Diritti

Il lavoro minorile nell’Italia dei diritti negati

figli-di-un-lavoro-minore

Mai come in questo caso la crisi si può definire complice. È infatti proprio con questa scusa che il 54% dei genitori giustifica l’abbandono scolastico e manda al lavoro il proprio figlio di età inferiore ai 16 anni, per portare soldi a casa

L’indagine è dell’Osservatorio Paidòss ed è stata divulgata in occasione del Congresso internazionale organizzato in collaborazione con l’ANMIL (Associazione nazionale fra lavoratori mutilati e invalidi del lavoro). Il II Forum internazionale Paidòss Anmil dedicato all’infanzia si è tenuto a Lecce dal 24 al 26 settembre 2015 ed è proprio in questa occasione che sono stati riferiti ufficialmente i risultati dell’indagine dell’Osservatorio nazionale sulla salute dell’infanzia e dell’adolescenza.

L’indagine Paidòss è stata condotta da Datanalysis intervistando 1000 mamme e papà rappresentativi della popolazione generale italiana per fare chiarezza sulla percezione del lavoro minorile da parte di genitori di bambini e ragazzini con meno di 16 anni.

Il punto di partenza è che il lavoro minorile non è solo un fenomeno sociale ed economico: ha dei risvolti sanitari concreti che possono andare dall’infortunistica alle malattie professionali che, su un fisico in via di sviluppo, possono incidere tanto quanto incidono su un corpo adulto.
Purtroppo non tutti i genitori sono a conoscenza di questo dato di fatto e si preoccupano di più di far quadrare i conti. Questo è quanto si evince dai dati che mostrano come solo un genitore su tre si opporrebbe con ogni mezzo all’abbandono della scuola per il lavoro da parte di un figlio under 16.
Il 54% delle mamme e papà ritiene che le difficoltà economiche possano giustificare almeno in parte l’abbandono scolastico per trovare un impiego, il 46% pensa che nel lavoro minorile non ci sia nulla di male o esistano situazioni che lo possano giustificare.

E così ecco che in Italia si muove un piccolo esercito di baristi, commessi, parrucchieri ma anche braccianti agricoli, manovali nei cantieri, meccanici di officina. Sono 280.000 gli under 16 italiani che si “guadagnano da vivere”, lavorando complessivamente oltre un milione di ore ogni giorno: 30.000 sono a rischio sfruttamento perché impiegati in lavori pericolosi o che possono compromettere molto seriamente il loro sviluppo, ad esempio perché costretti a stare svegli di notte o a non andare a scuola, uno su due non viene neppure pagato anche perché la maggioranza aiuta in casa (33%) o nell’attività di famiglia (40%).

Come spiega Giuseppe Mele, presidente Paidòss, “l’idea che iniziare la gavetta presto possa aiutare i ragazzi a inserirsi meglio nel mondo del lavoro è falsa e fuorviante, un modo utile soprattutto a nascondersi ipocritamente di fronte alla realtà: lavorare prima dei 16 anni è un furto dell’infanzia, mette a rischio la salute e il benessere psicofisico e non aiuta a trovare meglio lavoro. Le stime indicano addirittura che un bambino costretto a lavorare prima del tempo avrà il doppio delle difficoltà per trovare un impiego dignitoso, da adulto”.

I genitori italiani, stremati da anni di difficoltà economiche, sembrano non capire fino in fondo la gravità dell’abbandono scolastico, che oggi riguarda il 18% dei giovanissimi, per la ricerca di un impiego. Continua Mele: “I dati raccolti indicano una preoccupante indulgenza dei genitori italiani nei confronti del lavoro minorile: il 26%, con punte del 33% al Sud, non ci vede nulla di male mentre il 20% ritiene che il giudizio debba dipendere dalla situazione del singolo. Di fatto, non viene condannato senza se e senza ma come sarebbe giusto. Così, se da una parte oltre l’80% ritiene che il lavoro minorile “rubi” ai ragazzini la formazione scolastica, l’infanzia e una normale crescita psicofisica, si scopre che a tutto questo si può rinunciare di fronte alle nuove necessità imposte dalla crisi economica, ritenuta la principale responsabile degli abbandoni scolastici da un genitore su tre: le difficoltà finanziarie giustificano il ricorso al lavoro di un bambino o un ragazzino per metà delle famiglie. Ma ciò che forse turba ancora di più è che solo il 34% delle mamme e dei papà costringerebbe a restare sui banchi un figlio intenzionato a lasciare la scuola per lavorare, impedendogli una scelta dannosa per la sua vita: uno su quattro accetterebbe la decisione pur ritenendola un errore, uno su cinque la considera una volontà da rispettare comunque. Non è così: ogni bambino ha il diritto di essere protetto dallo sfruttamento economico, in qualunque sua forma”.

