Diritti

Lo sport femminile più praticato: la discriminazione

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In Italia la normativa considera professionisti soltanto gli uomini. Intervista alla vice presidente del Senato, Valeria Fedeli: “Presentato DdL per colmare questo gap”. Nell’intervista la senatrice affronta anche altri temi della discriminazione di genere in ambito lavorativo e parla delle prossime novità legislative al riguardo

di Daria Contrada, giornalista

Mens sana in corpore sano diceva il poeta latino Giovenale per sottolineare l’importanza dell’attività fisica nel mantenimento di buone funzioni cerebrali. Forse in pochi però sanno che anche nello sport esistono atleti di serie A e atleti di serie B. Per lo Stato italiano, infatti, tutte le atlete sono formalmente delle dilettanti: la Legge n. 91 del 1981 sul professionismo sportivo non permette alle donne di accedere al professionismo. L’ennesima incongruenza tutta italiana, cui il Parlamento stavolta sembra voler porre rimedio. Ne abbiamo parlato con la Vicepresidente del Senato, Valeria Fedeli: donna, sindacalista, esponente del Partito Democratico, da sempre in prima fila contro la discriminazione di genere.

Senatrice, lei ha depositato un disegno di legge contro la discriminazione nello sport. Cosa l’ha spinta a presentare questa proposta?

Bisogna riconoscere a tutto lo sport femminile italiano il giusto valore che merita: un valore sociale, economico e culturale finora negato, limitato, sottovalutato. Ho deciso di affrontare questa incongruenza con un’azione concreta, presentando, il primo luglio scorso, un disegno di legge per modificare la normativa attuale e promuovere l’equilibrio di genere nei rapporti tra società e sportivi professionisti. Si tratta di una norma di civiltà che serve a rendere il nostro Paese coerente con il diritto internazionale, che caratterizza il diritto allo sport non solo in relazione al diritto all’impiego del tempo libero in attività ludico-motorie, ma anche come diritto di tutti, donne e uomini, all’accesso alla pratica sportiva, a svolgere mestieri legati allo sport, ad essere presenti negli organi dirigenziali dello sport, a veder applicate nello sport professionistico e nella contrattualistica le stesse regole che disciplinano i rapporti di lavoro. La norma che ho proposto è molto semplice e chiara: da un lato, introduce il divieto di discriminazione da parte delle federazioni sportive nazionali per quanto riguarda la qualificazione del professionismo sportivo; mentre dall’altro, sul modello della legge n. 125 del 1991 sulle azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro, prevede l’inversione dell’onere della prova – che quindi spetterà alle federazioni sportive nazionali, titolari del potere di qualificazione delle atlete e degli atleti come “professionisti” o “dilettanti” – nel caso in cui elementi di fatto, desunti anche da dati statistici relativi alle qualificazioni degli sportivi professionisti, alla costituzione e alla affiliazione delle società sportive, siano idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso. Insomma, dobbiamo dire basta al vergognoso ritardo normativo e culturale con cui l’Italia continua a negare, alle nostre atlete, la propria professionalità.

A che punto è l’iter del provvedimento in commissione?

Al momento è stato depositato. Una volta approvata in via definitiva la legge di Stabilità, la presidenza deve incardinarlo in VII commissione (Cultura, scienza e istruzione); poi inizierà l’esame, ci sarà la presentazione degli emendamenti, insomma seguirà il consueto iter.

Secondo gli economisti dell’Ocse chiudere il gap di partecipazione sportiva tra uomini e donne può contribuire, nel nostro Paese, all’aumento della crescita dell’1%: un’implementazione della partecipazione femminile, soprattutto negli sport considerati più maschili, cambia la cultura e la percezione di un paese. Quanto siamo indietro su questo aspetto?

In Italia il campo delle attività sportive è ancora segnato da profonde differenze di genere sia in termini di accesso alla pratica sportiva, sia con riferimento alla maggiore rilevanza economica, sociale e mediatica dello sport praticato dagli uomini, sia, infine, per quanto concerne il campo della tutela dei diritti e della rappresentanza femminile negli organi istituzionali nazionali e internazionali che amministrano lo sport. Sebbene la partecipazione femminile sia in crescita, la differenza di genere nell’accesso alla pratica sportiva resta sostanzialmente stabile negli ultimi 15 anni. E la mancata qualificazione delle discipline sportive femminili come professionismo determina pesanti ricadute in termini di assenza di tutele sanitarie, assicurative, previdenziali, nonché di trattamenti salariali adeguati all’effettiva attività svolta. Ritengo sia profondamente ingiusto e inaccettabile che quando si arriva al massimo livello dell’attività a cui si dedica la maggior parte del proprio tempo, non si venga riconosciuti come professionisti. Non si tratta solo di una questione lessicale, ma di una vera e propria discriminazione.

A proposito di lessico, un’altra battaglia che lei porta avanti riguarda il linguaggio di genere. Sono stati fatti dei passi avanti?

Possiamo dire che la discriminazione riguarda il grado di istruzione, nella nostra lingua appena sali di livello iniziano i primi problemi. La segretaria, l’operaia sì, ma poi l’avvocato e il sindaco sono declinati soltanto al maschile e se provi a farlo notare ti trattano come un’usurpatrice di ruoli. La presidente, la senatrice: è questo l’italiano corretto. Quello che è discriminante è l’appellativo maschile, ma ce ne stiamo occupando.

Lo sport non è l’unico campo in cui l’universo femminile continua ad essere discriminato. Pensiamo al luogo di lavoro, alla violenza tra le mura domestiche. A che punto siamo in Italia?

L’attenzione del Parlamento al contrasto e alla prevenzione della violenza di genere è stata in questa legislatura più forte che mai, siamo partiti con l’approvazione della Convenzione di Istanbul e con l’introduzione della legge sul femminicidio, due strumenti di cambiamento, nelle scelte politiche del nostro Paese, senza precedenti, ma sappiamo che ancora bisogna proseguire il percorso per implementare e monitorare l’applicazione della Convenzione stessa. Per questo serve una commissione bicamerale che relazioni in Parlamento, ogni anno, il suo stato di attuazione, perché senza dati oggettivi, aggiornati e completi, è impossibile intervenire in modo coordinato e coerente contro le violenze e le discriminazioni. Secondo l’ultimo Global Gender Gap Report, l’Italia ha guadagnato 28 posti nel parametro ‘Donne nelle istituzioni’, classificandosi 41esima su 145 paesi; anche se naviga ancora al 101esimo posto, in piena zona retrocessione nel parametro ‘Donne e lavoro’: non si riconosce l’apporto femminile nel lavoro, l’importanza che riveste anche in termini di Pil per la crescita dell’intera economia.

Ci sono novità importanti nella legge di Stabilità?

Tra gli emendamenti concordati tra governo e relatrici, l’ampliamento del congedo obbligatorio per il padre lavoratore dipendente, introdotto in via sperimentale dalla riforma Fornero. La misura viene estesa al 2016 e la durata del congedo viene elevata da uno a due giorni, che potranno essere fruiti anche non continuativamente. Prorogata anche la misura sperimentale dei voucher per l’acquisto di servizi di baby-sitting, ovvero per fare fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l’infanzia o dei servizi privati accreditati. Abbiamo segnato dei passi avanti nell’incremento e nel sostegno delle politiche attive, significativi ma non ancora definitivi.

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