Uno studio SDA Bocconi e PwC sull’applicazione della Legge 190/2012 in oltre 200 Enti pubblici negli ultimi 2 anni. Il piano triennale anti corruzione è stato emanato quasi ovunque ma non ci sono controlli e monitoraggi e spesso l’applicazione delle regole è solo formale, per gettare fumo negli occhi
Luci e ombre sull’applicazione delle misure anticorruzione nella PA, che – pur aumentando le strategie per evitarla – non implementa controlli e monitoraggi.
Ad evidenziarlo è stato lo Studio condotto dal Laboratorio Frodi dell’Osservatorio di revisione di SDA Bocconi in collaborazione con PwC i cui risultati sono stati resi noti il 14 luglio 2015 in occasione del convegno ‘Prevenire la corruzione nel settore pubblico’ organizzato da AREL, PwC, SDA Bocconi e UniCredit. Lo studio ha riguardato l’applicazione, in oltre 200 enti pubblici negli ultimi 2 anni, della legge n.190 del 2012 ‘Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione’.
I risultati indicano che il 99% degli Enti messi sotto la lente (205, tra cui aziende del Servizio Sanitario Nazionale, Camere di Commercio, Enti pubblici territoriali, Università pubbliche, ecc.) ha emanato un piano triennale anticorruzione e il 71% di essi ha una politica di selezione dei fornitori. Solo l’8% valuta le performance e si dota di strumenti di controllo.
Per verificare le misure di prevenzione introdotte sono state condotte 205 interviste a tali Enti pubblici alle quali è seguita un’analisi approfondita dei PTPC (Piani Triennali di Prevenzione della Corruzione) e delle Relazioni Annuali dei responsabili senza dimenticare quella dei Siti internet istituzionali, in particolare di 118 Comuni capoluogo di provincia.
Ne è scaturito che il 99% degli Enti intervistati ha emanato il proprio PTPC; il 99% ha nominato il Responsabile della Prevenzione della Corruzione (RPC); il 94% ha adottato un proprio codice di comportamento; il 95% dei comuni capoluoghi di provincia ha nel proprio sito una sezione ‘Amministrazione Trasparente’. Fin qui tutto bene, si è più o meno in linea con quanto stabilito dalla Legge, però poi emerge “una certa incoerenza circa il concreto approccio per prevenire i comportamenti corruttivi, con procedure che talvolta si limitano alla definizione di presidi di prevenzione senza prevedere attività di controllo. Per esempio, il 71% ha introdotto una policy volta a regolare la selezione dei fornitori ma solo l’8% valuta le performance dei fornitori selezionati”.
I risultati dello studio mettono in mostra anche altre incoerenze: “mancano presidi in molti enti pubblici e amministrazioni e si registra un’implementazione non sostanziale delle misure di prevenzione. Il 60-70% di enti pubblici non ha una disciplina specifica circa alcune aree a rischio come le spese di rappresentanza, donazioni, spese del personale dirigente. La maggioranza ha poi implementato un programma di risk assessment, ma dall’analisi dei PTPC emerge che il 41% del campione non indica quali misure di prevenzione intende attuare né in quali tempi e a chi è affidata la responsabilità”.
E i problemi non finiscono qui. Come affermano chiaramente gli studiosi, “traspare che talvolta l’applicazione delle regole è solo formale. Riguardo la trasparenza, per esempio, il 95% dei comuni capoluogo di provincia ha una sezione ‘Amministrazione Trasparente’ nel proprio sito ma essa non riporta i principali temi per cui è indicato fornire informazioni e solo il 15% ha previsto un flusso informatico adeguato”.
Non ci siamo dunque, non ci siamo ancora. Anche se – come afferma Massimo Livatino, responsabile dell’Osservatorio di revisione di SDA Bocconi e coordinatore della ricerca unitamente a Angela Pettinicchio, direttrice del Laboratorio Frodi – le strategie di prevenzione introdotte rappresentano un indubbio passo avanti nel contrasto alla corruzione. “Tuttavia, emergono incongruenze che sembrerebbero indicare, in alcuni casi, un approccio all’applicazione della legge più formale che sostanziale”.
Aggiunge Franco Lagro, Partner PwC: “La ricerca ha evidenziato che non sempre l’adozione dello strumento si accompagna al necessario monitoraggio e alla verifica della sua efficace implementazione da parte della stessa Amministrazione, in termini di controlli operativi sulle attività a rischio e misurazione dei risultati raggiunti”.
Enrico Letta, per l’AREL, ha spiegato che lo studio presentato “è fondamentale perché l’applicazione delle varie normative anticorruzione non sia solo formale, come spesso accade, ma sia davvero effettiva e sostanziale”.
Appare quindi auspicabile, concludono gli autori, che le istituzioni centrali (quali i ministeri e i dipartimenti competenti e l’ANAC) diffondano linee guida in grado di indirizzare e facilitare la redazione dei piani stessi e il loro successivo monitoraggio. Ciò aumenterebbe l’efficienza nella predisposizione dei piani di prevenzione e agevolerebbe la misurazione dell’implementazione della norma e, soprattutto, dell’effettiva efficacia delle misure introdotte.
(D.M.)