I genitori italiani inoltre non comprendono la gravità del fenomeno e pensano che tanto riguardi solo gli altri Paesi oppure i ragazzini stranieri che arrivano in Italia e vengono sfruttati (come se ciò fosse una giustificazione, qualcosa che non li interessa da vicino e della quale non devono preoccuparsi): il 30% dei genitori italiani pensa che il lavoro minorile in Italia riguardi solo gli stranieri, il 55% lo considera un dramma dei Paesi sottosviluppati, il 40% ignora che esistano piccoli sfruttati anche entro i nostri confini, ma in realtà dei 280.000 piccoli lavoratori solo 20.000 sono stranieri e il 17% dei genitori intervistati per lo studio conosce la storia di ragazzini lavoratori, figli di amici e parenti o conoscenti dei propri figli, con punte che arrivano al 22-24% nell’insospettabile Nord. Resiste tuttavia il pregiudizio verso il Sud, visto che il 40% crede che si tratti di un problema confinato al Meridione.

“Il lavoro minorile ha mille sfaccettature, ma una caratteristica comune: mette a rischio lo sviluppo psicofisico dei ragazzi.” A dirlo è il prof. Claudio Mencacci, past president della Società Italiana di Psichiatria e direttore del Dipartimento di Salute Mentale del Fatebenefratelli di Milano, che precisa: “ruba tempo che andrebbe impiegato diversamente: stare con gli amici, studiare, leggere, fare sport sono le attività giuste per i minori, quelle che aiutano il loro fisico ma ancor di più il loro cervello a svilupparsi nel migliore dei modi, in pieno benessere. Togliere le occasioni di riposo, svago, sport, apprendimento significa aumentare il rischio di disagi psicologici e disturbi dell’umore una volta diventati adulti: ansia, stress ma anche una mancata adeguata ‘costruzione di sé’ possono minare il benessere mentale futuro di questi ragazzi costretti a crescere troppo in fretta, magari sotto la pressione della necessità di contribuire a far quadrare i bilanci familiari dissestati dalla crisi”.

Cosa fare? Un modo ci sarebbe, e Paidòss propone una “ricetta salva-infanzia”, un decalogo che riporta in prima linea la scuola: è a questa che spetta infatti la formazione e la preparazione dei ragazzi al mondo del lavoro.
“La scuola deve essere protagonista del processo di crescita dei ragazzi e può diventare un antidoto efficace allo sfruttamento dei minori” spiega Giuseppe Mele. “Il nostro decalogo sottolinea la necessità di una scuola gratuita, aperta alle esperienze, che sia realmente formativa e che riesca ad attrarre i ragazzi con programmi attuali, inseriti nel contesto contemporaneo e capaci di offrire competenze tangibili. Gli insegnanti devono tornare a essere un punto di riferimento solido per la crescita dei giovani, le ore in classe non devono essere vissute come tempo perso ma come un periodo prezioso utile alla propria crescita sociale, culturale, personale: solo così, avendo ben chiaro il valore dell’istruzione, diventerà più facile opporsi al richiamo del lavoro minorile. Anche in tempi difficili come quelli attuali”.

Non bisogna dimenticare infatti che, come spiega Franco Bettoni, presidente nazionale ANMILA, “i minori che lavorano purtroppo, in violazione delle norme che li tutelano da impieghi a rischio, si trovano spesso in situazioni che li pongono in pericolo in quanto non sono purtroppo rari i casi in cui ragazzini sono costretti a lavorare alla sera, rinunciando a ore di riposo ed esponendosi a una maggior probabilità di malattie come obesità, diabete, tumori (estrapolando dai dati sulla mancanza di sonno); soprattutto, molti maneggiano assiduamente sostanze chimiche tossiche, pensiamo ad esempio ai piccoli impiegati in negozi di parrucchiere o come calzolai, meccanici, braccianti agricoli. Ci sono ragazzini che svolgono lavori in cui si devono utilizzare oggetti taglienti o attrezzi pericolosi, altri che aiutano in cantieri edili dove il rischio di incidenti è considerevole: tutto ciò incrementa moltissimo la probabilità che un piccolo lavoratore si faccia seriamente male, con conseguenze che possono in alcuni casi compromettere tutto il resto della vita”.

(D.M.)

Potrebbe interessarti