Finalmente approvato il Testo Unico sulla parità di accesso delle donne ai vertici delle SpA
Un passo importante quello appena compiuto dalla Camera dei Deputati che ha approvato il TU delle leggi in materia di parità di accesso femminile agli organi di amministrazione e controllo delle società quotate. Finalmente le donne possono accedere alle direzioni delle società
La Legge ha preso atto dello squilibrio esistente nelle posizioni di vertice delle imprese quotate nei mercati e dunque vuol permettere anche alle donne di accedere a tali posizioni e in particolare nei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa (ma anche di quelle a controllo pubblico non quotate).
Secondo il TU, lo statuto societario stesso deve prevedere che il riparto degli amministratori da eleggere sia effettuato con un criterio tale da assicurare che ci sia equilibrio tra i due generi sessuali. Il genere meno rappresentato deve sempre ottenere un terzo degli amministratori eletti.
La Consob diffida la società che non ottempera a questa indicazione affinché si adegui entro 4 mesi, scaduti i quali la società inadempiente dovrà versare una sanzione pecuniaria che va da 100 mila euro a 1 milioni di euro. Anche una volta pagata la sanzione la società dovrà adempiere questo obbligo entro i successivi 3 mesi, se ancora si rifiuta tutti i membri del Consiglio di Amministrazione decadranno e si dovrà riformare il CdA sulla base dell’equilibrio di genere.
Stessa disposizione per il consiglio di gestione della società, per i membri del collegio sindacale. In questo caso la sanzione è più lieve e varia da un minimo di 20 mila a un massimo di 200 mila euro. Identica la procedura di diffida fino alla decadenza dei membri del collegio sindacale.
Le norme si dovranno applicare a partire dal primo rinnovo degli organi societari interessati a partire dall’anno seguente all’entrata in vigore della legge.
Tali norme si applicano anche nei confronti delle società non quotate ma a controllo pubblico. In quest’altro caso però le modalità di attuazione del sistema di equilibrio tra i generi negli organi di amministrazione e controllo delle società pubbliche dovrà essere affidato a un regolamento ancora da realizzare. Sarà questo regolamento a disciplinare e vigilare sull’applicazione delle norme introdotte. Comunque anche qui se non si adempirà alle norme dovranno decadere i componenti dei vari organi ed essere sostituiti da un congruo numero di donne.
Con questa nuova legge appena approvata dalla Camera si vuole andare incontro alle necessità di giustizia secondo le quali tutti devono avere pari opportunità di accesso al lavoro, qualunque esso sia. Negli altri Paesi europei sono già state introdotte norme simili trovando vari gradi di ostacolo.
La Legge appena approvata integra il decreto legislativo n. 58 del febbraio 1998: il TUIF (Testo Unico Intermediazione Finanziaria) che, nell’intervenire in materia di mercati finanziari, non prendeva in considerazione la rappresentanza dei generi nei CdA delle società quotate.
L’ultima parte dell’iter parlamentare è stata relativamente rapida, con l’approvazione alla Camera in prima istanza il 2 dicembre 2010, al Senato il 15 marzo 2011 e di nuovo alla Camera per il via definitivo il 28 giugno 2011.
Le donne con funzioni direttive nel settore economico sono quelle con potere decisionale, ovvero: direttrici, amministratrici delegate, dirigenti di piccole imprese e, in Europa, nonostante siano sempre più numerose, ancora sono decisamente minoritarie rispetto agli uomini. Secondo un documento di studio presentato a marzo di questo anno dalla Commissione Europea, 9 lavoratori su 20 sono donne, ovvero il 45%, ma quelle con funzioni direttive raggiungono appena il 30%.
Le nazioni europee che hanno più donne nei posti di vertice sono la Finlandia e Cipro; quelle con meno donne al vertice sono la Grecia, la Spagna e l’Italia, dove non si arriva nemmeno al 10%.
La media, in tutti i Paesi, delle donne che occupano un posto nei Consigli di Amministrazione delle grandi società (quelle quotate in borsa), è di appena il 12%. In Italia si è ben al di sotto della media, poiché nel nostro caso le donne nei CdA sono appena il 5%.
Ma non è che le alte istituzioni europee siano migliori, dal momento che non c’è alcuna donna al governo delle banche centrali dell’Unione e nei loro organi decisionali la percentuale femminile è appena del 16%. La Commissione europea stessa ritiene questo fatto un paradosso, anche perché le studentesse nei settori del commercio e del diritto sono molte di più rispetto ai colleghi maschi.
La strategia europea per il 2015
Per promuovere la parità fra uomini e donne anche nei luoghi del potere, ovvero laddove si prendono decisioni politiche ed economiche, l’Unione ha presentato a settembre 2010 un programma che prevede nei confronti delle donne:
un impegno e una partnership più forti a tutti i livelli: governi, autorità regionali e locali, partiti politici, parti sociali, dirigenti di imprese, unità risorse umane, organizzazioni non governative, istituti di istruzione, mezzi di comunicazione;
se del caso, un’azione positiva, piani di parità, consulenza e formazione mirata. Tutte le procedure di nomina, di assunzione, di valutazione delle funzioni e delle competenze, di retribuzione e di promozione devono essere trasparenti e neutre rispetto al sesso. È importante lottare sistematicamente contro la discriminazione e le molestie morali e sessuali;
il potenziamento degli scambi e della diffusione delle prassi, ad esempio mediante reti di donne in posti di comando;
il miglioramento nella raccolta, analisi e diffusione di dati comparabili disponibili a livello europeo ripartiti per sesso, in modo da seguire il processo disparità tra donne e uomini nelle prese di decisione. Studi quantitativi e qualitativi sono necessari per valutare le strategie, in particolare l’effetto di misure positive quali quote, adottate dagli Stati membri.
