Studi e ricerche

Imprese italiane del design al lavoro

design

designPresentato il Rapporto “L’arte di produrre Arte. Imprese italiane del design al lavoro” a cura dell’Associazione Civita. Il rapporto offre una fotografia dinamica delle imprese dell’Industria culturale e creativa italiana

Della panoramica imprenditoriale, il rapporto mette in evidenza in particolare l’ambito del design che, per via delle sue molteplici sfaccettature e articolazioni, non è pienamente rilevato dalle statistiche tradizionali.

Il Rapporto è stato realizzato dal Centro Studi “G. Imperatori” dell’Associazione Civita, con il contributo e la collaborazione della Fondazione Roma-Arte-Musei, con l’obiettivo di “fornire uno strumento informativo qualificato, utile per la formulazione di politiche strategiche a sostegno dello sviluppo delle attività culturali e dell’economia dei territori”.

Nella prima parte si analizza, da un punto di vista quantitativo, l’Industria Culturale e Creativa (ICC) nel suo complesso e nelle sue componenti; nella seconda, attraverso un’indagine di campo di natura più qualitativa, viene esaminato il design e le sue relazioni con il tessuto produttivo.

Rispetto ad altre indagini già condotte in Italia sullo stesso tema, la ricerca di Civita si caratterizza soprattutto per aver focalizzato l’analisi sul settore privato dell’ICC.

In particolare, l’ICC è stata analizzata facendo riferimento a quattro grandi comparti:

 

  1. Editoria, TV e cinema;
  2. Design, web, Pubblicità e Pubbliche Relazioni;
  3. Arti visive;
  4. Beni culturali.

 

Vediamo cosa ne è emerso.

La fotografia del settore presenta segni evidenti e gravi di crisi. Nel 2011 le imprese attive ammontano a 168.309; rispetto al 2010 ne sono scomparse 10.870, con l’effetto che il loro peso sul totale delle imprese “private” italiane scende dal 4,5% del 2010 al 4,3% del 2011. Un calo annuo del 6,1%, nettamente superiore a quello registrato in comparti quali le Costruzioni (-3,8%), il Manifatturiero (-0,5%) e gli Altri servizi (-0,8%).

I dati relativi agli occupati mostrano che la crisi dell’ICC è ancora più allarmante di quella che risulta analizzando i dati sul tasso di mortalità delle imprese. Il settore ha perso nel 2011, rispetto all’anno precedente, 28.738 addetti ed ha visto passare i suoi occupati da 355.231 a 326.493 unità. Una contrazione che, in termini percentuali (-8,1%), è superiore a quella fatta registrare da tutti gli altri settori, ad esclusione delle Costruzioni (-9,4%). Alla perdita netta (differenza tra posti di lavoro persi e creati) che si è verificata nel 2011 hanno contribuito tutti i comparti dell’ICC e, in ordine decrescente: le Arti visive per il 51,7%; l’Editoria, TV e Cinema per il 26,2%; il Design, web, pubblicità e PR per il 20,6% e i Beni culturali per l’1,5%.

Da tali dati emerge un fenomeno preoccupante per l’economia italiana: la perdita di addetti e imprese è più accentuata nei settori che dovrebbero essere più “innovativi”, quali l’Informatica e l’ICC; un dato allarmante, quindi, indicativo delle difficoltà che incontra il “sistema Italia” ad innovarsi per reggere il passo con gli altri Paesi europei.

Misurando la rilevanza dell’ICC a livello territoriale le aree metropolitane e le Province dove l’ICC pesa più della media nazionale (pari al 2,1%) sono rispettivamente: Roma, dove gli addetti al settore culturale e creativo rappresentano il 4,0% del totale, seguita da Milano con il 3,8%, Rimini con il 2,8%, Palermo con il 2,7%, Firenze con il 2,5% e altre 6 Provincie tutte del Centro-Nord.

Dal punto di vista territoriale, gli addetti dell’ICC si concentrano nel Centro-Nord, in particolare per quel che riguarda la classe Design, web, pubblicità e PR (56,0% contro il 28,4% del Centro) e quella delle Arti visive (43,7% contro il 39,9% del Centro); Nord e Centro si equivalgono come quota degli addetti nell’Editoria, TV e Cinema (43,2% per entrambi), mentre per quanto riguarda i Beni culturali gli addetti si concentrano al Centro (43,2%), seguito dalle Isole (26,1%).

Le aree dove la perdita degli addetti è stata, in valore assoluto, più elevata sono Roma con 3.662 addetti, pari a -5,9% (al di sotto della perdita media, -8,1%, registrata a livello nazionale); Napoli (-2.628 addetti, pari a -25,3%); Torino (-2.195 addetti, pari a -12,6%); Firenze (-1.544 addetti, pari a -16,7%); Verona (-1.312 addetti, pari a -19,6%).

Tali perdite indicano il perdurare di una bassa integrazione infra e inter-settoriale – con un’unica eccezione nel design, che presenta una certa capacità di integrazione a livello sia infra-settoriale (con gli studi di architettura) che inter-settoriale (con le imprese del Made in Italy) – causa, fra l’altro, dei ridotti impatti (diretti e indiretti) che una spesa nel settore esercita in termini di reddito e occupazione per le economie di riferimento.

