Opportunità

Il lavoro sarà sempre più smart

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Secondo molteplici studi, flessibilità fa davvero rima con produttività e collettività. Avere la possibilità di scegliere tempi, luoghi e orari in cui lavorare determina infatti tanti benefici, oltre che per il lavoratore stesso, per l’azienda in cui opera e per l’intera società. Il percorso verso lo smart working è avviato

Massima autonomia nella scelta di spazio, tempi e strumenti per lavorare. In estrema sintesi, questa potrebbe essere una delle definizioni di Smart working, un concetto ancora non particolarmente applicato in Italia, ma sempre più incoraggiato. Un percorso avviato, dal quale ormai non si torna più indietro, che è sempre più agevolato dalle nuove tecnologie che consentono di mescolare sfera privata e professionale.

Una promiscuità che può non essere particolarmente apprezzata se diventa troppo pressante per l’individuo, ma che, al netto di questo rischio, indubbiamente significa maggiore produttività personale e migliore qualità della vita.
Tutto questo dal lato del lavoratore, d’altra parte, in azienda e, nella società in generale, lo Smart working porta – o potrebbe portare, come vedremo – interessanti e proficui cambiamenti che, da un lato, presuppongono un’organizzazione più orizzontale, il lavoro per obiettivi, la responsabilizzazione del singolo, dall’altro, sono basati su di una diversa valutazione e valorizzazione dei propri impiegati.

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I lavoratori ormai pretendono…

Nokia, Bmw, Vodafone, Mars Italia, Tetra Pak, Unicredit, Barilla, Gruppo Valtellinese, Alpitour World e Leitner, sono solo alcune delle aziende che stanno facendo passi da gigante nella direzione di una nuova organizzazione del lavoro, attuando in modo silenzioso una vera e propria rivoluzione che ci allontana definitivamente dagli schemi seguiti sinora.
La maturità tecnologica degli individui, che nasce, anche, dall’essere sempre più avvezzi a dispositivi molto facili da utilizzare (che però racchiudono tecnologie complesse e grandi potenzialità) sta determinando una grande spinta dal basso verso l’innovazione dell’impostazione lavorativa ed esercitando una pressione forte sul management.
Basti pensare al fenomeno del Byod (Bring your own device, ossia l’utilizzo di strumenti personali – smartphone, tablet, pc – per lavorare) che continua a creare non pochi grattacapi ai responsabili informativi dal punto di vista della sicurezza delle reti e dei dati, dell’aggiornamento delle applicazioni, eccetera. Del resto, come poter pensare di dare in mano un vecchio computer a persone abituate, magari, alla velocità di un ultrabook?
E, infatti, la ricerca targata Microsoft-Harris Interactive ha molto recentemente confermato che oltre la metà di coloro che lavora in ufficio (il 57%) si aspetterebbe di essere in grado di lavorare anche da casa.
Il multitasking pare sia una pratica già abbastanza diffusa: il 45% del campione considerato (oltre mille impiegati in attività di ufficio che utilizzano la tecnologia) lavora mentre è in viaggio di andata o ritorno dall’ufficio, il 27% mentre mangia, il 25% mentre guarda la tv, il 12% dei genitori ha addirittura ammesso di aver sbrigato del lavoro mentre erano a eventi dei propri figli.
Le attività predilette in tali occasioni sono prima di tutto la lettura delle mail (62%), l’elaborazione o la condivisione di documenti (50%), l’analisi di dati e informazioni (49%). Il 16% del campione ha dichiarato di riflettere meglio fuori ufficio…
Avendo la possibilità di lavorare anche in mobilità, gli impiegati si sentono più produttivi (92%), di maggiore successo (91%), più collaborativi (85%) e più focalizzati (75%).
Insomma, sono 6 su 10 i lavoratori che sanno di poter tranquillamente lavorare in luoghi non convenzionali, dal treno ai parchi; mentre, secondo questa indagine, sono solo un quarto coloro che non lavorano mai fuori ufficio e fuori orario.

