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RU-486 la pillola abortiva: inchiesta esclusiva

ospedale bari

RU-486 LA PILLOLA DELLA DISCORDIA. Parte la nostra inchiesta esclusiva

Nota come “pillola abortiva”, il suo nome commerciale è RU-486 (mifepristone è il nome scientifico del farmaco), ma da qualche mese è stata rinominata “pillola della discordia”. Intervista al dott. Blasi, il primo medico a sperimentarla in Italia: “nessuna solidarietà da parte delle donne”

Il ricorso all’aborto tramite RU-486 rappresenta per la donna che decide di porre fine ad una gravidanza indesiderata, un’alternativa meno invasiva rispetto al tradizionale aborto chirurgico.

RU-486 è il nome commerciale del mifepristone, farmaco che si somministra nell’interruzione di gravidanza post-coito e che si lega ai ricettori per il progesterone (l’ormone chiave della gravidanza)  inibendone l’attività. Due giorni dopo la somministrazione di mifepristone, la paziente assume una seconda sostanza, una prostaglandina – in genere il misoprostolo – che inducendo la contrazione uterina agevola l’espulsione dei tessuti embrionali.
È necessario che la gravidanza non abbia superato il 49esimo giorno dall’ultimo ciclo mestruale, sette settimane. Non è quindi un contraccettivo, né un’alternativa alla contraccezione stessa.

 

Scoperto nei primi anni ’80, il mifepristone, prodotto sotto forma di farmaco, viene commercializzato in Francia con il nome Mifégyne e negli Usa come Mifeprex. Durante le prime somministrazioni si usa la sigla RU-38486, poi abbreviata in RU-486 dall’azienda produttrice, la Roussel Uclaf.
Attualmente la pillola è usata in tutti i paesi europei, tranne Irlanda, Polonia, Lituania. Nel luglio 2009 l’AIFA (Agenzia Italiana per il Farmaco) autorizza la commercializzazione in Italia della RU-486. Il 10 dicembre 2009, con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, la RU-486 entra a far parte dei farmaci utilizzabili nel nostro paese. In realtà la sperimentazione del farmaco era partita già nel 2005, in diverse regioni italiane tra cui la Puglia, dove è avvenuto anche il primo trattamento ufficiale. Scopriamo quale seguito ha avuto.

 

IN PUGLIA, DOVE OPERA L’UOMO DELLA RU-486

Il primo trattamento ufficiale è avvenuto in Puglia, presso la prima clinica ostetrica del Policlinico di Bari, il 7 aprile 2010. Il Dott. Nicola Blasi, responsabile della sperimentazione già dal 2006 e del servizio di interruzione di gravidanza presso la struttura, è divenuto ufficialmente l’uomo della RU-486.
Ogni giorno riceve chiamate da decine di donne di tutta Italia. È l’unico medico non obiettore di coscienza della struttura. Solo dal luglio scorso è affiancato dal dott. Schonauer.
A distanza di mesi, le promesse fatte dall’Assessorato della Salute della Regione Puglia non sono mai state mantenute. Mancano delle linee guida, un’equipe di supporto, una struttura ad hoc. E ancora una volta è l’arte di arrangiarsi a farla da padrone.

dott. BlasiL’intervista che segue è stata realizzata a novembre 2010. Avrebbe dovuto essere pubblicata a febbraio scorso. Prima però, per dovere di cronaca, il 28 febbraio 2011 la redazione ha inviato una richiesta di replica all’Assessore regionale alla Salute Tommaso Fiore. La risposta in merito alla questione è arrivata solo un mese dopo, il 29 marzo 2011, esattamente ventiquattro ore dopo che il Dott. Blasi ha annunciato il suo ritiro per il prepensionamento.
Blasi ha chiesto e ottenuto di andare in pre-pensione.
“Promesse tradite. Non ci sono i presupposti per continuare”. Così il “Dott. RU” ha deciso di mollare tutto, nonostante – formalmente – avrebbe potuto continuare a lavorare nel Policlinico barese per altri cinque anni.


Ascolta qui l’intervista audio


 

