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Il business delle Agromafie in Italia supera i 16 miliardi di euro

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Furti di attrezzature e mezzi agricoli, macellazioni clandestine, taglio delle piantagioni altrui, imposizione di vendita di determinate marche agli esercizi commerciali sono solo alcuni dei reati che alimentano il business

di Martina Bortolotti

Secondo il 4° Rapporto sui crimini agroalimentari in Italia, elaborato da Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, nel 2016 il business delle Agromafie ha superato i 16 miliardi di euro, causando un danno gravissimo all’economia e all’immagine italiana.

Le tipologie di reato messe in atto dalla criminalità organizzata sono le più svariate: furti di attrezzature e mezzi agricoli, macellazioni clandestine, taglio delle piantagioni, imposizioni di vendita di determinate marche agli esercizi commerciali e altro ancora.

agromafieQuello agroalimentare è un settore fruttuoso, specialmente per un Paese come il nostro che caratterizza la propria tradizione intorno al buon cibo. Se però ci mette lo zampino la criminalità organizzata ecco che si possono arrecare gravi danni non solo ai bilanci economici, ma anche al libero mercato, annientando la concorrenza. A scapito dell’imprenditoria onesta. Non solo: una conseguenza indiretta – ma devastante – di tali dinamiche è anche la compromissione della reputazione del marchio Made in Italy.

Nonostante la criticità della situazione (specialmente in alcune aree) il nostro Paese gode del vantaggio di controlli severissimi, messi in atto da autorità diverse e indipendenti: Comando Carabinieri per la Tutela della Salute, SCICO-GDF, Comando Unità per la tutela forestale, ambientale e agroalimentare, Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari, DIA. Questo per ciò che concerne le Forze dell’Ordine. Si occupano poi di tali questioni i Ministeri dell’Agricoltura, della Salute, della Magistratura e della Giustizia.
Il controllo poi non si limita alle attività praticate nel territorio nazionale, ma avvengono regolarmente scrupolose verifiche da parte dell’Agenzia delle Dogane, che ispeziona i prodotti alimentari di origine straniera, prodotti che spesso risultano essere sprovvisti di precise indicazioni sulla loro origine. “Abbiamo segnato il punto più originale d’iniziativa” ha commentato il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, Maurizio Martina, durante la presentazione del Rapporto, supportato da Rosy Bindi, Presidente della Commissione parlamentare antimafia: “Abbiamo una legislazione che il resto del mondo non ha”.

Quali sono le aree più colpite? Secondo l’indice di Organizzazione Criminale (IOC), l’associazionismo criminale si concentra soprattutto nelle aree del Mezzogiorno, con un controllo pressoché totale nelle regioni della Sicilia, della Calabria e della Campania, dove il controllo dei prodotti alimentari è interamente – o quasi – nelle mani della criminalità. A seguire vi è il Centro Italia, che è caratterizzato da un grado di penetrazione medio-alto soprattutto in Abruzzo e in Umbria e in alcune aree del Lazio (in particolar modo Latina e Frosinone). Al Nord la situazione sembra migliorare ma il fenomeno non è affatto assente. Anche qui alcune aree risultano maggiormente compromesse delle altre: Piemonte, Alto lombardo, le province di Venezia e quelle romagnole lungo la Via Emilia.

Come detto in precedenza, la criminalità organizzata agisce nel nostro Paese attraverso diverse modalità che creano dunque molteplici problematiche. Nel 4° Rapporto sui crimini agroalimentari in Italia elaborato da Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare si sono analizzati e presentati i singoli casi e si è discusso sulle possibili soluzioni da mettere in atto. Vediamone alcuni.

