Il buon candidato deve risultare autentico per ottenere il posto di lavoro. Uno studio pubblicato sul Giornale di Psicologia applicata lo dimostra e mette al bando i luoghi comuni sullo sfoggiare il meglio di sé
Come gestire un colloquio di lavoro e riuscire a colpire positivamente i cercatori di teste? Semplicemente restando sé stessi. Lo hanno dichiarato i ricercatori Celia Moore (Dipartimento di Management dell’Università Bocconi), Sun Young Lee (University College London), Kawon Kim (The Hong Kong Polytechnic University) e Daniel Cable (London Business School) a seguito di uno studio pubblicato sul Journal of Applied Psychology.
Le conclusioni dello studio sono che i candidati di alta qualità che si sforzano di presentare se stessi con precisione durante il colloquio aumentano significativamente la probabilità di ricevere un’offerta di lavoro.
“Devi saperti vendere bene” è uno dei consigli più forniti ai giovani in cerca di lavoro, ma purtroppo questo porta gli aspiranti lavoratori a mentire su ciò che sanno fare e a ingigantire i propri pregi nascondendo i propri limiti. Nel tempo sono molti i datori di lavoro rimasti delusi dall’assunzione di un giovane e per questo ormai chi si occupa della selezione del personale non crede più alle “favolette” che gli raccontano i giovani alla ricerca di un impiego. Ormai non è più tempo di giovani rampanti, di stelle del firmamento del business, di genii sottovalutati. Adesso è ora di dire la verità e di riconoscere con tranquillità e semplicità ciò che si sa e ciò che non si sa, ciò che si riesce a fare e ciò che non si riesce a fare, ciò per cui si è portati e ciò per cui non lo si è. Senza tanti inganni, senza raggiri, onestamente.
Ed è proprio l’onestà a premiare. Non occorre sembrare qualcosa di più da quel che si è, anzi. I voli pindarici vengono subito riportati alle loro dimensioni terrene; la semplicità e la naturalezza vengono apprezzate molto di più. D’altro canto – tanto per fare un esempio attuale – è ormai scontato che in Italia i giovani non hanno competenze in ambienti digitali, si spacciano per grandi esperti di software ma una volta messi alla prova tradiscono qualsiasi aspettativa. E questo è uno dei settori in cui c’è maggior richiesta ma meno “skill”.
Lo studio realizzato dal gruppo di ricerca internazionale si intitola The Advantage of Being Oneself: The Role of Applicant Self-Verification in Organizational Hiring Decisions e mette al centro il concetto di autoverifica: presentarsi con precisione rispettando ciò che siamo in modo che gli altri si facciano la medesima opinione. Ma attenzione: questo funziona ovviamente solo per i buoni candidati, quelli cioè in reale possesso di competenze e capacità. Per gli altri la propensione all’autoverifica può addirittura peggiorare la posizione.
La ricerca è stata effettuata su campioni diversi di persone alla ricerca di un lavoro, come insegnanti e avvocati.
In particolare il primo studio ha utilizzato un campione di insegnanti, di tutto il mondo, alla ricerca di un lavoro negli Stati Uniti e ha concluso che – per i candidati di alta qualità – una forte propensione all’autoverifica aumenta la probabilità di trovare un lavoro dal 51% al 73%.
Il secondo studio ha confermato questo effetto in un ambito radicalmente diverso: avvocati che fanno domanda per una posizione nelle forze armate statunitensi, nel qual caso i candidati di alta qualità aumentano di cinque volte le possibilità di ricevere un’offerta di lavoro, dal 3% al 17%, se hanno una forte propensione all’autoverifica.
Il terzo studio aveva l’intento di testare il meccanismo che determina questo effetto. Gli studiosi hanno analizzato 300 persone e hanno selezionato quelle con una propensione all’autoverifica molto alta o molto bassa. Questi individui hanno partecipato alla simulazione di un colloquio di lavoro, la cui trascrizione è stata sottoposta a un’analisi del testo. Sono state evidenziate differenze nell’uso della lingua in funzione della propensione dei candidati all’autoverifica. Le persone con una forte propensione parlano di se stesse in maniera più fluida e sono percepite come più autentiche e meno manipolatrici. Il che spiega perché ottengano buoni risultati nel mercato del lavoro. “Usano più parole funzionali (preposizioni, pronomi, verbi ausiliari), che riflettono la fluidità d’esposizione di una persona, e più parole legate alla percezione visiva (come ‘guardare’, ‘vedere’, ‘visione’)” spiega Daniel Cable.
“In un colloquio di lavoro” dice Celia Moore, “cerchiamo spesso di presentarci come perfetti. Il nostro studio dimostra che questo istinto è sbagliato. Gli intervistatori percepiscono un’auto-rappresentazione troppo perfetta come inautentica e potenzialmente sviante. In definitiva, se si è un candidato di alta qualità, si può essere se stessi. Si può essere onesti e autentici. E si avranno maggiori probabilità di ottenere un lavoro”.