Abbiamo intervistato Anna Fusari, capo divisione mare Adriatico della BEI (Banca europea degli investimenti), faro nel mondo dell’imprenditoria femminile
A soli 47 anni di età Anna Fusari è già la seconda dirigente donna più alta in grado presso la Direzione generale della BEI, nella città del Lussemburgo, dove la Banca europea degli investimenti ha la sua cabina di regia. Le abbiamo chiesto di parlarci delle opportunità di finanziamento per le imprenditrici, per le giovani che vogliono avviare una nuova attività, con esempi per le imprenditrici agricole bio e per tutti i settori produttivi.
La BEI incoraggia le donne a fare impresa ma nei settori che promettono di più
L’intervista con Anna Fusari, capo Divisione Mare Adriatico della BEI, è un faro per le imprenditrici pioniere che vogliono creare nuove start-up e avere successo in settori decisamente innovativi.
La BEI non è una banca come le altre, perché è governata dall’Unione Europea e ne applica le direttive in materia d’investimenti per far decollare i progetti a condizioni agevolate. Bisogna sapere che la BEI eroga il 90% dei prestiti a tassi vantaggiosi ai Paesi membri dell’Unione Europea. Lo fa attraverso linee di credito messe a disposizione di una rete di banche commerciali, selezionate in base a una determinata reportistica finanziaria, sottoposta a continue verifiche. La BEI, in poche parole, persegue l’obiettivo di finanziare tutti quegli investimenti giudicati necessari per sostenere la crescita e l’occupazione in Europa, il contrasto al cambiamento climatico, il compimento delle politiche fissate dall’Unione Europea.
Ad Anna Fusari, è stata affidata la responsabilità di Banche e Corporates del Dipartimento Mare Adriatico, una divisione che oltre a Italia e Malta comprende anche i Balcani occidentali (Croazia e Slovenia). Brianzola doc, sposata e mamma di due adolescenti, undici anni fa, prima di trasferirsi nella capitale del Lussemburgo, la Fusari ha lavorato nel settore finanziamenti di Unicredit e a Bruxelles.
La nostra intervista esclusiva ad Anna Fusari
Anna Fusari, con la pandemia che ha provocato la chiusura di tante imprese e partite Iva, come potranno tornare a svilupparsi in Italia le start-up, soprattutto pensando a quelle in rosa?
“In Italia la presenza femminile nelle giovani imprese innovative è addirittura più ridotta che nelle aziende tradizionali. Eppure, alcune ricerche internazionali rivelano che le start-up fondate anche da donne hanno maggiore probabilità di ricevere investimenti rispetto a quelle costituite da soli uomini. Altri studi sostengono poi che le donne sono più adatte a individuare i bisogni del mercato e a coglierne le opportunità. La pandemia purtroppo ha aumentato la disparità di genere, ma credo sia arrivato finalmente il momento per riequilibrare queste differenze”.
La BEI ha attivato attraverso gli istituti di credito linee di prestito ad hoc per progetti d’impresa al femminile?
“Come dicevo, per potenziare l’imprenditoria femminile c’è ancora molta strada da fare. In Europa, ma anche in Nord America, la situazione è peggiore che non in Asia, dove le imprenditrici di alcune nazioni superano per numero gli imprenditori. Il discorso vale anche per l’Italia, che è in linea con il resto del mondo occidentale: riflettiamo sul fatto che soltanto un’attività imprenditoriale su cinque è guidata da una donna. Questa è la fotografia, ma a livello mondiale nelle start-up la situazione non è diversa. Negli Stati Uniti, terra di innovazione per eccellenza, il 71 per cento delle imprese non ha donne nel Consiglio di amministrazione e il 57 per cento non ne ha nelle posizioni di vertice. Va meglio, invece, in Cina e in Gran Bretagna”.
Quali soluzioni si potrebbero adottare?
“Per promuovere l’imprenditoria femminile si può intervenire sulla formazione, incoraggiando le donne ad acquisire conoscenze e competenze in scienza, tecnologia, ingegneria e matematica, in modo da superare gli stereotipi di genere. Ma anche facilitare e promuovere l’accesso al capitale e al credito a medio e lungo termine per agevolare e sostenere nuove idee imprenditoriali al femminile”.
E la BEI cosa fa per incentivare questo processo?
“Da qualche anno la BEI, in partnership con le banche di ciascun Paese, promuove dei finanziamenti a medio termine a condizioni molto favorevoli a società costituite da una percentuale significativa di donne, controllate in maggioranza da donne, oppure ancora dove la gestione è affidata a donne, e infine anche a imprese individuali di donne”.
Qualche esempio nei riguardi dell’Italia?
“Nel 2018, Unicredit e BEI hanno lavorato a un progetto pilota per stimolare l’imprenditoria femminile in Italia. La BEI ha messo 200 milioni a disposizione di Unicredit, di cui almeno il 25 per cento per iniziative e investimenti promossi da aziende femminili. E’ stata una delle prime operazioni in Europa volta a promuovere la parità di genere creando un impatto sul territorio, anche di valore sociale. Sono poi seguite numerose altre operazioni a pioggia per circa 600 milioni nei due anni successivi”.
