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I territori italiani tra crisi e sviluppo

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I territori italiani tra crisi e sviluppo

Sono 8 le Italie che chiedono politiche di sviluppo. Dall’analisi di ABI (Associazione bancaria italiana) e Censis emerge la necessità di innovazione, internazionalizzazione, garanzia del credito, reti d’impresa, semplificazione ed eliminazione dei vincoli burocratici

Per superare la crisi, le aziende hanno bisogno di politiche specifiche e il settore bancario si è dichiarato disposto a valorizzare la vitalità dei territori. Vediamo i risultati della ricerca “Territorio, banca, sviluppo – I sistemi territoriali dentro e oltre la crisi”.

Ormai non si può più parlare semplicemente di Nord, Centro e Sud Italia ma di territori, anzi di aree territoriali. Seppur nei primi due casi si tratta di zone a struttura produttiva robusta e nel terzo di zone in ritardo di termini di sviluppo economico, bisogna ragionare in termini di grandi segmenti territoriali per predisporre strategie ad hoc di contrasto alla crisi.

Ne sono state individuate 8, di aree territoriali, a seconda della specificità e delle necessità individuate, ovvero:

  1. Aree del benessere maturo in metamorfosi
  2. Reti multifunzionali della manifattura competitiva
  3. Fascia mediana  inerte a rischio di involuzione
  4. I poli metropolitani
  5. La piattaforma industriale
  6. Potenzialità rurali a basso tenore di crescita
  7. Il mix destrutturato  industria‐commercio‐turismo
  8. Le aree dello squilibrio  socio‐economico.

 

 

Occorrono, di conseguenza, interventi di politica economica chiari, praticabili, stabili e, anche, sostenibili. Le istituzioni dovrebbero intervenire sul divario di sviluppo tra territori, con interventi di sostegno all’innovazione, con interventi sul fronte del mercato del lavoro, con interventi di controllo della pressione fiscale – assolutamente incompatibile con la fase di recessione attuale. Per far ciò, bisogna differenziare le politiche tarandole sulla specificità territoriale, sulle singole esigenze. 

 

Sono le banche stavolta a fare la prima mossa: l’ABI spiega che esse sono pronte a valorizzare la vitalità dei territori ma “non è di ‘più banca’ che i territori hanno bisogno, né al Nord e tanto meno al Sud, ma di politiche economiche organiche e chiare in grado di rafforzare i fondamentali del Paese”. Secondo la ricerca realizzata con il Censis, ci sono alcuni fatti interessanti che smentiscono alcuni luoghi comuni.

Vediamoli, così come sono stati divulgati:

  • i dati disponibili non consentono di distinguere gli atteggiamenti del settore bancario nei confronti delle aree economicamente più solide o in ritardo di sviluppo. Inoltre, la contrazione degli impieghi che è stata sperimentata in questi due anni di crisi, dopo il forte aumento degli anni precedenti, probabilmente non è determinata dall’irrigidimento del settore bancario nei confronti delle imprese, quanto piuttosto da una forte flessione della domanda di credito a causa del forte quadro recessivo in cui operano le imprese;

  • parallelamente, il livello delle sofferenze legate agli impieghi è cresciuto negli ultimi anni di crisi. Le criticità sono decisamente più marcate nei territori in ritardo di sviluppo e nei quali la crisi economica agisce con intensità ancora maggiore;

  • permane una differenza sostanziale tra l’ammontare medio degli impieghi erogati sia alle famiglie che alle imprese, tra le diverse aree del Paese. In particolare, i valori medi degli impieghi alle imprese delle aree più sviluppate e con un tessuto produttivo più fitto, sono consistentemente più elevati di quelli registrati nelle aree in ritardo di sviluppo, territori in cui la dimensione delle imprese e quindi la domanda di credito è sensibilmente più contenuta;
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  • l’offerta bancaria ha seguito la domanda, evidentemente più forte nei territori con una marcata capacità di crescita, di innovazione e di redistribuzione del reddito, meno nei territori in ritardo di sviluppo;
  • non esiste uno squilibrio strutturale, ovvero una presenza capillare del settore bancario nei territori più forti e sviluppati e, in proporzione, una presenza più diradata e più debole nei territori a minore tenore di crescita. Se si considerano i valori intermediati (impieghi e depositi) per singolo sportello, emergono sostanziali similarità tra le 8 aree considerate nell’analisi.

 

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Le azioni necessarie

Secondo l’ABI, dall’analisi dei dati emersi, occorre una politica industriale “che indichi i settori strategici su cui il Paese intende investire le risorse pubbliche e le azioni di sostegno all’export”. Ciò in quanto i limitati risultati delle riforme del mercato del lavoro, i problemi generati dalla riforma del sistema pensionistico, la mancata crescita dei redditi ed il forte ridimensionamento della capacità di spesa delle famiglie “sono la prova della complessità dei problemi da affrontare e, nello stesso tempo, la dimostrazione che il Paese necessita di politiche organiche che possono essere solo di competenza di chi è chiamato ad esercitare l’azione di governo e non di altri attori del sistema economico”.

Banca, impresa, sistema sociale e territori sono strettamente legati, e dalla capacità delle politiche pubbliche di cogliere e assecondare i fenomeni di cambiamento dipenderà gran parte delle possibilità di crescita o di ulteriore involuzione per il Paese. La dichiarazione dell’ABI è semplice e diretta: “il mondo bancario vuole svolgere a pieno il ruolo di vettore di interventi per lo sviluppo”. Vedremo come le istituzioni recepiranno l’argomento sollevato.

 

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