Salute e benessere Società

Giornata mondiale della Fibromialgia

La malattia che fa perdere il lavoro, potremmo definire così la fibromialgia, una malattia non rara eppure poco conosciuta dai medici del lavoro

In occasione della giornata mondiale della fibromialgia, a seguito di un evento online al quale hanno partecipato rappresentanti di enti e associazioni coinvolte a vario titolo nella cura e nello studio della sindrome fibromialgica, abbiamo deciso di parlare di questa patologia che in Italia ha un’incidenza ufficiale del 2.2% (1,3 milioni di persone in base ai dati Istat del 2013, oggi se ne stimano invece circa 2 milioni), in particolare donne. Il 50% di chi ne soffre perde il lavoro o è costretto a chiedere un part-time perché non riesce a mantenere il ritmo dei colleghi.

I sintomi – ambigui – della fibromialgia
Non ha sintomi distintivi certi, che permettano una diagnosi tempestiva, non ha uno specifico marcatore, si potrebbe dire che è una patologia da considerare dal punto di vista olistico, proprio perché molti specialisti e medici di base, focalizzandosi solo su uno dei diversi sintomi, non riescono ad individuarla immediatamente, anzi: a volte prendono il paziente per un ipocondriaco, tanto da farlo sentire “invisibile”.

I sintomi possono comparire all’improvviso e sparire così come sono arrivati, lasciando la persona sofferente e sconcertata. Quelli principali sono: dolore diffuso, stanchezza fisica e mentale, disturbi del sonno, ansia, depressione. Per quanto concerne la stanchezza – spiega il prof. Piercarlo Sarsi Puttini, ordinario di reumatologia all’Università statale di Milano e direttore UOC reumatologia del Fate bene fratelli, Polo universitario “Luigi Sacco” di Milano – si tratta della difficoltà a recuperare le energie, ci si impiega molto più tempo; la fatica mentale è invece rappresentata dallo sforzo cognitivo superiore al normale dovuto alla difficoltà di linguaggio, di concentrazione, della memoria a breve termine. Chi soffre di fibromialgia non riesce a mantenere lo stesso ritmo dei colleghi al lavoro, tanto è vero che il 50% è costretto a rinunciarvi o chiedere il part-time.

Come riconoscere la fibromialgia
Il dolore è l’aspetto più rilevante della sindrome. È distribuito in tutto il corpo e quando perdura da almeno 3 mesi (è cronico) ed è accompagnato dagli altri sintomi (per esempio il sonno non ristoratore, non fisiologico, di cui soffre il 90% dei fibromialgici) allora si dovrebbero prescrivere degli accertamenti per confermare il sospetto e arrivare alla diagnosi.
Chi soffre di fibromialgia ha dolori muscolo-scheletrici, mal di testa, formicolii, può avere alterazioni della vista, del gusto, dell’olfatto, può sentire eccessivamente i rumori. Le donne sono ipersensibile a livello genitale e non riescono ad avere rapporti sessuali. Tutti questi sintomi sono collegati. La ragione – spiega il prof. Sarsi Puttini – sta nella modificazione della percezione del proprio corpo: questa sindrome fa abbassare la soglia del dolore; i recettori che trasmettono le sensazioni al cervello funzionano male, le amplificano.

Le cause della fibromialgia
Ormai è scientificamente provato che lo stesso dolore cronico è una malattia collegata alla modifica della sua percezione, come succede appunto nella fibromialgia. Ed è scientificamente provato che tale percezione viene modificata quando ci sono problemi in famiglia. Questa sindrome trova dunque origine nel comportamento sbagliato dei genitori, che si ripercuote sui figli. Li studi provano che ci soffre di fibromialgia proviene da una famiglia anaffettiva oppure da una famiglia permeata dal “doverismo” (i genitori inculcano nei figli un eccessivo senso del dovere, deprimendo la loro creatività e caricandoli di responsabilità, come ad esempio obbligando il figlio maggiore a fare da babysitter al fratellino) oppure ancora hanno subito abusi dai genitori, di ordine fisico (venivano picchiati), psicologico (venivano umiliati) o sessuale. Tutto ciò provoca questa patologia che viene pertanto definita anche “infelicità dolorosa”.

prof. Sarsi Puttini

Dalla diagnosi di fibromialgia alla cura
Vista la difficoltà nel riconoscere e quindi curare la sindrome, dal 2011 i criteri per la diagnosi si basano su una griglia di punteggio dove la malattia è certa dai 12 punti in su e il massimo punteggio è 31, che indica il massimo grado di severità della malattia. Infatti si può soffrire di fibromialgia anche in modo molto lieve oppure ci può essere la remissione della malattia a seguito delle terapie. Il punteggio è quindi importante anche per valutare l’esito delle cure attuate, che non sono mai esclusivamente farmacologiche. Per questa ragione è necessario un approccio multidisciplinare. Il paziente deve aggiungere al trattamento farmacologico (solitamente costituito da antidepressivi, antinfiammatori, analgesici, con le ultime novità rappresentate dai cannabinoidi e dalla L-acetil-carnitina) un’attività motoria che lo rimetta in forma fisica, un corretto stile nutrizionale, psicoterapia e “selfmanagement”, ovvero la capacità di studiare da solo la terapia individuale che funziona per sé.

