Presidente di Differenza Donna, attivista femminista alla ricerca di visioni. Conosciamo meglio Elisa Ercoli
Secondo il vocabolario Treccani, il femminismo, in sinetsi, è quel movimento che rivendica i diritti delle donne e che mira alla loro piena emancipazione economica, giuridica e politica, promuovendo un cambiamento profondo nei rapporti tra uomini e donne e nella struttura sociale tradizionale. Per la Presidente di Differenza Donna, l’Associazione che ha l’obiettivo di far emergere, conoscere, combattere, prevenire e superare la violenza di genere, il femminismo deve rimettere al centro della società e rendere visibile l’integrità degli essere umani. Conosciamo meglio Elisa Ercoli.
Elisa Ercoli e l’impegno contro la violenza di genere
Studiavo Scienze Politiche alla Sapienza, e mi fu dato un libretto sulle riforme parlamentari fatte dalle donne. Lì conobbi Carol Bebe Tarantelli, che era presidente di Differenza Donna e firmataria della legge che poi sarà quella del 1996, la legge sulla violenza sessuale. Non avevo alcuna consapevolezza delle discriminazioni di genere e della violenza maschile come fenomeno globale, ma sentii il desiderio di andare a fare la volontaria in quell’associazione. Così iniziai un corso di formazione di un anno. In quell’anno feci molta “resistenza attiva”, perché non volevo accettare di far parte del gruppo più folto e discriminato al mondo. Alla fine, soprattutto entrando in casa rifugio e incontrando le donne ottiche, con bambine e bambini, capii molto bene — in maniera profonda — che al loro posto avrei potuto esserci serenamente anch’io. Perché è qualcosa che avviene alle donne, in quanto donne. Proprio per questo abbiamo voluto che fosse scritto anche nel nostro codice penale, nella definizione di femminicidio.
Elisa Ercoli, cosa significa, oggi, essere femminista?
Prima di tutto, significa avere una conoscenza approfondita di come lo sguardo esclusivamente maschile abbia organizzato le società globali e il loro funzionamento. Capire quali sono stati i principi attraverso cui è stato costruito quel sistema. Scoprire che il soffocare le emozioni e i corpi è stata una delle cifre più importanti di questa storia millenaria di suprematismo. Quindi, il femminismo significa capovolgere questa lettura, che ha fatto dei corpi e delle emozioni uno scarto, e rimettere al centro l’integrità dell’essere umano. Significa rendere visibili gli esseri umani, non negare più le emozioni — come è stato fatto per millenni, anche con i bambini maschi, che dovevano affermarsi solo come “soggetti forti”, creando una finta forza che oggi vediamo agita dagli uomini violenti. Per me essere femminista vuol dire permettere alle donne e agli uomini, alle bambine e ai bambini, di poter essere semplicemente esseri umani.
Elisa Ercoli e il ruolo di Differenza Donna nel contrasto alla violenza di genere
È un ruolo importante, che si muove su quelli che la Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa ha chiarito come i tre assi strategici: prevenzione, protezione e persecuzione. Sono nel nostro statuto sin dalla nascita dell’associazione, nel 1989. Non operiamo solo a livello nazionale, ma anche internazionale: siamo esperte anche per le Nazioni Unite e per altre organizzazioni internazionali. Siamo ente consultivo e redigiamo “rapporti ombra” (shadow reports) che raccontano quello che vediamo quotidianamente nell’accoglienza e nell’accompagnamento delle donne, bambine e bambini nel percorso di giustizia. A livello nazionale, facciamo advocacy, partecipiamo alla scrittura di proposte normative, veniamo audite dalle commissioni parlamentari. Ma lavoriamo anche a livello locale: dal municipio di Roma fino alle Nazioni Unite. Siamo anche un’organizzazione non governativa. Facciamo progetti europei di scambio di buone pratiche, per capire come il contrasto alla violenza e alle discriminazioni viene portato avanti negli altri Paesi. E anche a livello internazionale. Abbiamo appena concluso un progetto in Siria per sostenere l’unico centro antiviolenza e casa rifugio pubblica dello Stato. Abbiamo aperto il più grande centro antiviolenza del Medio Oriente — il centro Mehwar — e siamo stati in Palestina per dieci anni. Ora iniziamo anche in altri Paesi dell’Africa. Siamo attive in altri continenti. Per noi è un discorso globale, ma con una specificità tutta italiana, che va tenuta insieme in questi tre assi per riuscire davvero a contrastare una delle più gravi violazioni dei diritti umani.
Elisa Ercoli: cosa manca nelle politiche contro la violenza di genere in Italia e in Europa
In Italia mancano le politiche sistemiche. Abbiamo un sistema normativo tra i più avanzati al mondo, ma non lo applichiamo. Manca il riconoscimento della gravità della violenza. La violenza e le discriminazioni di genere sono normalizzate, e questo ci porta a non reagire come dovremmo. Le donne in Italia sono le più disoccupate d’Europa. Subiscono il peso maggiore del gender pay gap. Hanno una sproporzione enorme nel lavoro di cura, che gli uomini non condividono. Negli altri Paesi europei — persino la Romania — sono più avanti di noi. Se guardiamo il Gender Gap Index (che paragona 146 economie), l’Italia è terzultima in Europa, prima solo della Repubblica Ceca e della Turchia. Non abbiamo percezione di essere così arretrati, ma lo siamo. Abbiamo perso 20 posizioni in 3 anni. Questo dovrebbe preoccuparci moltissimo. Pare che siamo noi donne a essere “sbagliate”, che non riusciamo a vivere “normalmente”. Ma le nostre vite non sono normali: sono piene di discriminazioni, senza il welfare che dovrebbe esserci, senza una vera condivisione delle responsabilità, a partire dalla genitorialità.
