rifacendosi alla storia, ovvero al cammino che ha portato i distributori indipendenti italiani a trovarsi di fronte al baratro. Tutto è nato tra il 2016 e il 2017, quando l’allora ministro Franceschini ebbe un’idea. Il tax credit, che allora era solo esterno, ebbe all’epoca una perdita di circa 80 milioni di euro e Franceschini chiese a Lo Foco: “come stanno imbrogliano lo Stato?”. Lo Foco portò i conti sul tavolo e spiegò cosa stava succedendo, le imprese che stavano nascendo collegate alle produzioni e tante altre distrazioni e distorsioni in atto all’epoca. Franceschini allora disse “invece di farceli rubare, diamoglieli direttamente” e nacque il Tax credit interno, quello dei fondi dati direttamente alle case di produzione. Ma la norma fu scritta in modo di farci rientrare chiunque e ne seppero approfittare soprattutto le major estere. Quelle con uffici composti da decine di persone dedicate solo a seguire i bandi pubblici e a ottemperare ai mille cavilli burocratici inseritivi. Così a partire dal 2017 – spiega Lo Foco – il tax credit interno ha nel tempo avvelenato le strutture. “Mentre tutti si mettevano la medaglia sul petto dicendo felici che da tutto il mondo venivano a lavorare con noi perché l’Italia è un grande paese per il cinema, in realtà tutti venivano a prendersi i nostri soldi.” E gli stranieri hanno comprato le nostre case di produzione che ormai – a causa di questa distorsione – stavano fallendo.
Per lo Stato tutti sono produttori indipendenti
I fondi stanziati sono per i produttori indipendenti. Ma non solo quelli italiani. Anche la Warner è un produttore indipendente assistito dallo Stato italiano. Persino la Rai è un produttore indipendente. Il tax credit in Italia non ha i limiti che invece ha negli altri Paesi e per questo vengono tutti qui a fare le riprese. Chiedetevi perché. Il Ministero italiano è diventato un bancomat per le produzioni straniere che qui stanno proliferando, hanno comprato persino Cinecittà.
Nonostante le norme siano nate per aiutare i produttori indipendenti italiani e promuovere il merito e il mercato, applicando un principio di reciprocità, di fatto si aiutano le grandi case di produzione estere, a prescindere dalla qualità intrinseca del prodotto, e se proviamo noi italiani ad affacciarci su un mercato estero ci ridono in faccia. Le società di distribuzione anche sono straniere. Tutto ciò che vediamo sulle piattaforme, in tv, nelle sale cinematografiche è di origine estera. Anche i registi italiani, come Sorrentino, lavorano per le produzioni estere.
Le limitazioni economiche imposte
Non si può non considerare la situazione economica reale dei produttori indipendenti italiani. Quelli veri, quelli che non hanno alle spalle nessuno e che investono di tasca propria. Ora il nuovo decreto stabilisce anche che debbano reperire sul mercato il 40% del costo del film. Come potrebbe mai un produttore indipendente italiano reperire queste risorse? Gli “sponsor”? Trovate uno sponsor che non dia soldi alle major estere ma preferisca i piccoli produttori italiani. In un mercato del cinema e dell’audiovisivo inesistente in Italia questa operazione è impossibile. Inoltre, la norma stabilisce che la distribuzione debba essere obbligatoriamente fatta attraverso un distributore appartenente a un elenco stilato dal Governo e poi dato per la visione finale al pubblico ad un numero obbligatorio di sale. Chi possiede le sale cinematografice – e 1.700 sale, la metà sono in mano a due grandi gruppi esteri – detiene il potere e può stabilire ciò che vuole, divenendo il “padrone” dei distributori, che a sua volta sono i “padroni” dei produttori. Si prevede dunque un fiorire di “mazzette” da dare in giro per vedere il proprio film proiettato e riuscire ad avere un rapporto con il pubblico.
Il Tax Credit che ancora non c’è. Per gli italiani
Il nuovo decreto per il cinema – ancora mancante dei decreti attuativi – prevede che per ottenere il tax credit si debbano affrontare dunque migliaia di ostacoli, oltre a una burocrazia assurda (alla faccia della semplificazione di cui tutti i politici si vantano da sempre); ma non prevede niente per lo Stato, non c’è un termine di pagamento né una sanzione in caso di ritardo o mancato assolvimento. Ma le banche non aspettano. I produttori indipendenti italiani sono soliti farsi anticipare dalle banche il denaro per avviare la lavorazione di un’opera, contando sul fatto che devono ricevere il tax credit. Si tratta per le banche di crediti ordinari, che devono essere resi entro un massimo di un anno e otto mesi. Chi non può restituire alle banche gli importi dovuti viene messo nella “Centrale rischi”, che comporta essere ritenuti insolvibili e non ottenere più credito da nessun’altra banca e l’impossibilità di partecipazione ai bandi pubblici. Così, mentre i produttori indipendenti italiani vengono affossati, arrivano in Italia personaggi famosi, come Denzel Washington, a realizzare produzioni come Equalizer e a vedersi subito dare dallo Stato italiano 50 milioni di euro di tax credit per averlo fatto. Mentre gli italiani aspettano.
Le proposte di ITA.C.A.
L’associazione ha le idee chiare su ciò che bisogna chiedere. Innanzitutto che i contributi regionali vengano parificati ai selettivi, poi che le finestre del tax credit restino sempre aperte per permettere ai produttori indipendenti italiani di programmare il proprio lavoro. E per quanto riguarda l’elenco dei produttori italiani: ampliarlo, dal momento che ora si prende in considerazione solo il box office, il botteghino. Inoltre, aggiornare i minimi salariali per le troupe, fermi da decenni.
Nel frattempo l’associazione sta costituendo un piccolo polo tecnologico, un tecno polo, per mettere a disposizione dei soci le tecnologie innovative che in Italia ancora non sono arrivate e che permettono di fare film di qualità culturale arricchiti dalle ultime novità, per esempio dai nuovi software per la postproduzione. E si sta cercando di ottenere strumenti finanziari che aiutino i soci ad affrontare i costi di produzione e le difficoltà economiche di cui si è parlato. Al contempo, si sta cercando di costituire anche un piccolo polo distributivo. Insomma, se ci si unisce si può arrivare a competere anche con le major, affinché il cinema torni a rappresentare il mondo dei sogni per gli italiani e non il mondo delle disillusioni per i produttori italiani.