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Femminicidio: la polizia lancia progetto di contrasto

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“Questo non è amore” è il titolo del progetto presentato negli scorsi giorni dal ministro dell’interno Angelino Alfano e dal capo della polizia Franco Gabrielli. Cosa prevede, quali sono gli ultimi dati e quali le reazioni

“Si tratta di un’importante iniziativa che rivolge un’attenzione particolare alle donne proprio in un periodo in cui si registrano tantissimi episodi di violenza che, purtroppo, spesso sfociano in tragedie”. Queste le parole del Ministro Alfano durante la presentazione della campagna della polizia che – continua il Ministro – risponde appieno ad una sensibilità comune che deve consolidarsi come presa di coscienza e che va diffusa fra la gente, non solo perché le vittime abbiano il coraggio di denunciare sentendosi protette, ma anche perché i testimoni di violenze possano avere la forza di segnalare questi episodi restando nell’anonimato”.

Il progetto “Questo non è amore” prevede il coinvolgimento di 14 città nelle cui piazze – durante i 3 mesi estivi – gireranno o stanzieranno altrettanti camper della polizia allo scopo di stabilire un contatto diretto tra le donne e una équipe di operatori specializzati ospitati all’interno di ciascun camper. “Con questo progetto” ha spiegato il Ministro Alfano “vogliamo aumentare la fiducia nei confronti dello Stato e delle forze di polizia, che possono prevenire, proteggere e punire. Il messaggio dell’iniziativa è quello di andare incontro alle vittime piuttosto che stare in ufficio ad aspettare la telefonata”.

Creare un contatto diretto tra le donne vittime o potenziali vittime di violenze e una équipe di operatori specializzati pronti a raccoglierne le testimonianze è dunque l’obiettivo di questa campagna itinerante partita il 2 luglio e che prevede che questi camper, trasformati in centri di ascolto e di raccolta di eventuali denunce, si fermino il primo e il terzo sabato del mese (fino a settembre compreso) a Roma, Sondrio, Brescia, Bologna, Arezzo, Macerata, L’Aquila, Pescara, Matera, Campobasso, Cosenza, Palermo, Siracusa e Sassari.
All’interno dei camper si troverà un pool di esperti composto da un medico psicologo della Polizia di Stato, un operatore della squadra mobile, un operatore della divisione anticrimine (o dell’ufficio denunce) e un rappresentante della rete antiviolenza locale.

Fortunatamente i dati iniziano a mostrare un calo del 22% degli omicidi nei confronti delle donne, del 23% delle violenze sessuali e del 23% dei maltrattamenti. Dagli 80 dei primi sei mesi del 2015 si è passati ai 63 dello stesso periodo del 2016. Sempre nei primi sei mesi dei due anni considerati, si è passati dai 61 femminicidi del 2015 in ambito familiare o affettivo ai 49 del 2016.Ma questo ovviamente non è sufficiente: “non ci accontentiamo del decremento degli atti persecutori perché spesso si arriva ad atti più gravi, fino all’omicidio, quindi il persecutore è potenzialmente un assassino” aggiunge il Ministro sintetizzando in tre parole chiavi la mission da seguire: prevenire, proteggere, punire. Prevenire le azioni violente nei confronti delle donne, proteggere chi decide di denunciarle e punire chi le commette.

Sono in calo i reati riconducibili alla violenza di genere: nel primo semestre 2016 le violenze sessuali sono state 4.164 contro le 5.398 dello stesso periodo del 2015 (-23,35%); gli atti persecutori sono stati 3.416 contro i 5.077 del semestre 2015 (-32,72%), i maltrattamenti in famiglia 1.243 contro 1.621 (-22,86%) e le percosse 4.488 contro 6.090 (-26,31%).
In realtà, anche se i numeri sono inferiori, l’incidenza degli omicidi volontari di donne ascrivibili all’ambito familiare-affettivo rispetto al totale degli omicidi dell’anno appare, invece, negli ultimi sei mesi, in aumento: nel 2015 erano il 24,7%, nel 2016 il 26,49%.
Questi dati, resi noti dal Viminale, confermano ancora una volta quanto sia importante considerare il femminicidio e la violenza sulle donne come un fenomeno culturale ed agire di conseguenza.

