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Rapporti economici tra Italia e Romania: quello che occorre sapere prima di investire nel Paese estero

investire in Romania

 

Investire in Romania

Vediamo quali sono gli elementi positivi e quelli negativi che rientrano nella valutazione di convenienza degli eventuali investimenti in Romania:

Punti di Forza/Risorse:

  • Nuovo Stato membro NATO, OCSE, Unione Europea, con stabilità del potere esecutivo.
  • Secondo principale mercato dell’Est Europa dopo la Polonia, con i suoi 21 milioni di abitanti.
  • Ubicazione geografica favorevole, in quanto costituisce un punto di facile accesso ai paesi dell’ex URSS e del Medio Oriente. Si trova all’intersezione di 3 dei principali corridoi di trasporto europei.
  • Stanziamento da parte dell’UE di ingenti Fondi Strutturali e di Coesione per l’economia romena.
  • “Semplicità burocratica” e basso costo per l’apertura di una società in Romania.
  • Forte riconoscimento di qualità per il “Made in Italy”, che rende molto attraente per il mercato locale i prodotti italiani, anche se non ancora diffusamente accessibili per i prezzi.
  • Fitta copertura di collegamenti, soprattutto aerei, tra Italia e Romania (400 voli settimanali che collegano i due Paesi da 27 aeroporti).
  • Alto potenziale per il turismo (Bucarest è stata la terza meta preferita per il turismo invernale italiano dopo Londra e Parigi!).
  • Forza di lavoro altamente qualificata soprattutto nella tecnologia, IT, ingegneria; esperti a prezzi competitivi, conoscenza solida delle lingue straniere e italiano in particolare.
  • Ricchezza di risorse naturali, petrolio, gas e terreni agricoli fertili.
  • Accordi bilaterali fra la Romania ed altri paesi sulla promozione e protezione degli investimenti.
  • Alto potenziale per il settore energetico individuato come uno dei settori economici a maggiore possibilità di crescita, soprattutto tramite la diversificazione degli approvvigionamenti e l’utilizzo delle fonti rinnovabili.
  • Vasta presenza in loco di società di assistenza legale e fiscale per gli investitori esteri.
  • Presenza delle filiali delle maggiori banche internazionali (per l’Italia da sottolineare una rilevante presenza per Unicredit, Intesa San Paolo, C.R. Firenze e Gruppo Veneto Banca).
  • Politica Fiscale competitiva con un’aliquota unica del 16% in confronto a quella media italiana del 43% e investimenti stranieri incentivati dallo Stato.
  • Infrastruttura ferroviaria ben sviluppata.

Punti di Debolezza:

  • Transizione ancora non totalmente completata verso l’economia di mercato, con alcune carenze strutturali, normative e alcuni appesantimenti operativi da parte di organismi di controllo (ad es. molti imprenditori italiani lamentano il problema dei controlli continui della Guardia di Finanza romena e degli altri numerosi organi di controllo sulle loro attività)
  • Tasso di Inflazione superiore alla media europea (ultimo dato disponibile: a gennaio 2011 l’inflazione era al 7%, contro una media UE del 2,3%).
  • Problema della corruzione fortemente percepito nell’ambito dell’economia e del settore giudiziario (nell’ultimo rapporto di “Transparency International” la Romania occupava solo il 69esimo posto dei paesi percepiti con meno corruzione su 180 paesi presi in esame).
  • Scarsa disponibilità in loco di management aziendale adeguatamente formato.
  • Infrastrutture di trasporto su strade poco sviluppate (solo 2 autostrade per un totale di 229 km).
  • Industria dell’auto quasi assente, con effetti pesanti sull’economia e sull’industria locale.
  • Debole potere di acquisto della popolazione residente.
  • Agricoltura dal forte potenziale ma scarsamente meccanizzata e con macchinari obsoleti del periodo comunista (la maggior parte dei prodotti agricoli e alimentari venduti nei supermercati sono di importazione).
  • Scarsa mobilità dei lavoratori, nel senso di raggiungimento del posto di lavoro: buona parte dei lavoratori, soprattutto quelli con basse qualifiche, non dispone di auto propria e nella pianificazione dell’apertura di un’impresa occorre definire una localizzazione adeguata.

Il primo “sbarco” delle imprese italiane in Romania

Le imprese italiane hanno cominciato a investire in Romania nei primi anni 90, delocalizzando la lavorazione delle materie prime e dei semilavorati provenienti dall’Italia.
In quegli anni la Romania era un paese molto appetibile per gli investimenti stranieri grazie alla politica di liberalizzazione economica, alle agevolazioni fiscali dell’aliquota unica del 16% sui redditi, alle semplificazioni per costituire un’azienda, agli stipendi medi dei lavoratori tra i più bassi d’Europa (in quel periodo fino a 10 volte inferiore all’Italia e ancora oggi  la media è intorno ai 300 euro mensili).

In quel periodo gli imprenditori italiani erano dei pionieri, tra i primi ad arrivare, e investivano soprattutto nel tessile, abbigliamento e calzaturiero. Molti di loro ricordano questa fase iniziale con le difficoltà legate soprattutto alla corruzione locale, alla burocrazia, ai tempi delle dogane per far passare le materie prime e i prodotti finiti.
Si appoggiavano alle fabbriche statali per poter utilizzare una manodopera qualificata e infrastrutture già predisposte alla produzione, impiegando però i loro macchinari portati dall’Italia e già obsoleti, i loro tecnici, portati anch’essi dall’Italia per trasmettere le competenze alla manodopera romena e per controllare la qualità del prodotto finale. Si trattava del “sistema lohn”, ovvero di un sistema di lavorazione temporanea delle materie prime, importate dall’Italia, poi lavorate o semilavorate in Romania e infine esportate in Italia come prodotto finito e commercializzabile con il marchio “Made in Italy”, con i vantaggi della sospensione dei dazi e dell’Iva.
Questo modello produttivo ha riguardato soprattutto molte aziende del Nord-Est del settore tessile, abbigliamento e calzaturiero che hanno replicato sotto certi aspetti il modello di distretto industriale presente in Italia e che ha avuto la sua massima espressione nella provincia di Timisoara (oltre 2.700 aziende italiane o miste italo-romene registrate) e nelle province limitrofe (Arad, Bihor, Cluj e Brasov) dove oggi è concentrata ancora un terzo dell’intera presenza imprenditoriale italiana in Romania, mentre un quinto delle nostre aziende ha investito nella municipalità di Bucarest.
Fondamentale è stato anche il supporto delle Banche italiane e la possibilità di creare una vera e completa filiera produttiva in loco, tipica del modello distrettuale italiano, così come la possibilità di tutte queste piccole realtà imprenditoriali di concentrarsi e fare sistema tutte insieme, tramite fenomeni associativi e di rappresentanza che potevano garantire loro un potere contrattuale e una forza maggiore di quella delle singole imprese, sia nei confronti del sistema bancario, sia delle istituzioni politiche ed economiche locali.
La strategia di questo modello imprenditoriale italiano era improntato soprattutto nell’esternalizzare in Romania alcune fasi del proprio ciclo produttivo, in particolare quelle maggiormente “labour intensive”, in modo da cogliere il vantaggio del basso costo della manodopera locale; mentre non ha avuto seguito la fase successiva dell’esternalizzazione commerciale in quanto, nonostante il notevole potenziale del mercato locale (circa 21 milioni di abitanti e potenziali consumatori), la crescita del reddito non è stata sufficiente a sostenere un aumento del loro potere di acquisto e in particolare di accesso a prodotti di qualità, cosa che non ha permesso quindi di assorbire la produzione effettuata in loco.

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