In occasione della giornata internazionale della donna pubblichiamo la nostra intervista esclusiva all’europarlamentare Alexandra Geese, paladina dei diritti delle donne europee
Nella nostra intervista l’europarlamentare dei Verdi tedeschi, Alexandra Geese, fondatrice di un movimento nato dal suo slogan “Half of it”, con seguaci in tutta Europa (in Italia dalle attiviste del Giusto Mezzo https://www.donnainaffari.it/2021/02/italia-in-zona-rosa-per-il-giusto-mezzo/), ci parla di come è nato e concepito nei dettagli il suo “Half of It” in rapporto ai fondi del Next Generation Eu.
L’iniziativa di Alexandra Geese
Il settore digitale, con le sue tecnologie, ha oggi l’indiscutibile potenzialità di poter rimodellare il mondo in cui viviamo. Perché non pretendere allora che nella metà di questo vasto settore tech non venga inclusa la forza lavoro femminile? Ma bisognerà lottare, come sempre, per farsi ascoltare da chi siede nella stanza dei bottoni. Ne è convinta Alexandra Geese (si pronuncia ghese) che come parlamentare europea dei Verdi tedeschi, e componente di varie Commissioni fra cui quelle sui bilanci e l’innovazione digitale, ha lanciato nell’Unione Europea, insieme ad alcune colleghe, il Manifesto delle Donne per il digitale (ecco il link http://digital-manifesto.eu ).
Come usa dirsi, la sua iniziativa cade a fagiolo visto che per i fondi del Next Generation EU (che sono parte del Recovery Fund) ci sono degli indirizzi prefissati che riguardano per il 20 per cento gli investimenti tech (nella transizione digitale) per imprese e industria e per il 37 per cento il green (nella transizione energetica e dei trasporti sostenibili).
La nostra intervista ad Alexandra Geese
Onorevole Geese, lei ha sintetizzato nello slogan Half of It il criterio con cui auspica vengano impiegate le risorse del Next Generation Eu. Entriamo nei dettagli?
Bisogna che la forza lavoro femminile entri nei settori dove c’è più richiesta da parte delle aziende. Questi settori sono quelli della trasformazione energetica, dei trasporti sostenibili, oltre che in quello della trasformazione digitale dell’industria e delle imprese. Nel campo dell’ICT (Information and communication Technology), che conosco molto bene, lavorano soltanto il 17 per cento delle donne, oltre al fatto che le start-up tecnologiche europee sono ancora prevalentemente dominate dagli uomini. Le aziende che ricevono finanziamenti europei, quindi, dovrebbero essere obbligate a dare lavoro alle donne, ma occorre una formazione adeguata. Spesso le ragazze non scelgono di studiare cybersecurity e altre materie del tech perché sanno a priori che questi settori sono sessisti. Ma non è sempre necessario raggiungere un dottorato in informatica, quando invece si potrebbe investire nella formazione digitale anche in altro modo. Ad esempio, un corso di successo, che è stato portato avanti a Berlino, era dedicato a donne non giovanissime che avevano l’esigenza di rientrare nel mercato del lavoro. Il corso, molto flessibile, prevedeva solo una sera alla settimana in presenza e tutto il resto da remoto. In un solo anno, questo tipo di formazione ha reso possibile a molte donne di trovare occupazione nel settore digitale.
Lei crede che la sua proposta sarà ascoltata? Sappiamo che Half of It è divenuta una campagna virale. In Italia l’hashtag è stato ripreso da associazioni e movimenti femminili come Donne per la Salvezza e Giusto Mezzo, solo per citarne alcuni fra i moltissimi, e ci sono stati appelli indirizzati alle massime cariche istituzionali, affinché i fondi del Recovery fossero per metà impiegati a favore delle imprese e dell’occupazione femminile. Lei cosa prevede?
Io mi sono molto battuta perché sui progetti fossero approvate quelle si chiamano valutazioni d’impatto di genere (VIG). Il parlamento europeo aveva deliberato questo strumento, ma purtroppo il Consiglio d’Europa non l’ha voluto. Invece, sarebbe stato lo strumento perfetto per assicurare alle donne un posto nel “ricco banchetto”, perché le valutazioni d’impatto di genere costringono a riflettere. Avrebbero rappresentato una potente leva di cambiamento della cultura organizzativa dei Paesi. Ad ogni modo, esiste l’obbligo del gender mainstreaming. É uno strumento che offre un approccio di genere per valutare la diversità sociale tra uomini e donne. Anche se è un metodo un po’ meno analitico, almeno questo c’è. Io mi aspetto che i governi si attengano”.
Ci sono altri settori dell’economia dove lei vedrebbe bene l’inserimento delle donne?
Sì, quelli finanziari, che sono in mano al potere maschile, come il settore del venture capital. É un altro campo dove c’è il potere e, quando c’è il potere, scompaiono le donne. Un efficace proverbio britannico dice così: quando non si sta seduti attorno al tavolo, probabilmente si è sul menu. Il senso mi pare chiaro. I capitali di ventura sono forme d’investimento che possono dare ritorni economici eccezionali. Sono il tipo di raccolta finanziaria a cui si rivolgono le start-up, per intenderci. Oggi come oggi da queste idee innovative, molto centrate nel settore delle imprese digitali, dipende il modo in cui viviamo. Ma anche il mondo del venture capital è sessista e quindi porta le donne a non volerci stare. Dovrebbero essere gli Stati, perciò, a investire nei fondi di venture capital, dedicandone alcuni alle donne.
Onorevole Geese, dov’è che le donne sbagliano? In Italia, per esempio, constatiamo una scarsa presenza di donne in ruoli decisionali, soprattutto nelle istituzioni.
Preferisco pensare a cosa si dovrebbe fare concretamente per le pari opportunità nelle aziende, a scuola, nelle istituzioni e, più in generale, nella società. É questa la domanda giusta. Pensiamo per esempio ai gadget nelle uova pasquali: la sorpresa varia a seconda se l’uovo è per i maschi oppure per le bambine. Costruzioni e macchinine sono riservate ai maschi. Per le bambine, invece, troviamo principesse e minigiochi che ricalcano gli stereotipi. Ma noi donne siamo la metà del mondo, Half of It, e come ho ricordato prima il digitale e l’ambiente, su cui si concentreranno i fondi in arrivo dall’Europa, sono stradominati dall’occupazione maschile. É lì, innanzitutto, che l’attenzione dei governi e la sorveglianza della Commissione europea dovranno marcare stretti, incentivando l’occupazione femminile.