Lavoro Opportunità

Le cooperative di comunità, l’economia del plusvalore

Tra le forme giuridiche dei soggetti economici ci sono le cooperative e tra queste ce n’è una tipologia particolare, le cooperative di comunità

Le cooperative sono una forma di impresa particolare in cui ci sono soci lavoratori che collaborano per ottenere dei risultati senza avere scopo di lucro, ovvero senza potersi dividere gli eventuali utili, dal momento che nascono proprio con la finalità (mutualistica) di dare opportunità di lavoro, le cooperative di comunità sono quelle nate all’interno di una comunità territoriale, solitamente svantaggiata e spopolata, per rivitalizzare il territorio offrendo i servizi mancanti, ripopolarlo e renderlo attrattivo. Con ricadute positive sull’economia locale tutta.

Il mondo cooperativo
17.000 cooperative che danno lavoro a 530.000 persone (il 61% donne) e producono in Italia l’8,5% del Pil, fatturando 82 miliardi di euro; questi sono i numeri relativi alla Confederazione delle Cooperative, che associa cooperative ispirate alla dottrina sociale della Chiesa cattolica. In Italia un lavoratore su 5 è socio di una cooperativa, un supermercato su tre è una cooperativa, il 20% del settore agroalimentare è rappresentato da cooperative, il 30% da consumatori e distributori al dettaglio. Un particolare modo di fare impresa che è considerato nell’art. 45 della Costituzione italiana, che riconosce la funzione sociale delle cooperative. A fare una prima “escursione” nel mondo cooperativo durante un evento organizzato da Confcooperative, è stato Giancarmine Vicinanza. L’evento, dal titolo “L’altra economia, le cooperative di comunità” si è tenuto il 30 novembre 2023 e vi hanno partecipato alcuni rappresentanti del mondo cooperativo e in particolare delle cooperative di comunità.

Il ruolo delle cooperative di comunità
Giovanni Teneggi, responsabile per lo sviluppo delle cooperative di comunità di Confcooperative, spiega che la storia di questo tipo di cooperativa è nata con il teatro povero di Monticchiello (Siena) nel 1980 ed è proseguita dagli Anni ’90 in poi con un ruolo di difesa e salvaguardia della propria identità comunitaria e territoriale. Naturalmente nel tempo queste cooperative hanno avuto un’evoluzione e si sono “allargate” anche a membri esterni della comunità mescolando soci locali e non ma una caratteristica che è sempre rimasta è il punto di partenza: il fattore di innesco che si ritrova sempre nella paura di morire (come comunità e luogo), di scomparire. La causa? Il fenomeno dello spopolamento e dell’impoverimento delle aree interne del Paese, soprattutto dell’area dorsale dell’Appennino e in generale delle aree montane. Spopolamento e mancanza di lavoro che hanno portato alla mancanza di servizi innescando un evento a catena, una spirale negativa che proprio le cooperative di comunità sono riuscite e stanno riuscendo a spezzare. Il movimento (se così lo possiamo definire) è passato oggi da “resistenza epica” a modello di business consapevole.

Le cooperative di comunità
Il ricercatore Euricse Jacopo Sforzi entra nel merito dell’argomento spiegando i modelli di governance che le cooperative di comunità devono avere per essere tali. Partendo dal fatto che ogni processo di sviluppo locale ha tempi e modalità differenti, in cui i cittadini hanno un ruolo fondamentale, queste cooperative hanno un ruolo fondamentale laddove mancano i servizi pubblici, dove gli interventi del Pubblico non arrivano. Si tratta di comunità di persone con interessi diversi che comprendono che unendosi possono raggiungere anche i propri obiettivi individuali con costi inferiori. E apportando vantaggi a tutta la comunità. Vivendo nello stesso luogo smettono di lamentarsi di ciò che non hanno e iniziano a prendersi cura del loro territorio diventando attori del processo di sviluppo della comunità. La parte esterna “extra locale” può aggiungersi al processo: società private, enti del terzo settore, PA attraverso bandi pubblici, possono infatti investire e supportare queste cooperative. Si avvia così una spirale stavolta positiva poiché quegli stessi territori diventano attrattivi per investitori e persone che vengono ad abitarvi perché proprio le cooperative offrono servizi e lavoro.

I primi passi
Le persone che decidono di costituire una cooperativa di comunità sono quelle che decidono di seguire delle regole che si danno (la governance) per avviare un’attività condividendo il rischio di fare impresa. Perché una cooperativa di comunità è pur sempre un’impresa economica e deve far sì che entri denaro. Per questo solitamente i primi passi consistono nella scelta di un’attività imprenditoriale (un codice Ateco per intenderci) che dia possibilità di guadagno immediato. Si parte dunque dalle necessità primarie, come hanno raccontato gli esponenti di diverse cooperative di comunità presenti all’incontro. Si inizia così da un settore solo, da un servizio di cui c’è particolare necessità e per la quale le persone sono disposte a spendere, dopo di che ci si allarga anche in altri settori. C’è sempre un gruppo promotore che la fonda ma poi coinvolge anche altri, solitamente in primis le persone del luogo, della comunità territoriale appunto. Ma se chi fa parte della cooperativa ha delle entrate economiche, i benefici ricadono sempre su tutta la comunità e possono essere di ordine sociale, culturale, di attrattiva turistica, di servizi che non c’erano e così via.