Ma per vedere andare a buon fine un progetto d’impresa sottoposto alle banche commerciali che hanno a disposizione i prestiti agevolati della BEI, quali condizioni occorre tenere presente?
“La BEI finanzia progetti promossi da aziende attive in tutti i settori produttivi, che sono innanzitutto agricoltura, artigianato, industria, commercio, turismo e servizi, ad esclusione di progetti di puro investimento finanziario o immobiliare. Sono finanziabili, ad esempio, gli acquisti di beni materiali e immateriali, come spese per ricerca, sviluppo brevetti e licenze. Sono inoltre presi in considerazione quei progetti che possono costituire un volano per la ripresa post Covid e che necessitano di capitale circolante per esigenze immediate di liquidità, legate all’attività tipica dell’impresa. I progetti potranno avere un valore individuale massimo di 25 milioni e i fondi BEI possono coprire fino al cento per cento dell’investimento, ma fino a un massimo di 12,5 milioni”.
Parliamo sempre di tassi agevolati e condizioni vantaggiose per iniziative al femminile?
“Alla base di tutto ogni progetto viene valutato dalla banca commerciale secondo linee guida specifiche definite dalla BEI. In aggiunta, a condizioni di prestito favorevoli, dove la riduzione di tasso è contrattualizzata e verificata dalla BEI a campione, la banca commerciale può offrire un’eventuale copertura del rischio di credito anche da parte del Fondo Centrale di Garanzia per le Pmi, che dal 2014 ha una sezione di garanzia dedicata alle imprese femminili. L’operazione segue una logica di sistema, con l’aspettativa di creare maggiore impatto su occupazione e crescita”.
Anna Fusari, in Italia si è notato che le aziende agricole al femminile crescono sempre di più. Ci sono prestiti BEI dedicati al settore agricolo bio e non solo?
“La BEI ha da tempo individuato l’agricoltura come settore strategico, dotandosi di strutture organizzative dedicate e concentrando investimenti e sforzi per far crescere il supporto offerto al settore. Il settore agricolo tradizionalmente sconta degli svantaggi endemici per l’accesso alla finanza, a causa delle dimensioni medie molto ridotte in molte regioni italiane, sistemi di contabilità semplificata rispetto ai quali il sistema bancario “generalista” fa fatica a valutare il merito di credito, con la conseguenza di sovrastimare il rischio degli imprenditori agricoli. Per questi motivi, la BEI ha ritenuto di intervenire sviluppando e offrendo, oltre a linee di finanziamento a medio termine per supportare piani d’investimento pluriennali, anche garanzie di portafoglio per massimizzare la possibilità di copertura del rischio e incentivare nuove operazioni di finanziamento a medio termine”.
Quali sono le linee di questi finanziamenti?
“Diverse iniziative di finanziamento sono state implementate a partire dal 2016 in Italia. Nel primo caso, abbiamo linee di credito per complessivi 650 milioni per il settore agricolo (Pmi, aziende con massimo 250 dipendenti e aziende con massimo tremila dipendenti) attraverso un gruppo di banche italiane. Le banche in questione si sono impegnate a contrattualizzare una riduzione del tasso d’interesse e quindi a trasferire un vantaggio finanziario alle imprese e a raddoppiare il supporto al settore agricolo utilizzando fondi propri. Nella sostanza in tre anni sono stati erogati 1,3 miliardi a supporto di progetti aziendali concreti. Nel secondo caso, abbiamo due programmi di finanziamento paneuropei per complessivi 1,1 miliardi per progetti promossi da aziende e cooperative agricole oppure operanti nella bioeconomy. In questo caso BEI valuta la sostenibilità tecnica, economica e finanziaria ed eroga direttamente i fondi senza l’intermediazione delle banche commerciali. Infine, una linea di credito paneuropea per complessivi 700 milioni è destinata alle banche commerciali a favore di aziende del settore della bioeconomy, a cui si sono aggiunte due linee da 275 milioni con banche francesi. Di questi fondi, almeno il 10 per cento è destinato ai giovani agricoltori europei sotto i 41 anni e il 50 per cento, cioè 350 milioni, è stato stipulato con banche italiane”.
Anna Fusari, qual è il consiglio per le ragazze più giovani, under 35, che vogliano creare una start-up? Quali sono i settori più promettenti su cui puntare?
“I settori in cui tradizionalmente le donne sono più presenti restano commercio, turismo, assistenza alla persona e, tra le attività manifatturiere, il tessile, sebbene sia molto in crisi. Tuttavia, negli ultimi anni si è assistito a una crescita costante delle ditte individuali e società di capitali guidate da donne nei comparti a maggior contenuto di conoscenza, aumentano infatti le imprenditrici con competenze in ambito scientifico. Ma come dicevo occorre senz’altro intervenire sulla formazione, incoraggiando le donne ad acquisire conoscenze e competenze in scienza, tecnologia, ingegneria e matematica, in modo da riuscire a superare gli stereotipi di genere. Inoltre, io consiglierei di sviluppare competenze digitali, sempre più richieste dalle imprese in fase di selezione, che tendono a rimanere una prerogativa dei candidati di sesso maschile. E poi anche investire nella transizione verde e digitale, capisaldi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, inviato da Roma a Bruxelles”.