COMUNICAZIONE

Chi sono i veri webeti ?

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Alcune riflessioni ad alta voce per non cadere nella propaganda d’élite

Lei è un webete“: è questo il neologismo inventato da Enrico Mentana in una della sue querelles con gli utenti di Facebook, riscuotendo un successo inaspettato. Enrico Mentana , infatti, coniò queste termine utilizzandolo per la prima volta su Facebook durante una critica a quella schiera di utenti dei social network che polemizzarono in rete con lui sulla costruzione delle tendopoli per gli sfollati, mentre, secondo loro, i migranti starebbero negli hotel a 5 stelle. Nel post del giornalista si leggeva “Mi stavo giusto chiedendo se sarebbe spuntato fuori un alto decerebrato da pensare e poi scrivere una simile idiozia“. Poi, la stoccata finale con l’invenzione di “Lei è un webete“.
Con “Webete” – derivante dalla crasi tra “web” ed “ebete” – il giornalista ha espresso tutto il suo disgusto per quella categoria di persone che utilizza i social per riversare rabbia e veleno contro gli altri, specialmente se si tratta di profughi e migranti, cercando così di amplificare il proprio messaggio di odio su una piattaforma tanto diffusa. Il neologismo del direttore ha fatto letteralmente impazzire il web ed è diventato ben presto trending topic su Twitter. Si pensi che tra i commenti estasiati dei fan del giornalista, c’è anche chi ha voluto segnalare il neologismo all’Accademia della Crusca, sperando che riceva lo stesso trattamento di “petaloso”, l’aggettivo inventato da un bambino ed entrato nel vocabolario più autorevole della lingua italiana.
Fin qui la cronaca su di un termine che per sinteticità ed efficacia si è subito fatto “hastag”, attirando su di sé molte simpatie. Il Webete è quindi in generale il razzista, l’intollerante, il becero, l’ottuso, lo sgarbato, l’incolto che con un dispositivo connesso a disposizione e un account sui social può spargere odio e sciocchezze “Urbi et Orbi”. Come lo definisce Massimo Manca, Professore di Lingua e Letteratura Latina all’Università di Torino, il webete è: “Un povero minus habens del web”.
Mi sembra che tutto ciò sia l’ultimo capitolo scritto da una élite snob che da tempo è infastidita della possibilità per le persone “normali”, l’uomo “della strada” e “senza qualità”, di poter diffondere le proprie idee e opinioni, anche se sbagliate nella forma o nel contenuto. Ed in particolar modo questa élite, fatta spesso di una classe dirigente mediocre e asfittica, che è profondamente infastidita dal doversi confrontare direttamente in contraddittori pubblici su internet. Nella vita reale del resto questi confronti sono occasionali e limitati. Per esempio, chiunque abbia assistito a riunioni aziendali con dipendenti o comizi politici, la dove si leva qualche voce di dissenso fuori dal coro, l’apparato dell’evento interviene prontamente allontanando il malcapitato oppure gli stessi astanti possono facilmente tacitarlo. Nei social questo è più complesso, il confronto “one to one” impone abili capacità dialettiche e di convincimento, forte preparazione e pazienza per riuscire a spuntarla con “l’imbecille del villaggio globale” di turno.
Il clima di insofferenza a questo costante confronto con il “popolino villano” si respira anche nelle parole di Umberto Eco : “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli. Prima – ha detto Eco – parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli”.
Il problema quindi non è solo nei contenuti e nella forma in cui questi vengono espressi, ma è anche: “la prossimità”, in un bar di periferia va pur bene inveire, ma su blasonate pagina facebook tutto ciò è inaccettabile; e “l’ampiezza”, le dimensioni di un negozio e di una piazza sono tollerabili oltre possono essere perniciose.
Strisciante ed inesorabile, quindi, da qualche anno, in più ambienti, in più salotti per lo più, ci si duole di tanto potere di espressione e di diffusione concesso alle masse incolte. Per i webeti esiste quindi una democrazia limitata, circoscritta, i webeti possono votare (almeno per ora), ma non possono esprimersi in rete. Ecco allora che nel corso degli ultimi 20 anni il quadro della letteratura e dell’informazione sull’accesso alla Rete è cambiato, polarizzando, in negativo, quella “Repubblica elettronica” fatta di libero scambio di opinioni ed idee (anche se a volte sgrammaticate, imprecise e semplicistiche). Certamente non è il mio un elogio alla volgarità, ne una difesa d’ufficio delle baggianate presenti in rete, ne desidero incentivare violenze e diffamazioni in rete. Ciò che è reato nella vita reale, è corretto che sia tale anche in rete (anche se sarebbe meglio se tribunali e regolamentazioni fossero le medesime).
Ma mi chiedo chi sono i veri webeti ? Quelli che esprimono un malessere nella rete, o quelli che quel malessere hanno contribuito a generalo e che ora non desiderano nemmeno subire la minima critica o contraddittorio sui social ? I veri webeti sono quelli che cercano, con gli strumenti in loro possesso, di diffondere delle idee o di gridare il loro dolore ? Oppure sono quelli che considerano gli internauti solo una massa informe di consumatori on-line ?
Certo i webeti sono noiosi, molesti, a volte sprezzanti e screanzati, ma i veri webeti non sono loro. I veri webeti sono quelli che non si rendono conto che la comunicazione in rete fa parte di quell’insieme di aspetti culturali e di organizzazione politica e sociale di una popolazione che ne sostanziano la civiltà.
Manca allora la civiltà in rete perché la rete è piena di webeti ? oppure gli webeti portano nella rete la durezza e la mancanza di civiltà della vita reale?
I webeti non sono nuovi barbari. I webeti, più o meno organizzati, sono vittime consapevoli ed inconsapevoli di una trivialità che attanaglia tanti e troppi strati della popolazione. Forse il web può aiutare a far giungere questo grido alle finestre delle tante torri d’avorio presenti nel nostro Paese… ma occorre non essere webeti per ascoltare e comprendere tutto ciò.

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