 

Focus sul design 

L’indagine specifica sul design, condotta nella seconda parte del volume, mostra che le imprese italiane hanno investito nel 2011 circa 4 miliardi di euro nelle attività del design, contro i 3,5 miliardi circa di Germania e Regno Unito e 1,5 e 1,1 miliardi rispettivamente di Francia e Spagna. Miglioramento della qualità e ampliamento della gamma costituiscono le leve di tali investimenti, poiché consentono alle imprese di competere sui mercati nel periodo della crisi; da qui l’impiego di una parte delle risorse, in particolare, in attività di ricerca e sviluppo realizzate all’interno delle imprese stesse.

Il volume, inoltre, presenta alcune indagini di campo effettuate nelle aree dove risiede una maggiore concentrazione di eccellenze nel campo del Made in Italy, quali Lazio, Lombardia, Marche e Veneto, al fine di identificare le relazioni e le interconnessioni tra formazione, design e imprese, individuarne i punti di forza e di debolezza, e, in particolare, mostrare attraverso quali vie il design si tramuta in quel capitale intangibile capace di arricchire i prodotti e trasformarli in veri e propri asset della nostra economia altamente competitivi sul mercato mondiale.

Le indagini di campo realizzate nelle quattro Regioni suindicate, da un lato, mostrano le molteplici forme in cui si concretizzano i rapporti tra Industria e Design: da forme di consulenza esterna più o meno stabili e durature (capaci, in alcuni casi, di generare una vera e propria identificazione fra impresa e designer), all’integrazione dei designer nell’organico aziendale attraverso l’istituzione di un ufficio stile o dell’area ricerca e sviluppo; dall’altro, evidenziano come il processo di rinnovamento dei distretti produttivi locali, pur rappresentando la principale sfida per il nostro sistema industriale, stia procedendo in modo differenziato, disegnando geografie in larga parte ancora inedite del binomio territorio-competitività.

Più specificamente per le singole Regioni analizzate è emerso che:

  • in Lombardia, dove Milano continua a rappresentare il principale polo attrattore, l’iper-competitività del sistema e una forte concentrazione della domanda tendono a isolare realtà aziendali più periferiche o meno attrezzate e penalizzano le figure dei giovani designer, impedendo, in tal modo, la costruzione di percorsi originali di ricerca;
  • in Veneto gli ultimi dieci anni sono stati caratterizzati da una generale crescita della domanda di servizi ad alto valore aggiunto da parte delle piccole e medie imprese dei suoi distretti che ha determinato lo sviluppo di una rete di attività di servizio insediatasi sul territorio;
  • nel Lazio l’interazione tra la componente di design e le imprese locali è ancora in una fase iniziale. Alcuni dei traguardi importanti che su questo fronte sono stati raggiunti negli ultimi cinque anni testimoniano l’importanza e l’utilità di continuare nel sostegno attivo e nella promozione delle nuove pratiche professionali emergenti, facilitando contatti e scambi con i sistemi produttivi locali;
  • nelle Marche una parte del tessuto produttivo, quella più illuminata e caratterizzata da una certa apertura alla sperimentazione, ha attirato e accolto nel tempo designer provenienti da tutto il mondo, con i quali imprenditori e professionalità più tecniche hanno instaurato un dialogo fecondo. Oggi, si pone l’esigenza di un rinnovamento che porti il sistema regionale nella direzione di una maggiore cross fertilization tra settori produttivi, utile, fra l’altro, a rendere replicabile su larga scala quella cultura materiale e immateriale della produzione che è stata alla base del successo del territorio.

La Formazione 

Sul fronte della formazione, le dinamiche più recenti mostrano, da un lato, un progressivo processo di aggregazione di risorse e competenze funzionale alla nascita di alcuni poli “leader” e, dall’altro, la necessità di strutturare un sistema di formazione continua dove mondo del lavoro e formazione secondaria e universitaria dialoghino in modo sempre più stretto, al fine di diminuire la distanza tra sapere accademico e prassi professionale ed aumentare le possibilità di inserimento dei formati nel mondo del lavoro.

Le conclusioni 

Per rinforzare e migliorare l’interazione tra industria e design, secondo lo studio condotto da Civita, le politiche settoriali dovrebbero:

  • procedere al rafforzamento del design all’interno del sistema scolastico;
  • migliorare la difesa dei diritti per la proprietà intellettuale per ostacolare la contraffazione;
  • creare e rafforzare le Istituzioni pubbliche dedicate al design.

Il settore pubblico, inoltre, potrebbe sostenere il design anche favorendo l’acquisto e l’uso nei luoghi pubblici di prodotti di qualità del Made in Italy; soluzione, quest’ultima, che implica un radicale cambiamento dei criteri di aggiudicazione dei bandi di forniture nonché una maggiore incidenza del parametro della qualità su quello di costo. (D.M.)

Potrebbe interessarti