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Giornalismo: dove va la professione

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daniela-molinaLa professione giornalistica è profondamente cambiata. Archiviata definitivamente – o quasi – la possibilità di essere assunti in una redazione, i giornalisti sono costretti a destreggiarsi tra contratti da precari, compensi irrisori e scrittori improvvisati, che lanciano notizie in rete senza alcun controllo. Per non parlare dell’accesso blindato alla professione e di una legge sull’ordinamento che mostra tutti i suoi anni – oltre cinquanta – e che non riesce a stare al passo coi tempi 

di Daniela Delli Noci

In questo panorama poco edificante, non resta che giocare la carta della formazione continua, perché i professionisti qualificati possono fare la differenza. È un obbligo di legge, quello di partecipare a eventi formativi; l’augurio è che in questo modo la professione giornalistica possa uscire dal limbo in cui si trova. Ad interrogarsi sul futuro sono stati alcuni esperti, tutti giornalisti di lungo corso e con una solida esperienza alle spalle, in occasione della presentazione del libro del direttore di Donna in Affari, Daniela Molina, dal titolo “Diventare giornalisti. Manuale di base per l’aspirante giornalista” (Irideventi Edizioni) presso l’Associazione Stampa Romana. Un testo che accompagna il giornalista fin dai primi, accidentati passi.

Per poter effettuare l’esame di idoneità professionale e diventare professionista, l’aspirante giornalista deve essere assunto come praticante presso una redazione e svolgere il praticantato per diciotto mesi. In alternativa, può dimostrare di aver pubblicato un certo numero di articoli retribuiti ed essere iscritto nell’Albo dei pubblicisti, nel quale un tempo venivano inserite le persone che svolgevano altre professioni e che consideravano il giornalismo un secondo lavoro. “Oggi è l’unica strada rimasta per entrare nel mondo giornalistico” ha detto Roberto Ambrogi, direttore responsabile di Mediaquattro e consigliere Unaga, Unione Nazionale Associazione Giornalisti Agricoli. “Il giornalista è profondamente cambiato ed è diverso il modo di svolgere questa professione, anche se lo spirito è rimasto lo stesso. Prima esistevano solo il cartaceo, la televisione e la radio. Oggi, grazie a internet, chiunque può scrivere le proprie opinioni; occorrono obblighi ancora più stringenti e la formazione è importante, serve per tutti.”

Massimo Marciano, consigliere dell’INPGI, l’Istituto di previdenza dei giornalisti, si è interrogato se questo lavoro debba essere considerato un mestiere o una professione. “Siamo in un momento di passaggio. Fino a poco tempo fa, secondo me, è stato un mestiere. All’inizio della mia carriera sono stato mandato ad occuparmi di cronaca nera e, grazie ai miei maestri, ne sono uscito bene. Stiamo assistendo a una delegittimazione di questa categoria professionale, perchè tutti scrivono quello che pensano e, pur non commettendo reati, possono ingannare i lettori, mettendo in evidenza alcune cose a discapito di altre, perché non esiste controllo deontologico sui blog. C’è una sorta di ‘balcone virtuale’, che è mediato dai social network e che non passa attraverso l’esperienza giornalistica ed il controllo deontologico. L’Ordine dei giornalisti, invece, ha un potere sanzionatorio nei confronti del giornalista e tutela un bene garantito costituzionalmente. Infatti, come può essere sovrano un popolo che non è informato? Come può decidere?”
Massimo Marciano ha inoltre posto l’accento sulla necessità aprirsi e di parlare di queste problematiche anche con altre realtà sociali, come le associazioni dei consumatori. “Il sistema previdenziale introdotto dalla riforma Dini nel 1995 sta creando una futura generazione di indigenti” ha sottolineato “e dobbiamo aprire un dibattito sulla necessità di cambiare il sistema di welfare. Oggi il compito del giornalista è ancora più delicato e avere una solida formazione è fondamentale.”

relatori“È una professione, ma rimane un mestiere” gli ha fatto eco Paolo Pirovano, segretario nazionale dell’Ordine dei Giornalisti “perché si impara sul campo, con persone che ti insegnano. Si esercita un controllo sulle istituzioni, perché a volte si rovesciano le ‘verità’ istituzionali. I giornalisti professionisti sono pochi, oggi, rispetto ai pubblicisti. I giornali in Italia li fanno i pubblicisti, che consentono ai giornali stessi e alle radio di andare in edicola, in onda, on line. Alcune trasmissioni di intrattenimento hanno preso il posto del giornalismo d’inchiesta.” In caso di problemi, di informazione non corretta da parte di chi opera in queste trasmissioni, l’Ordine non può fare nulla, bisogna rivolgersi alla giustizia ordinaria.

I pubblicisti hanno da qualche tempo la possibilità di ricorrere al cosiddetto “ricongiungimento” per far valere l’esperienza pregressa e per poter accedere all’esame di idoneità professionale, ma le domande presentate all’Ordine restano poche. Possono, inoltre, chiedere all’Ordine dei giornalisti che venga riconosciuto d’ufficio il praticantato effettuato al di fuori delle prescrizioni legislative.

Per diventare giornalista si deve dunque intraprendere un percorso articolato e Daniela Molina, nel suo libro, mette in guardia i futuri professionisti: non ci si deve avviare a questa professione avendo come unica motivazione il fatto di provare piacere nello scrivere. La responsabilità del giornalista è grande, perché si rivolge a migliaia di persone e il messaggio deve essere corretto, in quanto è il veicolo attraverso il quale i lettori acquisiscono la conoscenza del mondo che li circonda. Inoltre, non si deve mai dimenticare che può definirsi giornalista solo chi è iscritto al relativo Albo. La motivazione deve essere forte, perché la professione implica adempimenti, responsabilità, impegno, formazione iniziale e continua. Pratica e teoria, ha sottolineato l’autrice, devono andare di pari passo, perché entrambe sono essenziali.

 

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