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Fissati i limiti ai contratti di mutuo erogati dalle banche alle imprese. Basta con le modifiche unilaterali del contratto in corso

Fissati i limiti ai contratti di mutuo erogati dalle banche alle imprese. Basta con le modifiche unilaterali del contratto in corso

Uno stop alle banche: fissati i limiti allo “ius variandi” sui contratti di mutuo erogati alle imprese. Ora non potranno modificare le clausole contrattuali unilateralmente e dopo che il rapporto è stato avviato. Le clausole dei contratti di mutuo dovranno essere definite al momento della stipula del contratto una volta per tutte

Finalmente un sospiro di sollievo per le imprese che spesso si trovavano a veder modificate all’improvviso – e senza possibilità di dire la propria pena l’annullamento –  le clausole dei contratti già stipulati. La normativa sul cosiddetto “ius variandi” è tornata ad essere fonte di acceso dibattito in sede di approvazione del recente Decreto Legge Sviluppo, divenuto legge dal 12 luglio accogliendo proprio alcune modifiche rispetto alla formulazione del decreto originario.

L’istituto dello ius variandi consiste nella facoltà di una delle parti, nel corso di un rapporto di natura contrattuale, di modificare le originarie condizioni normative e/o economiche, espressione della volontà negoziale raggiunta al momento della conclusione del contratto stesso.

Nel diritto civile italiano la tematica del cd. jus variandi è stata tradizionalmente e originariamente presente in ambito lavoristico in riferimento al potere di modifica delle mansioni del lavoratore;  successivamente è emersa con forza in occasione della riforma sulla trasparenza bancaria, culminata con l’approvazione del Testo Unico Bancario del 1993, che aveva riconosciuto, all’art. 118, la legittimità del jus variandi applicata dagli istituti bancari. 

La questione è poi ritornata di attualità con la recente introduzione delle discipline di derivazione comunitaria che hanno, in varia misura, regolato tutte le fattispecie di rapporti che sono caratterizzati da uno squilibrio delle parti contraenti, come lo sono ad esempio i contratti conclusi tra professionisti e consumatori, i contratti di viaggio e, per quanto riguarda i contratti d’impresa, i contratti di subfornitura industriale.

Tutti gli ordinamenti continentali sono concordi nell’affermare un principio che peraltro è già presente anche nel nostro Codice Civile all’articolo 1372, ovvero il principio per cui il contratto ha forza di legge tra le parti e quindi nessuna modifica è prevista in maniera unilaterale ad una delle parti.
In merito, la dottrina italiana ha progressivamente mutato approccio nel corso del tempo, passando dal rifiuto del principio dello “ius variandi” ad una tendenza più elastica, che riconosce alla parte il potere di modificare il contenuto del contratto, pur entro limiti che consentano di evitare il rischio di abusi.

Il dibattito dello “ius variandi” è particolarmente acceso sul tema dei contratti bancari dove le contrapposte esigenze di certezza giuridica e trasparenza del consumatore da una parte, e flessibilità operativa ed economica della banca dall’altra, sono molto spesso difficilmente conciliabili.

È possibile che una volta stipulato il mutuo, la banca lo modifichi unilateralmente?
Questa è un’apprensione che affligge molti mutuatari che, in sede di stipula dell’atto di mutuo davanti al notaio, leggono e scoprono tra le varie clausole che la banca “si riserva la facoltà di modificare le condizioni economiche applicate ai singoli contratti di durata posti in essere con il cliente, al quale saranno rese note mediante proposta di modifica unilaterale del contratto, con preavviso minimo di 30 giorni, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 118 del Testo Unico Bancario”.
Con questa clausola le banche inseriscono nel contratto il loro diritto di modifica unilaterale delle condizioni del contratto, il cosiddetto ius variandi!

Il Ministero dello Sviluppo, già in una nota del 21 febbraio 2007, aveva bocciato tale clausola, escludendo i contratti di mutuo dal campo di applicazione dell’art 118; ma tale pronunciamento era caduto nel vuoto, vista la prassi ormai consolidata delle banche di inserire la clausola nei contratti di finanziamento, anche solo per modificare le spese accessorie (avvisi di scadenza rate, compensi per cancellazioni, frazionamenti e svincoli di ipoteche, ecc.) se non proprio i tassi.

Il tenore originario dello Ius Variandi contenuto nell’art.118 del Testo Unico Bancario era già stato modificato e attenuato dalla Legge di conversione n.248/2006 dove veniva subordinata la possibilità di modifica unilaterale alla sussistenza di “un giustificato motivo, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 1341 c.c. comma 2, ovvero il principio di non vessatorietà”.

Negli ultimi mesi sono state numerose le novità e gli aggiornamenti normativi sul principio dello Ius Variandi.
Lo scorso 3 dicembre 2010, è entrata in vigore un insieme di norme sulla trasparenza bancaria per la tutela del cliente/mutuatario, che ha introdotto una distinzione tra i contratti bancari a tempo indeterminato (praticamente fino a revoca, come ad esempio i conti correnti) e quelli a tempo determinato come i mutui.

Queste norme hanno sancito che lo ius variandi non si può applicare per i contratti bancari a tempo determinato, mentre nulla cambia nella sostanza per quelli a tempo indeterminato, per cui la banca può anche andare ad annunciare e poi applicare, con il dovuto preavviso, la modifica delle condizioni contrattuali – che sono quasi sempre esclusivamente di tipo economico e rappresentano semplicemente un aumento dei costi a carico del cliente.

Viene sancito quindi che per i mutui ipotecari il tasso non si tocca più; la modifica contrattuale, ad esempio, può invece essere applicata per costi accessori come ad esempio le spese di incasso della rata ma solo nel caso in cui l’Istituto di credito spieghi il tutto con un giustificato motivo.

Ad inizio Maggio 2011 il Governo aveva presentato nel Decreto Sviluppo una norma secondo la quale l’attuale divieto di modifica unilaterale delle condizioni sancito dall’art. 118 del Testo unico bancario (divieto dello ius variandi), valeva solo per i consumatori e le microimprese (quelle con meno di 10 addetti). Non solo: stabiliva anche che per i contratti in essere alla data di entrata in vigore della nuova norma, le banche avrebbero comunicato entro il 30 giugno 2011 le modifiche apportate ai contratti, senza possibilità di replica per la controparte se non quella di recedere entro 60 giorni.

Dopo un mese di critiche e pareri contrari da parte di Confindustria e di tutte le associazioni di imprese, il 21 Giugno alla Camera e il 12 Luglio al Senato, il Decreto Sviluppo riceve la sua approvazione finale con ampie modifiche proprio allo Ius Variandi tanto contestato.
Nella versione definitiva del Decreto Sviluppo si prevede che lo ius variandi varrà solo per i contratti futuri (e non anche per quelli già in essere, come previsto nella versione provvisoria); eventuali clausole in contratti di finanziamento di mutuo sottoscritti dalle imprese (esclusi consumatori e microimprese) devono essere “espressamente” approvate dal cliente e la modifica dei tassi di interesse può scattare solo al verificarsi di “specifici eventi e condizioni, predeterminati nel contratto”.

In questo decreto, oltre alla possibilità di modifica unilaterale delle condizioni (per quelle esistenti sulle imprese) è stato previsto anche l’aumento dei tassi soglia sulle nuove operazioni di mutuo; forse l’intento è di aiutare i banchieri italiani a raddrizzare nel 2011 quella redditività ormai in calo da tempo, e che Draghi suggeriva di risolvere con aumenti di efficienza e riduzione dei costi?

Sonia Scorziello

 

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