ENERGIA

Quando l’impresa ha bisogno di un coach

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agnese-cecchiniLe imprese che operano nel campo dell’energia, come quelle che operano negli altri campi, possono vivere dei momenti di difficoltà o di cambiamento. Per affrontarli è sempre più necessario cambiare approccio al business e intervenire con un’azione di coaching. Capiamo di cosa si tratta

di Agnese Cecchini, Direttore editoriale Gruppo Italia Energia

L’energia come altri settori è parte di un complesso sistema imprenditoriale e come tale, in un periodo di crisi economica globale e di grandi cambiamenti strategici, sta vivendo una fase di cambiamenti veloci. Situazioni simili sono momenti essenziali per intervenire con un’azione di coaching e formazione in grado di adeguare e a volte cambiare approccio al business. Ne parliamo con Eleonora Mauri mental coach e trainer aziendale.

mauriQuali sono gli ambiti in cui può intervenire un coach nelle aziende?
Il nostro ambito può afferire a diverse attività insite in una azienda. Tra le skill più richieste ci sono:

  • vendita tattica: non più i classici corsi di vendita, ma proprio training sugli strumenti di negoziazione e persuasione (vendita 3.0).
  • gestione dei team: considerate che ormai la figura del “Capo” non è più efficace, serve un responsabile che sia anche un po’ Coach del suo Team, deve saperlo guidare e motivare anche nei momenti più difficili, altrimenti rischia che le persone perdano di vista gli obiettivi. I Capi hanno solo competenze tecniche, mentre i Coach hanno oltre alle competenze anche leadership.
  • gestione degli obiettivi e del tempo: questo elemento è necessario oggi perché tutte le aziende sono sempre più strettamente orientate alla performance, ed al rapporto costo guadagno. Quello che noi insegnamo è come stabilire degli obiettivi e come far sì che le persone lavorino per raggiungerli in modo sinergico, dando il massimo, non perché preteso dal management, bensì come qualcosa di spontaneo, generato dalla motivazione di ogni elemento dell’azienda.

Anche l’impresa energetica si deve adeguare ai tempi che cambiano: quali sono gli ambiti in cui ha riscontrato più necessità o in cui siete intervenuti maggiormente rispetto attività formative di coaching?
Per quanto riguarda la vendita parliamo di formazione o di training o per vendita B2B o B2C, quindi rivolta a intermediari e grossisti nel primo caso e al cliente finale nel secondo. Quello che è cambiato è l’approccio. Oggi non si vende ma si deve far comprare. Inutile pensare a un corso per simulazione, ormai siamo arrivati ad un sistema in cui, vuoi per la molta concorrenza vuoi per il cambio di approccio economico e quant’altro, si deve capire chi abbiamo di fronte, quale concorrenza, di cosa abbiamo bisogno… dobbiamo sempre fare riferimento a leve personali. Pensare ad uno stile di vendita in cui recito un copione e penso solo al disco vendita non è efficace. La prima cosa quindi è cambiare l’approccio di vendita, il che è difficoltoso, soprattutto con chi fa questo lavoro già da tanti anni e fa più fatica ad adattarsi alle nuove dinamiche. Bisogna integrare quindi gli strumenti “della vecchia scuola” con gli elementi di coaching.
Rispetto alla gestione dei team e degli obiettivi si tratta di cambiare approccio: non basta fare corsi di leadership, i capi devono essere sempre di più dei coach, persone cioè che riescono a generare un seguito spontaneo. Il che accade quando sai prendere “nella maniera giusta” le persone e sai trasmettere gli obiettivi aziendali, così da favorire una motivazione forte al lavoro. Per far ciò i ruoli sono importanti, si deve essere parte di un sistema in cui si percepisce come, se manca l’apporto di qualcuno, il sistema manca. I risultati di una azienda li fa un team di singole persone, se queste si percepiscono come “un pollo in batteria” e non vengono motivate, è inutile pensare agli obiettivi e ai numeri. Per ottenere ciò è necessario lavorare affinché manager e direttori diventino coach, e da qui si può lavorare a cascata su tutto il team.

Questo che mi descrive è un approccio forse più tipico dei Paesi stranieri, sta prendendo piede anche in Italia una cultura di impresa sistemica che vada oltre l’idea dell’attività familiare anche per le PMI?
Sì, sicuramente. Oggi c’è una maggiore consapevolezza dell’importanza di un metodo, e questo in parte è un risultato della crisi. Soprattutto realtà più piccole – dalle 5/10 persone alle 50 – che non sono abituate a ragionare in base a competenze di gestione del personale (che io definisco “soft”) si sono rese conto che è arrivato il momento di cambiare qualcosa nel loro approccio o rischiano di non farcela.

Quali sono i segnali di allarme per cui un’azienda deve pensare di ristrutturare l’aspetto “sofware” di gestione?
Semplicemente quando la situazione attuale non è quella desiderata, se ciò che accade in azienda non è simile all’ideale desiderato.
In tutti questi casi se mancano delle competenze a livello manageriale, o se manca una capacità di coaching, si può intervenire.

Si può realizzare una sorta di diagnosi aziendale, per capire lo stato effettivo di una società?
L’analisi è il primo fondamentale passo: nessun percorso di formazione per coaching è preconfezionato, perché ogni azienda ha le sue dinamiche. È necessario capire cosa può servire alla specifica realtà analizzata e sviluppare azioni mirate. L’analisi deve essere svolta su tutti i livelli, non basta fermarsi alle HR o ai manager, perché altrimenti si rischia di non capire davvero quali siano i limiti del sistema. Lo stesso per eventuali corsi di formazione: i dipendenti devono essere sensibilizzati sul perché sono coinvolti in una formazione.

Se potesse dare un consiglio alle aziende che vogliono avviare un percorso di coaching o training quale sarebbe?
Prima di tutto valutare l’analisi che viene fatta, diffidate dei percorsi preconfezionati e fidatevi delle persone. È importante saper ascoltare. Spesso ci sono delle dinamiche aziendali che si possono risolvere semplicemente ascoltando le persone con cui lavoriamo – cosa che molto spesso non facciamo – in questo il coach è un facilitatore che sa come ascoltare e come canalizzare il buono delle segnalazioni, ripulendole dalle lamentele fini a se stesse, per costruire un percorso costruttivo.

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