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Vantaggi per tutti, a partire dalle donne

L’autrice della proposta di legge sullo smart working, presentata a gennaio di quest’anno, ha dichiarato di averla pensata in primis per l’occupazione femminile, in quanto è soprattutto la donna, innegabilmente, che deve riuscire a conciliare lavoro e famiglie (famiglie, al plurale perché oltre alla propria, spesso si occupa anche di quelle di origine sia sua che del partner).
Il rischio in questo caso è che si possa configurare l’ennesimo squilibrio di genere? Si deve pensare allo Smart working solo per coloro che hanno bisogno di organizzare il tempo su più fronti?
Nella scorsa edizione dell’Osservatorio sullo Smart working si è notato che erano più numerosi gli smart worker di sesso maschile (72%) e tra l’altro, principalmente, di un’età compresa tra i 45 e i 54 anni. Questo introduce un ulteriore spunto: lo Smart working come status symbol?
I pregiudizi possono essere vari ma, come vedremo, sono i dati e le prime esperienze a testimoniare i vantaggi tangibili dello Smart working.

La prima Giornata del Lavoro Agile (tenutasi il 6 febbraio, un esperimento promosso da una serie di realtà tra cui Abi, Cgil, Assolombarda e Sda Bocconi) ha reso evidente che in una sola giornata – a cui hanno aderito 6mila lavoratori di circa 100 aziende – si sono avuti una serie di benefici e di risparmi, oltre che per gli interessati, per la collettività. Per esempio, il 50 percento del totale ha evitato un percorso in macchina di circa 56 km (con un risparmio pro capite di circa 2 ore di viaggio), di conseguenza hanno circolato per le strade oltre 3.000 macchine in meno.

Tornando ai dati dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, è stato calcolato che le imprese italiane potrebbero ottenere un beneficio di almeno 27 miliardi di euro, grazie a un incremento medio di produttività del 5,5%. Un aumento del 3,5% si realizzerebbe già con una diffusione del telelavoro in linea con quella dei Paesi avanzati. Sarebbe infatti frutto di una riduzione dello 0,5% dei viaggi di lavoro (per esempio anche grazie a strumenti di web e video conferenza) e dell’aumento dell’1,5% della produttività del lavoro in mobilità.
A ciò si aggiunga, il risparmio di costi diretti per le imprese (pari a circa 10 miliardi di euro) riconducibile, oltre che ai suddetti viaggi, a una riorganizzazione degli spazi di lavoro, al minor utilizzo energetico eccetera.
“È interessante notare” ha puntualizzato Fiorella Crespi, responsabile della ricerca dell’Osservatorio Smart Working, “come aziende importanti quali Barilla e Tetra Pak utilizzino lo Smart working per distinguersi dalla concorrenza e attrarre talenti da selezionare per i propri uffici”.

Tornando al discorso relativo alla collettività, la riduzione degli spostamenti dei lavoratori anche solo per andare e tornare dal lavoro, così come avviene in Paesi più avanzati del nostro da questo punto di vista, significherebbe risparmi economici per i cittadini (circa 550 euro per lavoratore all’anno) e una riduzione di emissioni di CO2 pari a circa 1,5 milioni di tonnellate all’anno.

Il confronto internazionale

25mo posto su 27: non usciamo benissimo dalle classifiche UE in tema di Smart Working. Secondo l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, per esempio, la Norvegia ha raddoppiato il numero delle aziende che permette il telelavoro tra il 2003 e il 2007.
Nel 2013 in Italia la percentuale di impiegati che ha telelavorato per più di un quarto del proprio tempo lavorativo è stata pari al 6,1%. Risulta positivo leggere che la percentuale di smart worker (almeno occasionali) è aumentata dell’8% tra il 2012 e il 2013, attestandosi su un 25%. Nel prossimo ottobre si avrà l’aggiornamento dell’Osservatorio e speriamo di aver recuperato un poco.

Concludiamo accennando a una nota positiva: la diffusione delle tecnologie Mobile e Social influenzeranno sempre più anche il mondo del lavoro a livello globale e questo, come si diceva, determinerà nuovi comportamenti e modelli. Nel biennio 2014-2015 il 71% delle grandi aziende prospetta investimenti in nuovi dispositivi mobili, così come in applicazioni operative (il 65%) che consentono un aumento della produttività. Saranno stanziati budget anche per iniziative di Social computing (48%) e Unified Communication & Collaboration (47%).

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Cristina M. Palumbo

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