Tecnorassegnazione o Tecnoentusiasmo? Il rapporto Censis Eudaimon misura l’impatto tecnologico nella percezione dei lavoratori
Quest’anno i risultati del terzo Rapporto Censis Eudaimon sul welfare aziendale hanno misurato l’impatto tecnologico percepito dai lavoratori che hanno visto aumentare innovazione digitale, automazione, robotica e intelligenza artificiale nei luoghi di lavoro. I dati mostrano una polarizzazione dei sentimenti che in prospettiva potrebbero tradursi in tensioni tra vertici aziendali e base della piramide del lavoro. Questi sono alcuni dei temi trattati durante il 3° Rapporto sul welfare aziendale, presentato a febbraio al Senato da Massimiliano Valerii e Francesco Maietta, rispettivamente direttore generale e responsabile delle politiche sociali del Censis.
Rapporto e analisi dei risultati
Il rapporto Censis Eudaimon si articola in due sezioni: da un lato analizza il percorso del welfare aziendale, dall’altro studia le cause dell’impatto in azienda a seguito dell’era digitale, destinata a modificare le relazioni industriali, il sentiment dei lavoratori e il modo di lavorare all’interno dell’impresa. Di conseguenza, la domanda rivolta agli intervistati è stata posta per comprendere, secondo il loro punto di vista, quale ruolo possano svolgere tali strumenti e se esistono gap informativi che penalizzano le fasce basse dei lavoratori (operai, lavoratori esecutivi e manuali).
Il Censis, partendo dai dati delle precedenti edizioni, ha estratto alcune considerazioni sulla percezione e la conoscenza dello strumento a prescindere dai ruoli ricoperti in azienda.
Il welfare aziendale secondo i lavoratori
Il dato che emerge è che il 66% del campione intervistato ha dichiarato che il welfare aziendale ha migliorato la qualità di vita e di lavoro e che il 52% dei contratti aziendali e territoriali possiede al suo interno misure idonee a promuovere il benessere dei lavoratori, valore peraltro in crescita all’interno delle aziende.
Il Censis ha anche elaborato un proprio indicatore, ovvero il grado di conoscenza del welfare aziendale, su un campione rappresentativo a livello nazionale. Dalla radiografia emerge che il 23% dei cittadini e lavoratori è a conoscenza dello strumento e il 41% sa più o meno di cosa si tratta. Inoltre, analizzando l’andamento delle risposte in un arco temporale di tre anni, la percentuale risulta in crescita.
Un altro importante valore riguarda l’item che si riferisce all’essere favorevoli a trasformare gli aumenti retributivi o premi in servizi di welfare aziendale. In breve, più della metà degli intervistati, il 54,5%, è favorevole alla conversione di servizi in welfare aziendale; tuttavia fra quelli favorevoli emergono i dirigenti e gli impiegati rispetto agli operai. Mentre sono in aumento gli incerti. Infatti il 22,4% del campione risponde che non sa scegliere per la continua instabilità politica e fiscale del nostro Paese.
Dicotomia negli atteggiamenti tra lavoratori e aziende
Dall’analisi generale, il Censis ha legato questi risultati con quelli che mostrano ciò che sta per accadere a seguito dei mutamenti tecnologici e degli stili di vita in azienda per la presenza dei robot, dove si percepisce una dicotomia nei comportamenti tra lavoratori e aziende. L’85% dei lavoratori sostiene di provare un senso di ansia di fronte alla nuova rivoluzione tecnologica: è stato stimato che più di 7 milioni di lavoratori (un operaio su due) teme di perdere il posto di lavoro, a cui si aggiunge un sentiment di tecnorassegnazione dovuto all’attesa di retribuzioni più basse (58,3%), minori tutele sul lavoro (50,1%), intensificazione dei ritmi di lavoro (50,4%) e una dilatazione del tempo di lavoro (43%).
Rivoluzione tecnologica e disuguaglianze retributive
L’ondata tecnologica sta provocando fra i lavoratori nuove disuguaglianze e nuove disparità nelle retribuzioni. Fatto 100 il salario medio italiano, i lavoratori impiegati in settori ad alta intensità tecnologica possono contare su un incremento retributivo di 184 punti percentuali rispetto ai lavoratori inseriti in altri comparti produttivi (93,5 punti percentuali). Questi numeri mostrano una disuguaglianza salariale in atto nelle aziende italiane che convive con le paure dei lavoratori e testimonia l’esistenza di un gap tra chi oggi lavora con le nuove tecnologie e chi no.
