COMUNICAZIONE

Instagram, l’alcol e le donne: lo strano caso di Louise Delage

Le abitudini delle donne sono profondamente cambiate anche nei confronti dell’alcol, tanto che oggi tra il sesso femminile l’assunzione di alcol è regolare e l’alcolismo ha un tasso d’incremento superiore a quello maschile

Negli ultimi anni questo fenomeno è diventato di rilevanza sociale, anche perché gli studi fatti fino ad oggi non hanno approfondito bene il problema dell’alcolismo in campo femminile. I motivi di questo sono da ricercarsi nel fatto che spesso l’etilismo femminile non è facilmente rilevabile, essendo sovente confinato nel privato o dissimulato per l’elevata riprovazione sociale.
La donna impiega un tempo più limitato dell’uomo per diventare un’alcolista e, per la maggior vulnerabilità dell’organismo femminile nei confronti dell’alcol, condizione questa determinata dalle diverse modalità di assorbimento gastrico, sviluppa molto rapidamente le complicanze epatiche e psichiatriche correlate all’abuso.
La mortalità alcol-correlata in una fascia d’età compresa fra i 30 e i 34 anni è oltre 3 volte superiore rispetto all’uomo. Oggi si calcola che il numero delle donne alcoliste corrisponde a 1/4 di quello degli uomini e la percentuali di ricoveri fra le donne etiliste è triplicata. I numeri variano molto tra i vari paesi e regioni, tanto che negli Stati Uniti alcuni studiosi dicono che un etilista su due è una donna.

L’esordio dell’abuso di alcol è più tardivo nella donna rispetto all’uomo, infatti il periodo a maggior rischio è intorno ai 40 anni, perché si tratta di un età in cui la donna può smarrire i ruoli e le speranze con più facilità. Molti possono essere i fattori che avvicinano le donne all’alcol: eccessiva routine, la trascuratezza dell’uomo verso la propria compagna, i figli ormai grandi che non hanno più bisogno del consueto accudimento.

Alcuni pensano che la casalinga sia la professione che maggiormente influisce sull’alcolismo, soprattutto quando questa condizione lavorativa è imposta da motivi familiari o economici.

Elevato è il numero delle alcoliste fra le pensionate e anche le donne in carriera o che comunque hanno una vita lavorativa fuori dal contesto domestico non ne sono indenni. Le donne etiliste sono numericamente più numerose tra le sposate ma anche la vedovanza è un fattore predisponente. Sembra che il luogo di appartenenza, la città piuttosto che la campagna, non influisca sulla scelta del bere; invece il senso di solitudine e di abbandono, vissuto per esempio dalle immigrate, sembra influire molto. C’è da dire che la donna, rispetto agli uomini, vive un alcolismo reattivo, cioè preferisce bere da sola, nascondendosi.

Donne, alcolismo e Instagram di prof. Americo Bazzoffia
Donne, alcolismo e Instagram di prof. Americo Bazzoffia

Le campagne di comunicazione contro l’alcolismo si susseguono, ma è una lotta impari. Per una campagna contro l’acolismo, ve ne sono decine che, pur lecitamente, invitano a bere birra, vino e superalcolici.
Ecco allora che in Francia Addict Aide, (http://www.addictaide.fr/) associazione francese attiva nella lotta contro le dipendenze, ha creato una nuova forma di campagna di comunicazione su Istagram con lo scopo di aumentare nei giovani la coscienza sui disagi provocati dall’alcol.
Su Instagram infatti è stato creato un profilo fake, assolutamente inventato, di una ragazza parigina di 25 anni, Louise Delage il cui profilo (https://www.instagram.com/louise.delage/), aperto soltanto due mesi fa, conta oggi circa 110.000 followers. La sua vita appare perfetta: spiagge, mare, ristoranti, barche, amici e tantissime feste. Se si osservano attentamente le sue foto però, si nota un dettaglio, dalla presenza discreta, ma non trascurabile: un alcolico, che la ragazza sorseggia costantemente in ognuna delle situazioni in cui è ritratta.“Si ha davvero consapevolezza di ciò che guardiamo online?”. Questo recita la campagna di sensibilizzazione portata avanti su Instagram attraverso un video.
Il tema doveva essere la difficoltà nel riconoscere la dipendenza delle persone a noi vicine come amici e parenti – ha svelato a AdFreak il direttore creativo Stéphane Xiberras Paris che ha curato la campagna – Abbiamo pensato che un modo interessante di mettere in luce questo problema poteva essere la creazione di una persona comune che non sospetteresti mai che possa avere un problema di dipendenza. A quel punto abbiamo creato un profilo Instagram finto“. Un esperimento sociale che ci dimostra come dietro una bella facciata possa nascondersi una terribile verità ma anche come ormai siamo osservatori distratti delle decine di migliaia di immagini che nella vita reale e sui social abbiamo sotto gli occhi ogni giorno. Somo migliaia le immagini che “guardiamo” ma non “vediamo”. Infatti il “guardare” non presuppone che si riesca anche a “vedere”. Vedere deriva dal latino videre e significa percepire la realtà attraverso l’uso della vista.

Quindi “vedere” vuol dire capire, scoprire ed interpretare ciò che ci circonda, molte volte, come nel caso del profilo fake di Louise Delage chi guarda non vede, non è consapevole, non scruta la realtà con attenzione. Infatti la maggior parte dei followers di Louise Delage non si è reso conto di trovarsi di fronte ad una identità falsa; ed ancor meno ha prestato attenzione che l’iniziale sorriso della ragazza, immagine dopo immagine, accompagnato dall’immancabile alcolico, si trasformava in un volto triste, insoddisfatto e sofferente; ed infine non si è reso conto che si trattava di una campagna social contro la dipendenza dall’alcol.

Spesso si sente parlare intellettuali ed accademici dei problemi legati alla lettura dei testi, questo caso dimostra ancora una volta che la nostra società ha il medesimo e serio problema nella attenzione e comprensione delle immagini: forse perché sono troppe ed inquinanti (quindi occorrerebbe una ecologia della comunicazione come anticipato da Ugo Volli); forse perché (eccenzione fatta per alcuni tipi di studi) esiste una scarsa cultura dell’immagine; forse perché non si è allenati alla interpretazione raffinata di simboli, icone e stili. Ciò che è certo – e che sconcerta – è che una fine azione di comunicazione nel web fondata sulla fotografia si è trasformata in una inefficace azione di comunicazione sociale in cui “il messaggio” non è stato ne colto, ne accolto.

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