Una rete europea per la promozione delle donne che occupano posti decisionali politici ed economici è già stata creata ed ha l’obiettivo la crescita del numero di donne che partecipano ai processi decisionali. Grazie ad essa, ci si possono scambiare idee, informazioni ed esperienze; si possono condividere buone pratiche; favorire partenariati e sinergie.
La normativa italiana è stata pertanto tarata proprio per seguire le raccomandazioni europee e rappresenta per il nostro Paese una svolta epocale, come la definisce Liliana Ocmin, Segretario confederale della Cisl. “Un passo importante che ci pone sullo stesso piano di altri paesi europei e ci permetterà di ridurre sensibilmente le diverse forme di discriminazione delle donne sul lavoro, nella politica e nella società tutta. Una legge che rappresenta non solo la necessità di un riequilibrio numerico tra i generi ma, soprattutto in questa fase, un’opportunità per le donne, per le aziende, per l’intero Paese. Auspichiamo perciò che da qui prenda il via quel moto culturale che porti all’ingresso delle donne anche nelle altre posizioni di top management”.
L’entusiasmo della Ocmin è condivisibile, ma abbiamo voluto dare un’occhiata anche alle leggi simili in vigore in alcuni altri Paesi europei per fare un confronto. Vediamole.
Il caso francese. Un caso esemplare
Nel 2006 la Francia ha introdotto una legge relativa all’uguaglianza salariale tra uomini e donne (L.2006-340) nella quale una parte era dedicata all’accesso alle cariche più alte delle società ma questa parte venne soppressa essendo stata dichiarata addirittura incostituzionale.
Nel luglio 2008 venne perciò revisionata la Costituzione francese e venne aggiunto all’articolo 1 che “la legge favorisce l’uguale accesso alle donne e agli uomini ai mandati elettorali e funzioni elettive, così come alle responsabilità professionali e sociali”. In questo modo si è potuto di nuovo ricorrere al Parlamento e a gennaio 2011 una nuova legge è stata promulgata: la L. 2011-103, che promuove l’uguaglianza professionale per entrambi i sessi interna alle imprese e impone loro una rappresentanza equilibrata tra uomini e donne negli organi di amministrazione e controllo delle società quotate in borsa come degli enti pubblici.
La legge francese ordina una quota minima di rappresentanza per ciascun sesso del 40%. Quota da raggiungere nell’arco di sei anni.
E se gli organi di amministrazione devono essere eletti in base a una lista di candidati, tali candidati devono essere per il 50% donne.
Questa è una reale pari opportunità, poiché in Italia invece questa modalità non è ancora presente.
Inoltre, la Francia stabilisce che negli organi di amministrazione che hanno il massimo di 8 membri, non ci può essere tra i due sessi uno scarto superiore a 2.
Se tutti questi criteri non vengono rispettati, le nomine saranno nulle per quanto riguarda chi è stato nominato in eccesso sulla quota prevista, mentre resterà chi appartiene al sesso sottorappresentato nel Consiglio di Amministrazione.
Nel Nord Europa: la Norvegia
La legislazione di questi Paesi è sempre stata molto avanzata e rispettosa delle classi più deboli. La legge sull’eguaglianza di genere venne approvata addirittura nel 1978. Nel 2005 venne modificata per introdurre la rappresentanza femminile nelle commissioni di enti pubblici nonché nei consigli di amministrazione delle società e nei comitati aziendali. Secondo la legge norvegese, il peso delle donne varia a seconda del numero dei componenti dell’organo in modo che i due sessi siano entrambi rappresentati senza scendere al di sotto della quota del 40%.
Tali quote sono state introdotte anche nella Legge del 2006 sulla rappresentanza femminile nelle società quotate in borsa e in quelle controllate dallo Stato.
Qui la Legge è molto severa e prevede, per chi non si adegua, lo scioglimento dell’azienda.
Nel 2007 si è legiferato anche in materia di cooperative per assicurare le medesime disposizioni sulla rappresentanza femminile.
Il caso di un’altra penisola: la Spagna
È del 2007 la Legge spagnola n.3, sulla parità effettiva tra uomini e donne, che disciplina anche la partecipazione delle donne nei Consigli di Amministrazione delle società.
Anche per la Spagna l’obiettivo è di raggiungere quota 40%, e si prevede di farlo entro il 2015.
Ad oggi però le donne nei CdA delle società spagnole quotate in borsa sono solo l’11%.
A quattro anni dalla promulgazione della legge dunque, ancora le società non si mettono in regola. Anzi, secondo uno studio pubblicato a marzo (Las mujeres en los consejos de administración y organismos de decisión de las empresas españolas) realizzato dalla società leader in Spagna per l’informazione finanziaria e commerciale “Informa D&B”, addirittura il 69% delle imprese spagnole non ha alcuna donna all’interno dei propri consigli di amministrazione. Speriamo di non seguire questo triste esempio.