Infine, se si guarda al futuro, la rivoluzione digitale, oltre ad investire l’intero sistema produttivo e minacciare una riduzione dei posti di lavoro, lascerà i lavoratori in condizioni peggiori rispetto a quelle attuali.
Dalla tecnorassegnazione dei lavoratori al tecnoentusiasmo delle aziende
La tecnorassegnazione dei lavoratori si contrappone al tecnoentusiasmo dei vertici aziendali che mostrano un’opinione più ampia del sistema produttivo, vedendo nella rivoluzione tecnologica la possibilità di realizzare un salto qualitativo a beneficio della produttività e della competitività aziendale. Oltre il 97% dei vertici aziendali ritiene che l’innovazione favorirà maggiore competitività producendo una migliore qualità di vita e di lavoro purché vi sia più formazione e aggiornamento (83%), bilanciamento tra vita privata e lavoro (42,4%), maggiore flessibilità di orari, mansioni e ruoli nel lavoro (40,6%). Tuttavia, il rischio percepito dai lavoratori appare in contrasto rispetto alle posizioni apicali: il 52% dei lavoratori sostiene che non sarà facile trovare obiettivi comuni tra i vertici e i lavoratori e il 53,6% di essi sostiene che la diversity generazionale, di provenienza e specializzazione non produrrà tensioni tra i vertici delle imprese e i lavoratori.
Interventi di coaching per migliorare la reputation del welfare aziendale
Il welfare aziendale deve trovare un profilo significativo all’interno delle dinamiche del lavoro e dell’azienda oppure è destinato a rimanere una misura politica di “fiscalità amica” ha spiegato Francesco Maietta, responsabile delle politiche sociali del Censis. “Questo strumento sociale” ha continuato “deve ruotare intorno ad una serie di dispositivi tipici del welfare (sanità, supporto alla non autosufficienza, etc.)”.
Alla luce dello scenario descritto, il Censis suggerisce di adottare servizi diversi, quali il coaching, in grado di accompagnare le persone al graduale cambiamento, ad esempio offrendo maggiore supporto psicologico ai lavoratori per non essere lasciati soli (tanto più se sono animati da un sentiment di paura per gli effetti delle nuove tecnologie sulla propria vita), più sicurezza e maggiore qualità della vita ai lavoratori.
Infine, dal rapporto emergono due anime. La prima: quella di offrire maggiore certezza e stabilità al welfare aziendale; la seconda chiama in causa le parti sociali e aziende affinché si impegnino a lavorare su un profilo preciso che dia legittimità e reputation a questo strumento evitando di creare una moltiplicazione di benefit che rischiano di minare il lavoro delle aziende e dei lavoratori.
Il welfare aziendale
Alberto Perfumo, amministratore delegato Eudaimon, ha spiegato che “c’è bisogno di fare un tagliando al welfare aziendale, ché dopo quattro anni dalla legge di stabilità e dall’avvio dello strumento c’è necessità di un quadro normativo aggiornato. Non esiste una norma unica, ma norme emendate da leggi di stabilità 2016 e 2017, che fanno riferimento a vecchi procedimenti sulla conversione dei premi di risultato”.
Marco Leonardi, consulente del Ministero dell’Economia e delle finanze, ha dichiarato che allo stato attuale “occorre essere realisti” e che “sarebbe opportuno mantenere le norme in vigore; l’importante che non vengano tolte o disapplicate”.
Infine, per Ivana Galli, segretario confederale della Cgil, il welfare aziendale è uno strumento di disparità e diseguaglianza pertanto occorre rivedere la legislazione sul lavoro che è stata manomessa.
Il rapporto è stato presentato e commentato da Alberto Perfumo, amministratore delegato di Eudaimon; Carmelo Barbagallo, segretario generale della Uil; Claudio Durigon, membro della XI commissione lavoro della Camera dei deputati; Andrea Cuccello, segretario confederale della Cisl; Ivana Galli, segretaria confederale della Cgil; Marco Leonardi, professore di economia politica dell’università di Milano e Giovanni Morleo di Confindustria.