La pensa così anche il capo della polizia, Franco Gabrielli, il quale afferma che “il calo è confortante, ma dobbiamo recuperare il sommerso. Le violenze sulle donne sono, prima ancora che reati, un problema sociale e culturale”.
Gabrielli, presentando il progetto “questo non è amore”, nato per offrire assistenza e conoscenza delle proprie possibilità dai casi meno gravi di stalking ai più odiosi come le lesioni, sottolinea l’aspetto “extralegale” dei vari tipi di attacchi alle donne e spiega che questa iniziativa è la riedizione di “una felice intuizione di un’analoga iniziativa ideata anni fa dalla Questura dell’Aquila”. Il progetto si articolerà in due fasi: nella prima verranno avvicinate le potenziali vittime cercando di favorire l’emersione del fenomeno in un’ottica di prevenzione; nella seconda, alla fine dell’estate, “tireremo le somme e faremo un prima verifica dei risultati, in funzione di una stabilizzazione del progetto e di una sua successiva espansione sul territorio nazionale. Il materiale sarà distribuito in più lingue, perché la nostra è una società sempre più multietnica e ci sono ambiti sociali più soggetti a questo tipo di sofferenza anche per questioni culturali”.

Quella del camper che passerà in 14 province italiane per raccogliere le eventuali denunce e informare le cittadine su ciò che possono fare per prevenire le violenze, è “un’iniziativa molto importante di avvicinamento ai cittadini, agli uomini e alle donne, andando incontro ai problemi dove sono e mettendosi a disposizione” ha sottolineato la Ministra per le Pari opportunità, Maria Elena Boschi, durante la presentazione del progetto. “Credo sia molto importante che chi deve denunciare, proprio per trovare quel coraggio, sappia che può trovare di fronte a sé persone preparate ad ascoltarle, a saper riconoscere le difficoltà e quindi anche a suggerire dei percorsi per potersi allontanare da chi ha agito con violenza su di loro o ha minacciato violenza, perché ovviamente la difficoltà è nel cogliere sin dall’inizio i segnali preoccupanti prima che si trasformino in atti irrecuperabili. La presenza sul territorio e la possibilità di avere persone che accompagnino anche un percorso psicologicamente difficile sicuramente è un grosso aiuto. È importante sapere che ci sono percorsi che consentono l’allontanamento dei violenti e la possibilità per chi ha subito la violenza di ricominciare, di trovare una strada anche di autonomia economica”.

Le reazioni all’annuncio non sono state però tutte positive. La presidente dell’associazione D.I.RE (associazione che riunisce 75 Centri antiviolenza su tutto il territorio nazionale), Titti Carrano, dichiara: “nessuna donna andrà mai a fare denuncia in uno dei camper della polizia a meno che, proprio in quel momento, non sia inseguita da un assassino”.
L’amarezza è dovuta probabilmente al fatto che negli ultimi tempi si stanno chiudendo diversi centri antiviolenza per mancanza di risorse economiche e dunque gli annunci pubblici di voler mettere un freno alla violenza contro le donne contrastano con questo tipo di risoluzioni. Spiega Titti Carrano: “se la violenza maschile sulle donne scende – come dicono i Ministri Alfano e Boschi e la Presidente della Camera Laura Boldrini – saremmo le prime ad esserne liete ma è tutto da verificare. In ogni caso questo risultato non è certo ottenuto grazie alla Polizia e alle ‘misure di sicurezza’, anzi: 7 donne uccise su 10 avevano denunciato, ma è stato invano. La violenza sulle donne e sui loro figli è combattuta giorno dopo giorno da trent’anni dai centri antiviolenza che oggi chiudono o stanno per chiudere strangolati dalla mancata erogazione dei fondi di legge. Ci saremmo aspettate che la Ministra per le Pari opportunità Boschi, in questo momento drammatico, desse ferme assicurazioni contro la chiusura dei centri e si impegnasse con le donne e davanti all’opinione pubblica di questo Paese, a colmare la distanza tra la difficile realtà italiana e la Convenzione di Istanbul, ma l’unica risposta che viene dal Governo è ancora una volta securitaria, di ordine pubblico, fine a se stessa. Per l’ennesima volta ripetiamo che serve un’azione di largo raggio, una strategia complessiva, un metodo consolidato ed efficace e che, per costruire queste azioni e ottenere dei risultati, non si può prescindere dal confronto con le Associazioni delle donne e con i centri antiviolenza che conoscono e fronteggiamo questa tragedia per davvero”.

Comprendiamo l’amarezza e la rabbia della presidente di D.I.RE e speriamo che lo Stato, che a volte con una mano toglie in silenzio e con l’altra dà facendo gran clamore, oltre a questo tipo di iniziative pensi a rifinanziare i Centri antiviolenza e inizi a portare avanti un programma più vasto che serva finalmente a cambiare la mentalità prevaricatrice maschile, questione che non si risolve di certo in poco tempo e con iniziative singole, comunque anch’esse sempre benvenute come rafforzativo.

(D.M.)

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