Si avvicina il momento delle nuove elezioni europee e il Censis presenta il rapporto “Lo stato dell’Unione. Geografia sociale dell’Europa al voto”
Tra un mese, l’8 e 9 giugno 2024, gli italiani si recheranno alle urne per le elezioni europee, ovvero per il rinnovo del Parlamento europeo. Ma che tipo di Europa vogliono che esca da questo voto, sia gli italiani sia gli abitanti delle altre nazioni dell’UE? Per capirlo è stata fatta dal nostro Censis un’analisi degli indicatori economici e sociali riferiti alle 242 regioni che compongono “il mosaico dei 27 Paesi membri dell’Unione europea che permette di andare oltre quanto le medie nazionali nascondono”. Un’analisi preziosa per decifrare lo stato d’animo degli elettori europei, i fantasmi che si agitano nell’immaginario collettivo, le preoccupazioni, le attese e le speranze dei 449 milioni di cittadini europei e, in particolare, dei 359 milioni di elettori.
Un’Europa in calo demografico e con meno peso economico-politico
Nel corso degli ultimi anni l’Unione europea ha conosciuto un progressivo ridimensionamento del proprio peso demografico ed economico (e quindi politico) sul piano internazionale. Se quindici anni fa (nel 2007) all’Unione europea a 27 Stati era riferibile una quota del Pil del mondo pari al 17,7% del totale, oggi la percentuale si è ridotta al 14,5%, a vantaggio soprattutto dei Paesi asiatici. La popolazione dell’Ue 27 rappresentava il 6,5% di tutti gli abitanti del pianeta, quindici anni dopo la percentuale è diminuita al 5,6%. Secondo le proiezioni demografiche, con 491 milioni di abitanti nel 2075, la Nigeria supererà la popolazione dell’intera Unione europea e diventerà la quinta economia del mondo, dopo Cina, India, Usa e Indonesia.
La minaccia del declassamento sociale
Un terzo dei cittadini europei è minacciato dal declassamento sociale. Sono 75 infatti le regioni e le province dei Paesi dell’Unione europea in cui negli ultimi quindici anni si è verificata una variazione negativa del reddito disponibile netto pro capite. Una tendenza che ha coinvolto 151 milioni di cittadini (pari al 34% della popolazione europea e corrispondenti a 121 milioni di elettori), che hanno subito una flessione del tenore di vita familiare. E che si recheranno (eventualmente) alle urne per le nuove elezioni europee con un fardello sulle spalle: la percezione di un tradimento della promessa di miglioramento delle proprie condizioni, essendo stati soggetti a processi di divergenza anziché di convergenza, avendo vissuto un arretramento anziché un progresso. I territori del declassamento si trovano principalmente in Grecia, Italia e Spagna, ma anche in Francia, Austria, Ungheria, in porzioni del Portogallo, del Belgio e della Germania. I dati più preoccupanti si registrano nell’Attica in Grecia (con una riduzione del reddito pro capite rispetto al 2007 del 35,6%), ma anche in alcune regioni italiane: Lazio (-16,0%), Umbria (-14,7%), Provincia autonoma di Trento (-14,6%), Toscana (-14,6%). Con la grande crisi del 2008 è dunque cominciato il lungo ciclo del declassamento storico e sociale europeo, e sono molti i cittadini che si sono persi nelle pieghe della deindustrializzazione di tanti territori. Di tutti gli europei coinvolti, 4 su 10 sono italiani (il 39,1%).
Le disuguaglianze all’interno degli Stati
Persistono, e spesso si sono accentuate, forti disomogeneità sociali nei diversi contesti territoriali all’interno dei singoli Stati, che possono minare la coesione delle comunità nazionali. Ad esempio, in Irlanda si osserva una oscillazione vertiginosa tra i 36.556 euro di Pil pro capite del Northern and Western (il 55,4% in meno della media nazionale) e i 99.750 euro del Southern (il 21,8% in più della media nazionale). In Germania si va dal minimo di Lüneburg (29.261 euro di Pil pro capite) al massimo di Amburgo (69.065 euro). In Francia dal minimo della Lorena (26.340 euro) al massimo dell’Ile de France, la regione di Parigi (58.788 euro). In Polonia dal minimo di Lubelskie (19.291 euro) al massimo di Warszawski stołeczny, la regione della capitale Varsavia (57.953 euro). In Ungheria dal minimo di Észak-Magyarország (17.610 euro) al massimo della regione della capitale Budapest (56.788 euro). In Romania dal minimo del Nord-Est (16.512 euro) al massimo di Bucureşti Ilfov, la regione della capitale Bucarest (63.624 euro). La regione irlandese con il Pil pro capite più alto dell’Unione europea registra un valore pari a 7 volte quello della regione bulgara con, al contrario, il valore più basso della Ue.
I redditi più bassi nell’Italia del Sud
Per quanto riguarda l’Italia, la forbice è amplissima. Si oscilla dal valore minimo del Pil pro capite della Calabria (-40,9% rispetto al dato medio nazionale) al valore massimo di Bolzano (+65,4% rispetto al dato medio nazionale). E sono 6 le regioni italiane in cui ancora si misura un Pil pro capite (a parità di potere d’acquisto) inferiore alla soglia del 75% del valore medio europeo: Calabria, Sicilia, Campania, Puglia, Sardegna e Molise.
Elezioni europee, tra sfiducia e astensionismo
Il tasso di astensionismo alle ultime elezioni europee del 2019 si è attestato al 49,3% nella media dell’Unione europea, con un picco raggiunto in Slovacchia (75,3%), un valore minimo toccato in Belgio (11,5%) e l’Italia collocata poco sotto la media europea (45,5%). In Italia la tendenza all’astensionismo elettorale, intensa e prolungata nel tempo, mostra dati più allarmanti alle votazioni europee (il 45,5% di astenuti nel 2019) rispetto alle elezioni politiche (il 36,1% di astenuti nel 2022).
L’astensionismo alle europee è aumentato costantemente: dal 14,3% del 1979 al 30,3% nel 1999, fino al 42,8% nel 2014 e al 45,5% del 2019. D’altra parte, oggi meno della metà dei cittadini europei ha fiducia nelle istituzioni europee. Il dato relativo all’Italia è in linea con la media europea: solo il 49% degli italiani ha fiducia nel Parlamento europeo, il 46% nella Commissione europea. In Slovenia appena il 37% dei cittadini si fida del Parlamento europeo e in Grecia solo il 33% della Commissione europea.
L’analisi del Censis: democrazia a rischio
La ridotta partecipazione elettorale e la scarsa fiducia nelle istituzioni europee si legano al lungo ciclo del declassamento storico e sociale che ha investito l’Europa a partire dal 2008 e che si manifesta nel malessere dei perdenti e nella bruciante percezione di aver perso posizioni sul terreno del proprio benessere. Una situazione che può insidiare gli stessi meccanismi di funzionamento delle democrazie liberali, se a giugno andrà a votare per il rinnovo del Parlamento europeo soltanto la metà circa degli elettori e se meno della metà dei cittadini europei ha fiducia nelle istituzioni comunitarie, nella loro capacità di offrire soluzioni apprezzabili e di fornire risposte efficaci.