Elisa Ercoli, tra genitorialità e denatalità
La denatalità in Italia è una conseguenza diretta di tutto questo. Ma non colleghiamo mai le cause agli effetti. Stiamo riproponendo modelli relazionali dell’Ottocento. Facciamo pochissimo, e abbiamo una responsabilità enorme nel far passare modelli disparitari. Una donna con un lavoro precario, che guadagna poco, è messa davanti a una “scelta” che non è una scelta: è un’esclusione. Perché i servizi costano più di quanto guadagna. In Germania, invece, le famiglie hanno il welfare necessario: fanno 3 figli, fanno carriera. In Italia le donne che lavorano sono poche, e spesso vengono escluse dopo un figlio. Rientrare nel mondo del lavoro diventa quasi impossibile. Questo è il punto in cui ci troviamo.
Elisa Ercoli, occupazione femminile e PIL
Le nostre economiste lo hanno dimostrato, anche con il supporto delle grandi organizzazioni internazionali. Una maggiore occupazione femminile porterebbe a una crescita del PIL. Non solo perché lavorerebbero più persone, ma perché i talenti delle donne oggi sono espulsi, laddove invece potrebbero contribuire enormemente. Abbiamo lavorato in rete, con economiste come Linda Laura Sabbadini e tante altre, per riflettere sull’uso dei fondi del PNRR. Quei fondi, pensati per spingere il digitale e il green, avrebbero avuto un impatto enorme sull’occupazione maschile. Ma per l’occupazione femminile era necessario investire in welfare. E questo non è stato fatto. Così il divario peggiora, e con esso la discriminazione di genere. Ricordiamoci che la violenza maschile contro le donne è una forma di disparità di potere. E il potere economico è centrale: se veniamo escluse dal mondo del lavoro, se continuiamo a dipendere da un unico reddito familiare — che è quello del partner — non possiamo dirci libere. Franca Viola, in questo senso, era molto più avanti di noi. E pensare che stiamo tornando indietro su molte delle conquiste che donne come lei hanno ottenuto.
Elisa Ercoli, se domani avesse la possibilità di cambiare qualcosa nel nostro Paese per proteggere davvero le donne, che cosa farebbe?
Due cose. La prima: la formazione di tutta la rete antiviolenza, a partire dalle forze dell’ordine fino ai servizi sociali, con linee guida chiare e condivise. Serve buttare dalla finestra, una volta per tutte, la confusione tra conflitto e violenza. Serve riconoscere il pieno diritto di una donna a liberarsi da una situazione di violenza, senza se e senza ma. Questo deve diventare linea guida per tutti, anche per i giudici. Basta con la giustificazione continua della violenza nelle professioni, anche in quelle più alte.
La seconda: puntare tutto sulla scuola pubblica. Perché è l’unico luogo democratico che costruisce libertà. Non possiamo affidarci alle famiglie, perché ci sono famiglie che non ce la fanno per difficoltà oggettive, e famiglie in cui gli uomini violenti sono parte del problema — e quindi non possono essere parte della soluzione. La scuola pubblica è un bene prezioso, e invece vediamo il rischio che venga smantellata. Eppure, è proprio da lì che può partire un cambiamento culturale profondo.
Come si “diventa” Elisa Ercoli?
Spero che ognuna voglia diventare la propria versione di ciò che rappresenta, non una copia. Certo, penso di poter essere fonte di ispirazione, perché a 55 anni sento di essere parte di qualcosa di bello, che costruisce democrazia e libertà. Questo lo auguro a tutte le ragazze. Quello che ho fatto è stato non solo studiare, ma abbinare gli studi a un impegno attivo. La cosa più importante, secondo me, è non separare mai lo studio dall’esperienza. Mettere le mani in pasta. Se vuoi risolvere problemi sociali, collettivi, politici, devi conoscerli davvero — frequentare la realtà, non solo leggerne nei libri. Ho unito lo studio dei processi politici, i master in cooperazione e diritti umani, all’esperienza sul campo. Questo rende il sapere qualcosa di vivo, potente. Quindi, il mio consiglio è: non diventare teoriche o portavoce di ideologie, perché non ne abbiamo bisogno. Abbiamo bisogno di visioni. E poi di capire come mantenerci unite, determinate, per raggiungere il nostro obiettivo comune. Quello che io chiamo “il nostro libro”.
Cosa c’è dietro l’angolo per Elisa Ercoli?
Non lo so… e meno male che non lo so!
La vita ogni giorno ci presenta tante cose, e noi possiamo sempre scegliere. Più tengo gli occhi aperti, più saprò scegliere meglio per me. È tutto un divenire.