Alcuni esempi di cooperative di comunità
Ostana, un borgo piemontese dell’alta valle del Po, dove un tempo vivevano mille persone e che negli anni è arrivato a contare solo 5 abitanti. Durante la pandemia un gruppo di persone decide di dare di nuovo vita a quel luogo ormai spopolato e candida un sindaco. Da qui una storia che ricomincia grazie alla fondazione di una cooperativa di comunità che inizia col primo passo: fondare una biblioteca, che presto diverrà un centro culturale di partecipazione pubblica, con primi fruitori i bambini. Il piano di sviluppo si allarga e si decide per un programma di residenza temporanea di artisti provenienti da tutto il mondo.  Gli artisti qui collaborano con gli abitanti per realizzare le proprie creazioni e queste attività iniziano a richiamare persone. Oggi a Ostana ce ne sono 100 residenti e centinaia che vengono richiamate dall’attrattiva culturale del luogo.

Simone Locatelli, pres. coop. I Rais

Dossena, paese dell’alta Val Brembana in Lombardia. Mille abitanti nel 2014 ma nessun luogo di aggregazione per i giovani, fatto che spinge allo spopolamento. L’idea viene al Sindaco, che riunisce i giovani chiedendo loro: vi lamentate che Dossena non vi offra nulla, ma voi cosa offrite a Dossena? Da lì si smuovono e coscienze e un gruppo di ragazzi fonda un’associazione che organizza piccoli eventi culturali e sportivi (come il torneo di calcio balilla) ma poi arriva un’altra idea: riaprire le miniere del posto (chiuse negli Anni ’80) a scopo culturale realizzando un primo evento che unisce l’altro punto di forza del luogo, le eccellenze enogastronomiche. Si organizza l’evento “una miniera di gusto” che inizia a incuriosire e richiamare gente. L’associazione si trasforma in cooperativa di comunità e punta sullo sviluppo del turismo partendo dalle miniere, realizza un ponte tibetano, oggi gestisce un bar trattoria (prima chiuso) e commercializza formaggi stagionati in miniera, svolge vari servizi sociali, alcuni diretti ai bimbi, si occupa della manutenzione del verde pubblico. E comincia a richiamare famiglie che vengono nuovamente a risiedere nel paese, perché adesso i servizi ci sono, adesso il lavoro c’è.

I fondi per avviare una cooperativa di comunità
Vittoria Ventura, responsabile promozione bandi del Fondo Sviluppo, il fondo mutualistico di Confcooperative, spiega che l’ente, costituito in forza di legge, prende il 3% degli utili di tutte le cooperative iscritte alla confederazione e li utilizza per chi vuole aprire una nuova cooperativa. Grazie a questi fondi, disponibili per mezzo di bandi che vengono aperti costantemente, sono molte le cooperative di comunità che sono state aperte. Attualmente ce ne sono 120 aderenti a Confcooperative, la maggioranza in Abruzzo (24%) e in Emilia Romagna (23%). Contano 3.500 soci e fatturano 9 milioni l’anno. Si occupano soprattutto della gestione di beni culturali, della manutenzione e cura del territorio, di turismo e ricettività, offrono servizi di welfare e valorizzano i prodotti tipici locali.

L’importanza delle cooperative di comunità
Come spiega Massimiliano Monetti, presidente di Confcooperative Abruzzo nonché detentore della delega alle cooperative di comunità di Confcooperative nazionale, queste imprese sono importanti perché colmano spazi lasciati vuoti dal mercato e dallo Stato. “È un pezzo di Paese che non ci sta, a essere lasciato fuori dalle dinamiche del Paese”. Le cooperative di comunità quindi contribuiscono alla costruzione del valore economico della nazione, del “sistema Paese” ma lo fanno partendo dalle persone, mettendo al centro le loro necessità. L’impatto attualmente è indescrivibile, proprio perché siamo abituati a misurare il valore solo da un punto di vista economico, ma oggi non è più solo questo l’indicatore da considerare: ci sono anche l’impatto sulla società, sulla natura, sul benessere della popolazione, sulla qualità di vita di chi abita in un determinato luogo. Tutti fattori che vanno considerati e che rappresentano quello che abbiamo definito il plusvalore dell’economia di oggi, un’economia alternativa.

 

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