 

Fibromialgia questa misconosciuta
L’istituto Piepoli ha realizzato un’indagine quantitativa su un campione rappresentativo della popolazione italiana, composto da 1.000 persone per il 52% donne in quanto in Italia la maggioranza della popolazione è femminile, e per il 43% da over 55, sempre per riportare le stesse proporzioni del livello nazionale.
Il vicepresidente dell’istituto, Livio Gigliuto, ha illustrato i risultati dell’indagine evidenziando che i 2/3 degli intervistati non conoscevano la fibromialgia nemmeno per sentito dire mentre il 34% dichiarava di conoscerla ma al momento di descrivere di cosa si trattasse, appena il 13% ha saputo dare una risposta.
A rispondere esattamente sono state soprattutto le donne con titolo di studio elevato e di età tra i 35 e i 54 anni, a riprova che chi ha più di 55 anni non conosce questa patologia perché fino a pochi anni fa se ne parlava pochissimo. Il 42% di chi la conosce ne ha avuto notizia dalla tv anche se la fonte più affidabile è ritenuta il medico di base (33%). Ciononostante appena il 7% della popolazione ne ha sentito parlare dal medico. E, alla fine, a dimostrazione di come la modalità di acquisizione delle informazioni stia cambiando, il 20% degli italiani si fida di più di ciò che trova su internet.
Tra i risultati più agghiaccianti dal punto di vista sociologico, la risposta a una domanda posta appositamente per svelare il sentiment nascosto degli italiani: il 36% pensa che i medici debbano occuparsi di problemi più importanti della fibromialgia.

L’associazione che aiuta chi soffre di fibromialgia. Una testimonianza
Su chiama AISF ODV, l’associazione italiana sindrome fibromialgica, ed è composta da volontari tutti affetti da fibromialgia e da medici che collaborano con loro. La vicepresidente, Giusy Fabio, è arrivata alla diagnosi dopo 7 lunghi anni passati fra debolezza, paura, incertezza, abbattimento psicologico, inconsapevolezza, spreco di tempo e di denaro. “È una malattia invisibile” ha detto, “perché non c’è un bioindicatore specifico e così per anni i medici hanno detto che era frutto dell’immaginazione, rendendo così i malati sempre più frustrati”.

Giusy Fabio ha denunciato i pregiudizi che circondano chi soffre di fibromialgia: “per anni mi sono sentita giudicata e criticata, ho visto minimizzare la mia sofferenza, sentendomi dire ‘ma ti lamenti sempre?’, riconducendo sempre tutto a un problema di stress”. Per questo motivo la maggioranza dei pazienti straccia le ricette e non segue le terapie, perché non si sente compreso, né dai medici né dalla famiglia. E si chiude in sé stesso. La malattia mette alla prova quindi anche le relazioni. “Se prendo un impegno, magari per uscire con gli amici, può darsi che all’improvviso mi assalgano dolori tali da non riuscire a muovermi e sono costretta a rinunciarvi all’ultimo minuto. Alla lunga gli amici evitano di frequentarmi. Inoltre, sono inefficiente sul lavoro e, poiché molti medici del lavoro non conoscono la fibromialgia, pensano che si tratti di una scusa, che sia una sfaticata. Così il 50% dei fibromialgici perde il lavoro”.
È importante quindi fornire un giusto approccio diagnostico, terapeutico, assistenziale; è importante inquadrare subito il paziente. Molti passi avanti sono stati fatti: oggi c’è un registro nazionale della fibromialgia, è stato presentato un disegno di legge (DdL 299/2019) per le persone affette da fibromialgia, per riconoscerla come malattia invalidante, si sta chiedendo l’inserimento della fibromialgia nell’ambito dei LEA (livelli essenziali di assistenza sanitaria) e si inaugura proprio oggi, 12 maggio, la campagna di sensibilizzazione “Fibro che?… diamo un volto alla fibromialgia” che durerà fino al 30 giugno.

Essere un caregiver
Com’è risaputo, quando si ammala una persona gli effetti indiretti della malattia ricadono sui familiari, caregiver di elezione. La situazione, per chi fa il caregiver di professione come Caterina Marsaglia, infermiera, docente e coordinatrice del Centro studi per le Cure palliative e l’assistenza oncologica, abituata a frequentare malati di cancro allo stadio terminale, non è più semplice. Caterina Marsaglia ha scoperto 7 anni fa, dopo un lungo percorso che lei ha definito un limbo, che sua figlia era affetta da fibromialgia. E la sua vita è cambiata. “Mia figlia, dopo anni di limbo in cui ha perso il lavoro e abbiamo speso i nostri risparmi, è riuscita ad avere una diagnosi e la prima cosa che ha detto è stata ‘finalmente!’; finalmente era uscita dall’incertezza, finalmente sapeva di cosa si trattava”. Ma per Caterina Marsaglia sono iniziati gli interrogativi, le riflessioni: “so che la famiglia ha un ruolo nella nascita della malattia e quindi mi sono chiesta: cosa non ha funzionato? Che errori abbiamo commesso?”, contrariamente alla reazione di fuga che invece hanno molte famiglie. Ed è anche riuscita a trovare un aspetto positivo che ha voluto condividere: “bisogna avere fiducia” ha detto, “essere aperti alle prospettive, perché sono cambiate in meglio molte cose, oggi c’è una maggiore offerta di servizi”. E ci sono associazioni, come l’AISF ODV, che aiutano i malati di fibromialgia e i loro familiari (https://sindromefibromialgica.it/).

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