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Gli asili nido: indagine annuale di Cittadinanzattiva

mamma con bimbo in bici

Gli asili nido: indagine annuale di Cittadinanzattiva

Divulgati i dati del rapporto annuale sulla situazione degli asili nido comunali in tutta Italia. I costi e le liste d’attesa

Si trovano al Nord gli asili nido più cari, a Bologna il più alto aumento delle rette (quasi il 30% in più rispetto all’anno scorso) e ancora pochi i posti disponibili, con il 23,5% dei bimbi che rimane escluso – percentuale che sale addirittura al 40% in Campania e in Calabria.

Ancora troppo pochi i posti disponibili per i bimbi negli asili nido comunali che costano alle famiglie in media oltre 3mila euro l’anno. Una situazione che rende difficile per le mamme lavoratrici accedere ai posti di lavoro non sapendo a chi lasciare i propri figli piccoli. Quello dell’asilo nido comunale dovrebbe infatti essere un supporto per le mamme che lavorano ma, come dimostra l’inchiesta di Cittadinanza che mostra l’alta percentuale di bimbi che restano nelle liste d’attesa, è evidente che non viene ancora fatto abbastanza al riguardo.

Le famiglie che hanno necessità di questo supporto pagano allo stato attuale ben 302 euro al mese per i 10 mesi l’anno di utilizzazione del servizio, pari dunque a 3mila euro ogni anno che vengono tolti – e lo si fa per necessità, non certo per sfizio come forse crede qualche assessore – dal budget familiare. Inoltre, tra città e città ci sono disparità economiche ingiustificabili. Non è logico infatti che gli asili comunali di una provincia costino almeno tre volte di più rispetto agli asili comunali di un’altra provincia o addirittura sette volte di più rispetto a quelli di un’altra Regione.

Facciamo degli esempi concreti, in base ai dati raccolti da Cittadinanzattiva: a Lecco la spesa per la retta mensile, è pari a 547 euro, ben 7 volte più cara rispetto a Catanzaro (dove è solo di 70 euro), il triplo rispetto a Roma (146 euro) e più che doppia rispetto a Milano (232 euro).
Marcate differenze si riscontrano anche all’interno di una stessa regione: in Veneto, la retta più cara è a Belluno (525 euro al mese per il tempo pieno) e supera di 316 euro la più economica registrata a Venezia. Analogamente, nel Lazio la retta che si paga a Viterbo (396 euro) supera di 250 euro la più economica della stessa regione registrata a Roma. E le differenze ci sono anche tra realtà che hanno il tempo ridotto: al Sud, in Sicilia tra la retta di Caltanissetta (pari a 220 euro) e quella di Agrigento la differenza è di 130 euro.

citta più o meno care per gli asili nido

L’indagine svolta dall’Osservatorio Prezzi & Tariffe di Cittadinanzattiva (consultabile per intero sul sito cittadinanzattiva.it) ha preso in considerazione la famiglia tipo di tre persone (genitori e figlio di età compresa tra 0 e 3 anni) con reddito lordo annuo di 44.200 euro e relativo Isee di 19.900 euro. I dati sulle rette sono stati elaborati a partire da fonti ufficiali delle Amministrazioni comunali di tutti i capoluoghi di provincia e sono relativi agli anni scolastici 2010/2011 e 2011/2012.
Oggetto della ricerca sono state le rette applicate al servizio di asilo nido comunale per la frequenza a tempo pieno (in media 9 ore al giorno) e, dove non presente, a tempo ridotto (in media 6 ore al giorno), per cinque giorni a settimana.

I dati mostrano come le tariffe degli asili nido siano ancora in crescita (confronta nostro articolo ).
Nel 2011/12, ben 39 città hanno deciso di aumentare le rette di frequenza, e 6 capoluoghi registrano incrementi addirittura a due cifre: Bologna (+29,7%), Vibo Valentia (+29%), Perugia (+21,8%), Genova (+15,2%), Livorno (+13,9%), Sassari (+10%). Un risultato positivo però lo si può dare e riguarda la spesa media mensile a livello nazionale, che è rimasta invariata rispetto all’anno passato.

spesa e aumenti per regione

Per quanto riguarda le liste d’attesa, Cittadinanzattiva ha analizzato i dati del Ministero degli Interni relativi al 2010 e ne è emerso che il numero degli asili nido comunali ammonta a 3.623 (+6% rispetto al 2009) con una disponibilità di 141.618 posti (+3% rispetto al 2009).
In media, il 23,5% dei richiedenti rimane in lista d’attesa. Il poco edificante record va alla Calabria con il 39% di bimbi in lista di attesa, seguita da Campania (37%) e Sicilia (+36%).