  • Dott. Blasi, ripercorriamo le tappe di questa vicenda. Quindi prima del 7 aprile 2010, data storica per la RU-486 in Puglia e in tutta Italia, c’erano stati due anni di sperimentazione
Ero partito nel novembre 2006 con la sperimentazione in day hospital: noi importavamo la pillola RU-486 direttamente da Parigi con autorizzazione del Ministero della Salute. Sino ad allora (7 aprile 2010, ndr) avevamo trattato circa duecento casi. Fino al 9 dicembre 2009, perché in questa data ci fu l’approvazione da parte dell’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco), che approvava appunto la commercializzazione del farmaco in Italia. La prima tappa storica è stata il famoso 7 aprile 2010, quando ho fatto la prima somministrazione ufficiale come farmaco commercializzato in Italia. Da allora (fino a novembre 2010, ndr) siamo arrivati al trattamento di circa cento casi, sempre con ricovero ospedaliero ordinario come imposto dal Ministero della salute, anche se molte donne preferiscono firmare e andar via e poi ritornare. Noi comunque facciamo firmare un consenso informato sia per la metodica da utilizzare, sia per il ricovero ordinario. Questa è la situazione. Mi riferisco ovviamente a Bari, alla prima clinica ostetrica. Per quanto riguarda la Puglia, so che sono partiti pochi centri, so di qualche caso trattato a Lecce e a Taranto. Per il resto, in Puglia come da Roma in giù, pochi centri sono partiti pur avendo avuto l’autorizzazione all’uso della RU-486.
  • Tornando a quel famoso 7 aprile, lei è stato sottoposto ad una vera e propria gogna mediatica. Si parlava di pillola della discordia da una parte, dall’altra c’erano anche molte promesse. Si parlava di un’equipe che l’avrebbe affiancata. Cosa è rimasto oggi di queste promesse?
Assolutamente nulla. Andiamo avanti come prima del 7 aprile. Dal primo agosto 2010 sono affiancato da un collega che si è dichiarato non obiettore di coscienza e dall’aiuto di molte specializzande che, come tali, non hanno un impegno ufficiale. Tutto qui. Noi facciamo solo ambulatorio di prenotazione il martedì di ogni settimana. Poi facciamo il counseling a queste donne, e in base alle prenotazioni organizziamo il trattamento. Ma al di fuori di questa organizzazione – se così possiamo definirla – non c’è altro. Non c’è un ambulatorio di pianificazione familiare, né  personale che mi affianchi. Utilizziamo il personale dell’ambulatorio generale.
  • Come funziona concretamente la somministrazione?
Le donne sanno, o per sentito dire o attraverso il numero verde, che il martedì si svolge questo incontro. Alcune donne sono informate sul fatto che l’interruzione di gravidanza tramite RU486 va fatta entro il quarantanovesimo giorno, le famose sette settimane. Illustriamo il metodo, l’importanza del ricovero in funzione della seconda somministrazione. Ci sono alcune donne che rinunciano dopo aver ricevuto queste informazioni. Quelle che accettano lasciano il loro numero di telefono. Noi operiamo in modo tale da non appesantire la struttura, facendo fare dei prelievi pre-ricovero, e poi le richiamiamo e somministriamo i farmaci, organizzandoci in turni compatibili con i nostri impegni all’interno della struttura.
  • La domanda è ancora molto alta come all’inizio? Ricordo che lei parlava di decine di chiamate al giorno da donne da tutta Italia.
Su Internet è rimasto ancora il segno. Molti, anche solo per ricevere informazioni, usano il mio numero che ormai è diventato ufficialmente il numero della RU, anche se esiste un numero verde. Il numero è calato, perché sono stati attivati altri centri, nel Molise per esempio.
  • Cosa ricorda di quel periodo? Lei è stato sulle vetrine mediatiche di tutta Italia. Ricordiamo anche i sit-in organizzati qui fuori il 7 aprile, si parlava di aborto facile.
Mi fa piacere ricevere questa domanda. Perché mi aspettavo, accanto ad una reazione degli antiabortisti, una solidarietà da parte delle donne. Questa è un’accusa che faccio. Non c’è stata nessuna associazione femminile che ha protestato per la mancato attuazione in Puglia e in particolare nella provincia di Bari della legge 194 che non è solo l’uso della RU. A Bari, c’è un ospedale pubblico, il San Paolo, dove è bloccato il servizio di interruzione di gravidanza pur essendoci dei colleghi che sono non obiettori. Ricordo che quando fu approvata la legge 194, solo per il ritardo di qualche settimana la piazzetta del Policlinico era piena di donne che protestavano contro l’allora direttore. Tutta questa reazione a favore della RU non c’è stata. L’RU non è un “aborto facile”. Significa dare un’alternativa all’aborto chirurgico, evitare la sala operatoria, l’anestesia. Dopo il 7 aprile non sono supportato per niente, tranne da qualche giornalista come lei che mi ha ricordato. Dopo il 7 aprile si sono spente le luci e tutto è ritornato nel buio più totale.
  • Come si spiega questo “bigottismo”?
Non riesco a capirlo. Mi aspettavo, da parte delle associazioni anche ospedaliere, degli articoli a sostegno. Evidentemente è un problema che viene a galla solo quando la donna ne è direttamente interessata. Perché dietro la RU-486, c’è tutta la prevenzione dell’aborto. Facciamo i bigotti contro l’aborto, ma poi non diamo alle donne, alle giovanissime che saranno le mamme di domani, gli strumenti per la procreazione responsabile. Prevenzione significa organizzazione dei consultori, informazione nelle scuole. Questi argomenti sono ancora tabù e non se ne capisce il perché.
  • A proposito di tabù, come si spiega il numero così elevato di obiettori di coscienza?
Diciamo che in parte l’obiezione di coscienza è un non volersi caricare di problemi, perché il sottoscritto non percepisce un centesimo di euro in più rispetto agli altri colleghi, con un impegno però notevole; io comunque mi devo occupare di organizzare il servizio di interruzione, organizzare le sedute con gli anestesisti non obiettori. Un buon cinquanta per cento dei colleghi risponde dicendo “ma chi me lo fa fare”, dichiarando l’obiezione che poi però decade con estrema facilità. Molti colleghi vengono da me dicendo “mi fai l’interruzione di gravidanza per questa paziente, per la mia amica o per la mia parente?”. Io confermo di non dichiararmi mai obiettore di coscienza perché è un mio principio. Andrò avanti fin quando potrò.

 

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