Formazione Scuola

Lascio la scuola, il lavoro minorile in Italia

La disaffezione nei confronti della scuola porta all’aumento del lavoro minorile con allargamento del numero dei lavoratori senza competenze

A sollevare il velo sul fenomeno è la Fondazione studi Consulenti del lavoro nell’indagine “Il lavoro minorile in Italia: caratteristiche e impatto sui percorsi formativi e occupazionali”, realizzata dal proprio ufficio studi in occasione della “Giornata mondiale contro il lavoro minorile” del 12 giugno 2021.

Il lavoro minorile in Italia
La disaffezione verso i processi formativi e la crescita della povertà familiare rischiano di lasciare campo libero all’aumento del lavoro minorile in Italia nel post pandemia e alla creazione di una platea di lavoratori senza le necessarie competenze per scalare la piramide professionale. Lo svela la Fondazione studi Consulenti del lavoro nell’indagine “Il lavoro minorile in Italia: caratteristiche e impatto sui percorsi formativi e occupazionali” dalla quale emerge che tra gli attuali occupati in Italia con età compresa tra 16 e 64 anni, circa 2,4 milioni hanno svolto un’attività lavorativa prima del sedicesimo compleanno. Un fenomeno di irregolarità che si conferma ancora diffuso tra i giovani e penalizza le prospettive di formazione e lavoro: nel 2020 erano oltre 230mila gli under 35 a dichiarare di aver ricevuto una retribuzione già prima dei 16 anni. Tra questi, più della metà svolge professioni a medio-bassa qualificazione mentre tra chi ha fatto il suo ingresso nel mondo del lavoro in un’età legale il dato si ferma al 31%.

Italia maglia nera in Europa nell’abbandono prematuro degli studi
Secondo la ricerca della Fondazione, sono dunque 2,4 milioni gli occupati italiani che hanno iniziato a lavorare prima dei 16 anni; 230mila tra gli under 35. Un fenomeno diffuso che penalizza le prospettive di occupazione e di carriera lavorativa. Malgrado una curva tendenziale positiva nel contrasto al fenomeno – complice il rafforzamento della normativa e la maggiore attenzione all’abbandono scolastico – l’Italia è comunque al primo posto per la quota di giovani dai 18 ai 24 anni che hanno lasciato prematuramente gli studi (9,9%), assieme alla Spagna. Soprattutto nel Mezzogiorno, con punte in Sicilia e Campania rispettivamente del 19,4% e 17,3%.

Le ricadute negative in ambito lavorativo
Secondo le stime, elaborate dai microdati dell’indagine Forze di lavoro dell’Istat, sono evidenti le ricadute del lavoro minorile sulle prospettive di vita dei giovani coinvolti: chi inizia a lavorare prima dei 16 anni nel 46,5% dei casi consegue al massimo la licenza media; solo l’11,2% del campione arriva alla laurea. Diversamente, tra chi entra nel mondo del lavoro in età legale, sono solo 18 su 100 coloro che si fermano alla scuola media inferiore mentre la percentuale dei laureati sale al 27,3%.
Il lavoro minorile abbatte le possibilità di raggiungere i vertici della piramide professionale: solo il 17% arriva a svolgere una professione imprenditoriale, intellettuale o tecnica mentre si riscontra un valore quasi doppio (31,5%) tra quanti, al contrario, iniziano a lavorare più tardi. Tra questi, 7 su 10 sono uomini – più propensi ad abbandonare gli studi e maggiormente coinvolti nelle esigenze di sostentamento delle famiglie in condizioni economiche disagiate rispetto alle donne – e vivono nelle regioni del Nord (57,1%) dove sono maggiori le opportunità occupazionali nel tessuto produttivo, specie nelle regioni a più alta vocazione turistica (Trentino Alto Adige, 17,9%; Val d’Aosta, 10,6%; Sardegna, 10,3%).

Il lavoro minorile negli ultimi tre anni
Tra 2018 e 2019 sono stati accertati dall’Ispettorato del lavoro più di 500 casi di illeciti riguardanti l’occupazione irregolare di bambini e adolescenti, sia italiani che stranieri, di cui la maggioranza nei servizi di alloggio e ristorazione, circa 70 nel commercio all’ingrosso o al dettaglio, e a seguire attività manifatturiere e agricoltura. Nel 2020, per effetto delle chiusure aziendali a seguito della pandemia, il dato risulta in calo a 127 (contro i 243 del 2019).
Sono numeri che rappresentano la punta dell’iceberg di un fenomeno senza dubbio sottostimato – si legge nel report della Fondazione – anche per la mancanza di una rilevazione sistematica in grado di definirne contorni e caratteristiche: l’ultima è stata effettuata da Save the Children nel 2013 e stima in circa 260mila i minori di 16 anni interessati da un’esperienza di lavoro. Quello che è certo è che si tratta di un fenomeno estremamente composito e articolato. Dietro una condizione di irregolarità quale quella del lavoro minorile, si nascondono infatti situazioni che vanno dal vero e proprio sfruttamento a collaborazioni retribuite nell’ambito di attività famigliari, a piccoli ed estemporanei lavori stagionali, frutto della volontà di sperimentare precocemente un’esperienza lavorativa, alla necessità di lavorare imposta dalle condizioni economiche familiari.

Lottare contro il lavoro minorile e l’abbandono scolastico
Dal 2010 la quota di giovani dai 18 ai 24 anni che hanno abbandonato prematuramente gli studi interrompendo il proprio percorso di istruzione o formazione prima del completamento dell’istruzione secondaria di secondo grado o dell’istruzione e formazione professionale almeno triennale, è passata dal 18,6% al 13,1% del 2020.
“La riduzione del fenomeno del lavoro minorile tra le fasce di popolazione più giovani non deve distrarci dal rischio che le trasformazioni in corso nel mondo del lavoro e della società determinate dall’emergenza sanitaria invertano la rotta” afferma Rosario De Luca, presidente di Fondazione studi Consulenti del lavoro. “I dati confermano, ancora una volta, che l’investimento in formazione e competenze è vincente in una prospettiva che guarda alle opportunità future, dei singoli e del Sistema Paese”.

Uno stop automatico alla carriera
Malgrado la tendenza positiva, la situazione italiana resta critica nel panorama europeo: con un tasso di abbandono medio del 9,9% l’Italia è superata solo dalla Spagna dove il dato si attesa al 16 per cento. Una maglia nera ancora più evidente nel Mezzogiorno, dove il tasso è del 16,3%, con punte in Sicilia e Campania rispettivamente del 19,4% e 17,3%. Ma quello che emerge con maggiore evidenza dall’analisi è l’impatto che il lavoro minorile finisce per avere sulle prospettive di vita dei giovani coinvolti, differenziandone fortemente i percorsi di formazione e di carriera futuri rispetto a quelli dei loro coetanei, anche in tempi recenti. Il più basso livello di scolarizzazione influisce infatti sui percorsi di carriera. Coloro che hanno iniziato a lavorare prima dei 16 anni, molto raramente riescono a raggiungere i vertici della piramide professionale: solo il 17% arriva a svolgere una professione imprenditoriale, intellettuale o tecnica mentre si riscontra un valore quasi doppio di quanti, al contrario, iniziano a lavorare più tardi. Di contro, circa la metà (50,1%) svolge una professione a media-bassa qualificazione: artigiano o operaio specializzato (27,6%), conduttore di impianto o operaio (10,5%), professione non qualificata.

La foto di copertina dell’articolo è di M. Sideri

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