La differenza tra il Nord e il Sud del Paese non si limita solo ai costi (le 10 città più care sono tutte del Nord), ma riguarda anche il numero di nidi sul territorio: sempre secondo gli ultimi dati del Ministero dell’Interno, aggiornati al 2010, la regione che emerge per il più elevato numero di nidi è la Lombardia con 794 strutture pubbliche e poco più di 28.500 posti disponibili, seguita da Emilia Romagna (611 nidi e oltre 25.500 posti) e Toscana (437 nidi e oltre 15.000 posti), ultima il Molise con soli sei asili per 300 posti disponibili.

A livello nazionale, a più di trent’anni dalla legge 1044/1971 che istituì gli asili nido comunali, se ne contano 3.623 (a fronte dei 3.800 asili pubblici previsti già per il 1976), un numero insufficiente benché in crescita rispetto ai 3.184 registrati nel 2007.
Il servizio di asilo nido pubblico è presente solo nel 18% dei comuni italiani; nel loro insieme il 60% è concentrato nelle regioni settentrionali, il 27% al Centro e solo il restante 13% al Sud.

papa-carrozzinaIl commento di Antonio Gaudioso, segretario generale di Cittadinanzattiva, ai risultati emersi è stato il seguente: “dall’indagine effettuata è evidente che ancora oggi manca nel nostro Paese un sistema di servizi per l’infanzia equamente diffuso ed accessibile su tutto il  territorio e adeguate agevolazioni fiscali a sostegno dei nuclei familiari con bambini piccoli. Le misure a favore di tali servizi rappresentano un investimento intergenerazionale che produce effetti nel lungo periodo e quindi di scarso “appeal” per una classe politica poco lungimirante e concentrata sul consenso immediato. D’altro canto la riduzione delle risorse a disposizione degli enti locali e la rigidità del patto di stabilità non aiutano a far ripartire gli investimenti in tal senso anzi contribuiscono a tagliare sempre di più le risorse destinate alla spesa sociale. Di questo passo difficilmente riusciremo a colmare il gap nei confronti dell’Europa e centrare la copertura del servizio del 33% già prevista per il 2010”.

Infatti, l’Italia lamenta un ritardo notevole rispetto agli altri Paesi europei: facendo un confronto tra i posti disponibili e la potenziale utenza (numero di bambini in età 0-3 anni) in media in Italia la copertura del servizio è del 6,5% (percentuale che sale all’13,3% se consideriamo solo i capoluoghi di provincia) con un massimo del 15,2% in Emilia Romagna ed un minimo dell’1% scarso in Calabria e Campania. Nel resto d’Europa invece la situazione è migliore: Danimarca, Svezia e Islanda si contraddistinguono per il più alto tasso di diffusione dei servizi per la prima infanzia (con una copertura del 50% dei bambini di età inferiore ai tre anni), seguiti da Finlandia, Paesi Bassi, Francia, Slovenia, Belgio, Regno Unito e Portogallo (con valori tra il 50% e il 25%).
Questo dato conferma non solo quanto l’Italia sia lontana dall’obiettivo comunitario che fissa al 33% la copertura del servizio, ma anche dal resto dei Paesi europei, anche se non siamo proprio soli ad avere dati così negativi: percentuali comprese tra 25 e 10% si registrano infatti, oltre che nel nostro Paese, in Lituania, Spagna, Irlanda, Austria, Ungheria e Germania.

Restiamo in attesa che la Pubblica Amministrazione si renda conto di quanto questa situazione influisca sulla situazione lavorativa delle donne italiane e di conseguenza sull’economia nazionale.
Nel frattempo però invitiamo le aziende private a instaurare il baby parking, di cui abbiamo parlato nel seguente articolo.

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