Ambiente Imprenditoria

Ddl parchi approda in Aula Camera

Nel testo si istituisce il Piano nazionale triennale di sistema per le aree naturali protette. Ma per gli ambientalisti la tutela dei territori è a rischio

La commissione Ambiente della Camera ha approvato il disegno di legge recante disposizioni in materia di aree protette, che è ora all’esame dell’Aula. La proposta di legge, già approvata dal Senato, interviene sulla disciplina vigente, una legge che risale al lontano 1991.

Nel dettaglio, il provvedimento disciplina l’istituzione del Piano nazionale triennale di sistema per le aree naturali protette, che ripristina un luogo di concertazione e programmazione condivisa tra Regioni e governo. Il piano, che sarà finanziato per il triennio 2018/2020 con 10 milioni di euro l’anno, riserva almeno il 50 per cento delle risorse disponibili alle aree protette regionali e alle aree marine protette e prevede che le Regioni lo cofinanzino con risorse proprie; inoltre, consente di ristabilire una sede unitaria dove promuovere strategie di mitigazione e adattamento al cambiamento climatico. Importanti novità anche per la gestione delle aree marine protette, tra cui l’incremento di 3 milioni di euro dal 2018 per la gestione e il funzionamento delle aree istituite, e i criteri per la partecipazione al bando a evidenza pubblica per la selezione dei direttori. Tra le novità degne di nota, una norma sulla parità di genere nelle nomine degli organi degli enti parco: basti pensare che nei 23 parchi nazionali sono solo tre le donne che svolgono funzioni da direttore e solo 14 su 230 (il 6 per cento) quelle nei consigli direttivi.

Nel disegno di legge si rafforzano alcuni divieti (eliski e attività di prospezione, ricerca, estrazione e sfruttamento di idrocarburi liquidi e gassosi), le misure sanzionatorie per le violazioni di legge nelle aree protette, le indicazioni per il rispetto della normativa sull’uso dei prodotti fitosanitari e il divieto di introduzione dei cinghiali su tutto il territorio nazionale. Inserita poi una norma che prevede dal 2018 il passaggio della gestione delle riserve statali alle aree protette in cui queste sono presenti o limitrofe, e quella che prevede di svolgere ogni tre anni una Conferenza nazionale sui parchi.

Il testo – a detta delle associazioni ambientaliste – presenta alcune criticità.

Preoccupano la scelta di non inserire le aree umide riconosciute dalla Convenzione di Ramsar e quelle della Rete natura 2000, riconosciute dalle direttive Habitat e Uccelli nella classificazione delle aree protette. Inoltre, non è stata presa in considerazione la proposta dell’istituzione di una Consulta per ogni parco, per garantire la partecipazione e il contributo del partenariato economico e sociale, e di un Comitato tecnico scientifico con funzioni consultive. Organi che, secondo Legambiente, avrebbero consentito di migliorare la governance dei parchi. Proprio sul fronte governance, per l’associazione vanno definite competenze maggiori per la nomina a presidente; mentre per la nomina del direttore il concorso pubblico andrebbe gestito da una commissione nominata dal ministero dell’Ambiente, prevedendo un solo vincitore a fronte della terna proposta nel testo. Parere totalmente negativo sulla norma che permette ai parchi di superare quanto prevede la legge 122/2010, misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica, e altre norme del decreto legge 95/2012.

I parchi potranno cioè non rispettare limiti di spesa e altri vincoli imposti ai bilanci di tutte le altre amministrazioni pubbliche per contenere le cosiddette spese inutili. Da migliorare, inoltre, la parte relativa alle royalties, il meccanismo di risarcimento delle aree protette per i danni provocati alla natura dalle attività impattanti. Il modello di pagamento una tantum proposto dalla commissione della Camera è giudicato peggiorativo, perché continua a escludere l’imbottigliamento delle acque minerali, le funivie e le cabinovie. Il meccanismo sulle royalties è “peggiorativo rispetto al testo del Senato”, osserva il presidente di Legambiente Rossella Muroni, perché “fa sconti a petrolieri e acque minerali”. La nuova legge, spiega Italia Nostra, “riconosce solo royalties (in alcuni casi solo dell’1 per cento) una tantum cancellando quel minimo riconoscimento di introiti rispetto alle alterazioni paesaggistiche e al disturbo naturale causato da oleodotti, rinnovabili, elettrodotti”.

Ma il presidente della commissione Ambiente della Camera, Ermete Realacci, non ci sta e torna a ribadire che l’obiettivo della riforma è “rendere le aree protette un modello di sviluppo per il Paese, incrociando natura e cultura, coniugando la tutela e la valorizzazione del territorio e delle biodiversità con la buona economia, sostenibile e più a misura d’uomo”.

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