Stop alla mafia
Firmato a Roma il protocollo d’intesa tra Confartigianato, Confindustria Sicilia e Associazione nazionale testimoni di giustizia
La lotta contro le mafie si fa sempre più serrata, soprattutto nell’ambito dell’economia, dove l’illegalità è più infiltrata di quanto si pensi. È stato firmato a Roma, il 27 febbraio, il protocollo d’intesa al fine di tutelare e sostenere le imprese a rischio di soprusi, collusione, abusi, pressioni da parte della criminalità organizzata, a livello regionale e nazionale.
“Rompere il velo del silenzio” ha affermato Giorgio Merletti, presidente di Confartigianato Imprese, “è opera difficile ma possibile. Bisogna dare messaggi di verità e concretezza –ha continuato- perché sempre più persone facciano la scelta giusta”.
Nella sede di Confartigianato si sono riuniti per la firma del protocollo i tre rappresentanti delle organizzazioni suddette. Filippo Ribisi, presidente di Confartigianato Sicilia, ha ribadito la sua volontà di aiutare le imprese nel percorso di giustizia e legalità che – ha spiegato – “deve essere alla base del codice etico di ogni attività, soprattutto nel settore imprenditoriale. È necessario salvare le imprese che sono ancora salvabili, perché senza le aziende, quindi senza produzione, un Paese non può andare avanti, non ha futuro”.
Ascolta qui l’intervista audio a Carmelina Prisco
Giuseppe Catanzaro, vice presidente di Confindustria Sicilia, si è soffermato sulla condizione dei testimoni di giustizia, sul pericolo che corre la loro vita: “sostenere le imprese significa anche dare corsie privilegiate a chi ha collaborato con lo Stato, introducendo strumenti che li tutelino appieno e che consentano loro di non perdere la dignità”. Coloro che denunciano, infatti, sono poi soggetti ad un inumano programma di protezione, conseguenza del quale è la chiusura dell’azienda, per esempio, perdita del lavoro, con conseguente allontanamento dalla propria terra, dai propri affetti, dalla propria vita.
Una sconfitta assoluta sia per l’uomo/la donna, sia per il commerciante, sia per il territorio, impoverito non solo a livello locale, ma anche nazionale. Così ha replicato infatti un testimone di giustizia, dal volto interamente nascosto da un passamontagna: “è costretto a nascondersi proprio chi non dovrebbe vergognarsi di nulla; chi ha collaborato con la giustizia affinché certe irregolarità fossero smascherate. Chiedo alle associazioni che oggi firmeranno l’intesa di rivedere l’applicazione del cosiddetto programma di protezione, perché l’esito finale della pressione mafiosa o della tutela da parte dello Stato è sempre la chiusura dell’azienda. Essere onesti – ha aggiunto – vuol dire denunciare, ma anche portare l’imprenditore a conoscenza del fatto che l’impresa chiuderà”.
Il presidente dell’Associazione Nazionale Testimoni di Giustizia, Ignazio Cutrò, ha approfondito la condizione di vita delle persone che rappresenta: “i testimoni di giustizia” ha detto “non sono parassiti, non devono vivere nella condizione di chi riceve un vitalizio dallo Stato e non può lavorare. Il lavoro è dignità. Alcuni di loro hanno più di 50 anni; sono costretti ad allontanarsi dalle proprie famiglie, a vivere l’isolamento, a dormire in macchina, a lavorare in nero”. Qualcuno li ha definiti “morti che camminano” e alcuni di loro non sono neanche stati accompagnati a votare per mancanza di scorte… “La camorra e la mafia” è intervenuto un dirigente d’azienda incappucciato “comandano le imprese. Siamo un Paese mafioso e la politica è corrotta trasversalmente; la corruzione è infiltrata ovunque, persino negli appalti autostradali. Ho perso famiglia, figli, amici, dignità”, ha concluso con rabbia.
In base agli otto articoli che costituiscono il protocollo d’intesa tra le tre organizzazioni, si provvederà a combattere in maniera capillare le mafie, mettendo a disposizione dell’Associazione Nazionale Testimoni di Giustizia le “informazioni e gli studi di natura economico-statistica elaborate da Confindustria e Confartigianato, prevedendo anche forme di accesso alle proprie banche dati”. Verrà altresì analizzato un progetto per la realizzazione di un Osservatorio regionale e/o nazionale, con relativa assegnazione di sede. Tutto ciò al fine di perseguire e rispettare il Codice Etico che le organizzazioni firmatarie hanno stipulato.
Tra le regole da rispettare – si legge nel protocollo d’intesa – ci sono: l’obbligo di segnalazione immediata agli organi competenti di anomalie, abusi e pressioni di qualsiasi tipo da parte di organizzazioni illegali e mafiose; il sostegno a chi denuncia fenomeni di illegalità attuati dai rappresentanti della Pubblica Amministrazione; la sospensione delle imprenditrici e degli imprenditori associati che pagano il pizzo senza denunciarlo; l’espulsione di chi seguita ad assecondare richieste di estorsione e di chi è colluso con le organizzazioni criminali; l’obbligo della diffusione della cultura della legalità promuovendo iniziative sul territorio.
In ultimo ci si impegna a fornire collaborazione alle imprese dei Testimoni di Giustizia, facilitandone l’accesso al credito…
Confidando nella speranza che a chi ha collaborato con la giustizia e conseguentemente ha perso la propria vita in nome della legalità e dell’onestà, venga riconosciuto il merito di aver contribuito a costruire un Paese civile, sano e vitale, questa alleanza vuole essere un monito per spronare le istituzioni, la politica, l’imprenditoria e le persone in generale, ad agire in nome della giustizia e della libertà, il più delle volte negata.
Carmelina Prisco |
Anche Carmelina Prisco, di Mondragone (CE), era presente alla firma. La sua storia è nota. Nel 2003 è stata allontanata per lunghi anni dalla sua terra, dal suo lavoro, dai suoi affetti, secondo le norme del programma di protezione, dopo essersi trovata per puro caso nel mezzo di una sparatoria e avere avuto “la colpa” di aver guardato negli occhi un killer e poi aver denunciato l’accaduto. Ciò le è costato isolamento, un aborto, anni vissuti girovagando in alberghi sparsi per l’Italia, lavori in nero, e soprattutto paura e solitudine e tre conseguenti tentati suicidi.
Ora Carmelina è tornata a casa, nel suo paese, donve non è stata certo accolta a braccia aperte dai suoi concittadini. Non si pente per quello che ha fatto, ma chiede che le sia restituita quella vita a cui lei e i suoi familiari hanno dovuto rinunciare. Chiede che almeno loro non paghino. Chiede, come tanti altri, il diritto di recuperare la dignità strappatale.
Daniela Auciello