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La ricerca in Italia: situazione critica

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La ricerca in Italia: situazione critica

L’Italia spicca per numero di ricercatori nazionali che si aggiudicano finanziamenti ERC (European Reasearch Council, i più prestigiosi e ricchi finanziamenti europei per la ricerca), ma li utilizzano presso istituzioni straniere

Come ricostruire la ricerca italiana? Ricercatori ed esponenti dell’industria all’università Bocconi di Milano hanno incontrato la Ministra Carrozza per un confronto pubblico sulla governance della ricerca in Italia. Forti le istanze degli interessati che si sentono lasciati a sé stessi

 

Secondo i dati Eurostat l’Italia investe in ricerca appena un terzo della piccola Finlandia (1,25% del Prodotto Interno Lordo vs il 3,8% finlandese) e le imprese italiane, quando finanziano la ricerca universitaria, lo fanno con l’equivalente di 14.400 dollari a ricercatore, contro i 97.900 della Corea del Sud e i 72.800 dei Paesi Bassi (fonte Times Higher Education). Non è lusinghiera questa fotografia, emersa dal convegno “La ricerca in Italia” tenutosi il 9 dicembre presso la Bocconi di Milano e organizzato dalla stessa università in collaborazione con Novartis e Gruppo 2003. Anche in considerazione degli ulteriori dati emersi da un recente studio realizzato dall’ANVUR (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca) che nei mesi scorsi lo ha concluso allo scopo di valutare la qualità della ricerca degli atenei italiani per distribuire fondi (41 milioni di euro) che a tutt’oggi restano indisponibili.

Il rettore della Bocconi, Andrea Sironi, ha spiegato che “se dovesse nuovamente mancare il collegamento tra valutazione e distribuzione premiale delle risorse – come nel caso di esercizi di valutazione svolti in passato – verrebbe a mancare anche la motivazione a considerare seriamente gli esiti della valutazione. Quando la valutazione è collegata alla distribuzione delle risorse si crea, invece, un meccanismo che spinge le università a prestare particolare attenzione alla produttività scientifica dei propri docenti. Si crea concorrenza tra gli atenei per assumere e mantenere i ricercatori più produttivi. I concorsi si concludono più facilmente con l’assunzione del candidato più qualificato, anziché quello ‘interno’, mentre il timore di perdere un docente con un’elevata produttività scientifica può spingere le università a creare le condizioni migliori perché tale ricerca possa essere svolta”.

Al convegno erano presenti, oltre alla Ministra Maria Chiara Carrozza (a capo del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca), ricercatori del calibro di Gino Nicolais (presidente Cnr), Tito Boeri (prorettore per la ricerca, Università Bocconi), Roberto Cingolani (direttore scientifico dell’Istituto italiano di tecnologia), Guido Guidi (head Pharma Region Europe Novartis), Silvio Garattini (direttore Irccs Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri), Francesca Pasinelli (direttore generale Fondazione Telethon), Gianfelice Rocca (presidente Gruppo Techint e presidente Assolombarda) e Maria Grazia Roncarolo (professore di Pediatria, Università Vita-Salute San Raffaele e presidente Gruppo 2003).

Grazie alla loro presenza, si è potuto discutere di governance della ricerca. Maria Grazia Roncarolo ha portato alla luce la questione denunciando apertamente che “il sistema di ricerca italiano ha bisogno di un ‘urgente intervento di rianimazione’: le diagnosi non mancano e i mali italiani sono ben noti a tutti. Si susseguono senza sosta nuovi segnali di allarme: preoccupante performance dei giovani ricercatori italiani agli starting grants Erc; fuga inarrestabile dei cervelli; mancanza di fondi premiali per valorizzare il lavoro dell’Anvur ecc. È finito il tempo degli annunci: occorrono fatti concreti. Nessuna progettualità per la ricerca e nessun piano strategico, per quanto ben strutturato, potrà essere realmente incisivo se non sarà accompagnato da una vera rivoluzione nei meccanismi di governance e dalla disponibilità dei finanziamenti indispensabili per realizzarla. È ora di pensare seriamente a una cabina unica di regia e di impostare un’indagine sulla natura e entità complessiva dei finanziamenti pubblici alla ricerca e sui criteri con cui vengono erogati. Bisogna far presto, prima che sia troppo tardi… “.

Il problema, dal punto di vista dei privati, è stato invece affrontato da Guido Guidi, head Pharma Region Europe Novartis, che ha dichiarato: “per il rilancio della ricerca in Italia è indispensabile una cabina di regia che governi priorità e investimenti: dove l’industria possa svolgere un ruolo trainante per colmare il gap tra la ricerca di base e il raggiungimento di out-come concreti per l’innovazione. Al settore privato, in altri termini, va riconosciuto un ruolo di partner nelle collaborazioni con l’università, così da potere definire politiche sostenibili, valorizzare al meglio le risorse del paese, in primo luogo i molti giovani talenti di cui disponiamo, e moltiplicare le best practice, avvicinandoci agli standard europei. Un esempio recente di impegno verso i giovani talenti è stato il Novartis Biotechnology Leadership Camp, organizzato per la prima volta in Italia lo scorso settembre: un workshop esclusivo sulla ricerca biomedica, ideato e strutturato in modo da sviluppare sinergie tra industria e mondo universitario. Era riservato a trenta giovani ricercatori, ma le candidature sono state ben 1.600, a testimonianza di un grande bisogno e del dinamico patrimonio di intelligenze e capacità professionali, che meritano uno sbocco adeguato”.

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