La ristorazione

Nel mirino della criminalità vi è la ristorazione. Secondo il Rapporto, solo nel 2015 sono state chiuse ben 1.035 strutture operanti nel sistema agroalimentare che risultavano non in regola e sono stati effettuati sequestri per un valore pari a 436 milioni di euro (24% nella ristorazione, 18% nel settore della carne e dei salumi, 11% in quello delle farine, del pane e della pasta). A tal proposito Giancarlo Caselli, Presidente della Commissione per l’elaborazione di proposte di intervento sulla riforma dei reati in materia agroalimentare, ha presentato al Ministro della Giustizia Andrea Orlando la richiesta di un sistema punitivo più adeguato.
Si presenta inoltre necessario lavorare sulla tracciabilità e sull’indicazione obbligatoria della provenienza degli alimenti, in quanto la normativa comunitaria vigente risulta contraddittoria, prevedendo l’obbligo di indicare la provenienza per le carni bovine, ma non altrettanto per salumi, ortofrutta, uova, formaggi, latte e altro ancora. Il risultato, secondo una analisi della Coldiretti, è che quasi la metà dei prodotti che acquistiamo risulta anonima.

Beni confiscati

Altro aspetto problematico è quello dei terreni confiscati. Circa 26.200 terreni nel territorio nazionale risultano essere nelle mani della criminalità. Purtroppo, il processo di sequestro, confisca e destinazione dei beni di provenienza mafiosa è piuttosto lungo e poco efficace. Sono numerosi, infatti, i casi di territori sequestrati rimasti di fatto nelle mani della criminalità. I beni confiscati non vengono sempre restituiti alla collettività; in questo modo si sprecano tra i 20 e i 25 miliardi di euro secondo le stime dell’Istituto nazionale degli amministratori giudiziari (Inag). E oltre al danno, la beffa: i soggetti criminali che non vengono sgomberati dagli immobili godono per giunta del vantaggio di non pagare le tasse, essendo il bene sequestrato. “Dobbiamo gestire meglio questi beni confiscati, restituirli alla comunità. Altrimenti diventa una misura controproduttiva.” Queste le parole della Presidente Bindi.

Furti

Sono frequenti anche i casi di raid criminali organizzati, essenzialmente nelle campagne. Vengono rubati interi carichi di prodotti, mandrie e attrezzature. Le associazioni mafiose puntano sulla condizione di isolamento delle campagne, sprovviste di presidi di polizia. Gli agricoltori sono costretti a trovare soluzioni personali, quali ronde organizzate tra i coltivatori o facendo scortare i propri prodotti. Nel migliore dei casi si procede all’installazione di sistemi Gps sui trattori e di impianti d’allarme collegati alla centrale dei Carabinieri o della Polizia.
Risulta evidente la necessità di lavorare per evitare questo disagio, per esempio invertendo la tendenza allo smantellamento dei presidi e delle forze di sicurezza presenti su questi territori.

Frodi on line

La nuova frontiera delle agromafie è il web. L’acquisto di prodotti alimentari on line è sempre più elevato, anche se l’Italia risulta essere la più restia ad uniformarsi a tale tendenza, ormai diffusa a livello mondiale. Anche nel nostro Paese, però, la pratica sta lentamente prendendo piede (con un dato più che raddoppiato rispetto al 2015, passando dal 6,1% all’attuale 19,3%).
preisdenteIl rischio maggiore è quello di incorrere in prodotti di bassa qualità. Per questo Coldiretti, Eurispes e l’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare si fanno promotrici della messa a punto di un sistema d’identità certificata, come avviene attualmente per i farmaci. Da estendere però a livello internazionale. “Dobbiamo produrre iniziative di carattere europeo. Se rimane una rivendicazione nazionale rischiamo di non farcela. La legislazione europea dev’essere la cornice entro la quale operano i nostri strumenti. Abbiamo tutte le condizioni per farlo, ma tanto lavoro per creare questa sinergia” ha commentato il Ministro Martina. I dati sono sconcertanti: l’italian sounding, nato allo scopo di ingannare e far credere che il prodotto sia italiano usando un nome che ricordi la nostra lingua, supera i 60 miliardi di euro di fatturato. Una grave perdita per l’economia italiana. Il fenomeno poi non proviene solo dall’estero: diffuso è anche il “falso” di matrice italiana, rappresentato dall’azione di chi importa materie prime da cui ricava prodotti che successivamente vende come italiani.

C’è ancora della strada da fare per l’avvio di un sistema sano e onesto. Per questa ragione ci si sta adoprando, perché “difendere il nostro cibo significa difendere la nostra identità, cultura e tradizione” dichiara Gian Maria Fara, Presidente Eurispes.

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