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Disoccupazione: i problemi urgenti

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Disoccupazione: i problemi urgenti

Il numero degli occupati tra gennaio 2013 e gennaio 2014 è sceso dell’1,5%, pari a 330mila lavoratori in meno, ma è uguale rispetto al mese di dicembre 2013. In Italia i disoccupati sono 3,293 milioni, in aumento tra gennaio 2014 e dicembre 2013, di cui 690 mila giovani tra i 15 e i 24 anni di età

Più che dei giovani tra i 15 e i 24 anni di età dovremmo forse preoccuparci dell’enorme numero di lavoratori disoccupati adulti, che non riescono a mantenere la propria famiglia: uomini e donne con figli o anziani o malati a carico che hanno perso il posto di lavoro a causa della crisi e non riescono a ritrovarlo.

L’Istat il 28 febbraio ha divulgato i dati relativi all’occupazione in Italia, sia per quanto riguarda l’intero anno 2013 che per quanto riguarda il primo mese di quest’anno. Nulla di nuovo sotto il sole, potremmo dire. Se non fosse che vorremmo qui sollevare la questione dei lavoratori adulti che non riescono a reinserirsi nel mondo del lavoro. Sono in pochi a mettere in luce questa situazione, che rappresenta un vero problema per il nostro Paese poiché sono i lavoratori adulti, generalmente di mezza età, a portare il peso dell’andamento della società e dell’economia italiana ben più dei giovani, che fino a 24 anni si presume stiano ancora studiando e siano mantenuti dalla propria famiglia. Il problema quindi è riuscire a far sì che i genitori riescano a sostenere le spese dell’abitazione, delle bollette, dei generi alimentari, insomma a vivere dignitosamente senza essere costretti ad elemosinare un lavoro magari per il proprio figlio affinché sia quest’ultimo a mantenerli. Abbiamo visto in alcuni nostri precedenti articoli fino a che punto si spingano le persone adulte, soprattutto se con dei figli a carico, pur di portare qualche soldo a casa e riteniamo sia importante lanciare un appello dal nostro giornale affinché la classe politica degni di attenzione questa particolare fascia di età, il cui problema è reale, oggettivo e attuale. Sappiamo che è più semplice parlare di disoccupazione giovanile ma, visto che si è comunque sempre in tanti a farlo, noi qui cerchiamo di mostrare il “lato oscuro della luna”, quello che resta sembra in ombra.

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I disoccupati adulti in Italia sono in numero senz’altro maggiore rispetto ai 14-24enni; la matematica non è un’opinione: 3 milioni 293 mila disoccupati totali meno 690 mila disoccupati giovani (tra i 14 e i 24 anni) fa ben 2 milioni 603 mila disoccupati adulti. Questo è un problema urgente o no?

E, inoltre, ci teniamo a sottolineare il seguente dato Istat: in Italia c’è il 36,4% delle persone in età da lavoro che, pur essendo senza lavoro nemmeno lo cerca: nonostante i programmi ad  hoc, gli investimenti economici, i progetti attivati, questo numero di individui inattivi – e in particolare di giovani (i cosiddetti NEET) che non lavorano né studiano né si impegnano in attività culturali, politiche o sociali come il volontariato ad esempio – è rimasto invariato. Ciò significa che gli sforzi al riguardo fatti dal Governo in questi ultimi anni non hanno sortito alcun effetto. Anche questo è un problema da considerare attentamente poiché va visto come un problema sociale che sta diventando culturale, dunque gravissimo.

Infine, un ultimo dato che ci dà indicazioni su un altro problema, è quello del lavoro femminile: oggigiorno con un solo stipendio in una famiglia non si riesce a vivere decorosamente, a meno che quell’unico stipendio non sia di qualche appartenente a una “casta privilegiata”. Ma uno stipendio medio è pari a 1.200 euro mensili e vogliamo sperare che i politici che ci leggono riescano a comprendere cosa significhi vivere con questa cifra, tanto lontana probabilmente dai propri standard. Per sostenere le spese quotidiane è ovvio che sia gli uomini che le donne sono costretti a portare a casa uno stipendio o un salario. Ciononostante, le donne hanno ancora difficoltà nell’inserimento o nel reinserimento lavorativo. Inoltre, a volte sono proprio queste ultime a perdere con maggior facilità il proprio posto di lavoro. Anche i dati Istat di gennaio lo dimostrano: l’occupazione su base mensile è diminuita solo per effetto del calo della componente femminile, mentre su base annuale entrambi i generi sono coinvolti. Ma la differenza sta nel fatto che il lavoro delle donne è meno retribuito, pur a parità di competenze e di ruolo, come spesso abbiamo denunciato da queste pagine.

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Il tasso di disoccupazione in Italia è del 12,9%; il dato è relativo al  mese di gennaio 2014 e l’aumento rispetto al mese precedente è appena dello 0,2% mentre se confrontato con il mese di gennaio 2013 l’aumento è dell’1,1%.

Questi dati divulgati dall’Istat hanno allarmato i sindacati. Secondo la Cisl, ad esempio, i numeri da record della disoccupazione sarebbero ancora peggiori se non venisse considerata la cassa integrazione. Inoltre, dice il Segretario confederale Luigi Sbarra, “continuano a calare in maniera significativa anche  il lavoro a termine  e le collaborazioni: dunque neppure i contratti flessibili assicurano più alcuna tenuta. Dal 2008 ad oggi sono stati persi più di un milione di posti di lavoro con cadute drammatiche dei livelli occupazionali nel mezzogiorno. La crisi ha distrutto un quarto della nostra produzione industriale”.

Secondo Sbarra sui temi della crescita, dello sviluppo e del lavoro “è tempo di passare rapidamente dagli annunci e dai proclami ai fatti concreti. Va bloccato il pericoloso processo di deindustrializzazione  e  di contrazione degli investimenti con politiche di sostegno ai settori industriali emergenti e ai programmi di ricerca ed innovazione risolvendo definitivamente alcune criticità di contesto come il costo dell’energia, le dotazioni infrastrutturali, il costo del denaro per le piccole e medie imprese. Inoltre, va realizzato un taglio strutturale del cuneo fiscale diminuendo in parte la pressione delle tasse sulle aziende, incoraggiandole così ad assumere, in parte quella sulle buste paga per ridare fiato al potere d’acquisto dei lavoratori e, quindi, ai consumi. In questa fase, senza interventi del genere, le misure relative ai contratti di lavoro e di incentivazione finanziaria da sole non possono fare molto”.

Sbarra afferma che “si può tuttavia concentrare l’attenzione su pochi interventi forti e mirati, ridando centralità all’apprendistato per l’inserimento dei giovani, migliorando le misure a favore dell’alternanza scuola–lavoro ed intervenendo finalmente con un rafforzamento vero delle politiche attive del lavoro, con percorsi obbligatori e mirati di formazione  per i percettori di ammortizzatori sociali. Infine, nella prospettiva di evitare ulteriori perdite di occupazione, chiediamo un intervento deciso per finanziare gli ammortizzatori sociali in deroga e rafforzare i contratti di solidarietà”.

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