Fiere Imprenditoria

Festival dell’economia 2019

Intervento Tria al Festival economia Trento

Conclusasi la 14ima edizione del Festival dell’economia svoltasi a Trento dal 30 maggio al 2 giugno. Quest’anno il focus era su “Globalizzazione, nazionalismo e rappresentanza”

Come ogni anno da 14 a questa parte si è tenuto a Trento l’appuntamento in cui “i protagonisti del mondo dell’impresa, della ricerca, dei media, della politica discutono le questioni calde dell’economia”. Uno dei primi ospiti è stato il Ministro dell’Economia e delle Finanze, Giovanni Tria, il quale ha dialogato con Olivier Blanchard, docente di Economia al MIT, già consigliere economico e direttore del Dipartimento Ricerca del FMI, intorno ad argomenti quali politiche economiche europee, investimenti e protezione sociale.

Italia vs Europa
I temi affrontati in questo primo incontro, il 30 maggio, hanno riguardato soprattutto l’inquadramento della situazione economica italiana nel contesto europeo, la fiducia degli investitori, l’opportunità degli investimenti pubblici, la pressione fiscale. “L’Italia è affidabile, è la terza economia dell’Europa” ha detto Tria. “Prevediamo che per il 2019 raggiungeremo gli obiettivi concordati con la Commissione Europea e il deficit sarà inferiore a quello delle previsioni, senza la necessità di alcuna manovra correttiva” ha precisato il ministro.
Come dovranno cambiare le politiche europee? È stato chiesto ai due esperti e la risposta è stata unanime: sono necessari meno vincoli e più indipendenza dei singoli Stati.
Secondo Blanchard l’urgenza non è tanto la riduzione del debito, quanto piuttosto non spaventare gli investitori. Una tesi condivisa da Tria, che rilancia la necessità di una politica macroeconomica a livello europeo, che punti alla crescita di tutti i Paesi: la loro interconnessione richiede politiche adeguate. “I veri sovranisti sono i Paesi del nord” ha commentato il Ministro, ricordando la paralisi decisionale che in questo momento deve essere sbloccata, al di là delle alleanze ipotizzabili fra l’Italia e altri Paesi. La vera catastrofe, secondo Blanchard è che l’austerità ha ridotto gli investimenti pubblici. Spendere di più in questo settore è anche l’opinione di Tria, che ha ribadito la necessità di investire in istruzione, in tecnologia, in competitività, in una linea comune che renda l’intera Unione più forte, per sfuggire alla morsa di Stati Uniti e Cina e che guardi con attenzione alla protezione sociale, un tema molto rilevante e che non interessa certamente soltanto l’Italia.

Imprese locali o multinazionali - Festival economia TrentoImprese italiane vs giganti esteri
E il confronto con i grandi giganti economici esteri è stato un argomento portato avanti anche in un’altra occasione, durante il Festival dell’Economia: l’incontro organizzato dall’Associazione italiana economisti d’impresa (GEI) cui hanno partecipato Innocenzo Cipolletta, presidente AIFI, Gregorio De Felice, chief economist a Intesa San Paolo, Alessandra Lanza, docente di marketing alla Bocconi e Massimo Deandreis, direttore generale Studi e ricerche per il Mezzogiorno. Focus dell’incontro proprio “La forza delle imprese italiane tra i giganti Cina e Usa”.

In questi ultimi dieci anni l’export ha funzionato come forma di difesa per le aziende italiane: chi è sopravvissuto alla crisi, quindi, lo ha fatto grazie all’estero. Ecco perché l’Italia ha maturato tra i più forti surplus manifatturieri. Oggi però il mondo sta radicalmente cambiando: la geopolitica, infatti, è diventata un convitato di pietra dell’internazionalizzazione, con un peso aumentato degli accordi bilaterali. Alessandra Lanza ha spiegato che “ci stiamo muovendo verso uno scenario a blocchi del commercio mondiale, una rivalità già vista sui mercati delle materie prime. L’appetito cinese per il petrolio ha infatti costituito un incentivo all’autosufficienza energetica degli Stati Uniti. La rivalità oggi si è invece spostata sulle cosiddette terre rare: oggi Pechino produce il 71% di questi elementi chimici”.
Gregorio De Felice ha confermato che il baricentro produttivo si è spostato verso l’Asia: Pechino e Usa sono i protagonisti indiscussi nell’interscambio mondiale, così come della tecnologia avanzata. “Il punto forte dell’Italia è la diversificazione dei prodotti: ci garantisce flessibilità e orientamento al cliente. Se aggiungiamo la diversificazione geografica, nei momenti critici riusciremo sempre a bilanciare”. Ciliegina sulla torta, le imprese italiane, anche se piccole, sono riuscite ad allungare il raggio di export. Secondo la previsione di Prometeia-Intesa San Paolo il saldo commerciale italiano nel 2023 vedrà più del 50% del fatturato realizzato all’estero.

Forza imprese italiane contro giganti esteri - Festival economia Trento

Imprese locali o multinazionali? In realtà servono tutte e due
E allora ci si chiede quanto le imprese italiane possano competere con un mondo economico altamente globalizzato e come possono città e regioni attrarre più investimenti di imprese multinazionali? Con più lavoro, capitali e tecnologia o con più concorrenza per le imprese locali? Ne hanno parlato Peter Bodin, amministratore delegato di Grant Thornton International, Mauro Casotto di Trentino Sviluppo e Licia Mattioli, imprenditrice e vicepresidente di Confindustria, introdotti da Giorgio Barba Navaretti.
“É molto difficile” ha detto Navaretti “che gli investimenti diretti non vadano in aree avanzate, dove ci sono già molti investimenti e non in aree depresse. C’è chiaramente un’enorme diversità nella capacità di attrarre investimenti fra i diversi Paesi. Il tema fondamentale in Europa sarebbe quello di avere politiche comuni, soprattutto in campo fiscale, nei confronti delle imprese”.
Eppure alcuni casi positivi ci sono e Casotto ha riportato quello del Trentino dove “la storia della presenza delle multinazionali è tendenzialmente positiva, soprattutto fino agli ultimi decenni del secolo scorso. Hanno portato investimenti, lavoro e frenato l’emigrazione. Poi negli anni ’80 del alcune hanno cominciato ad andarsene e abbiamo allora dovuto rivedere le nostre politiche di incentivazione. L’obiettivo, oggi, è quello di creare le condizioni affinché le imprese si inseriscano bene nel territorio. Abbiamo, quindi, puntato sullo sviluppo delle tecnologie e sulla ricerca industriale e adesso abbiamo aziende importanti, ma più piccole, il 55% di quelle a capitale straniero vengono dalla Germania”.
Bodin ha evidenziato che non bisogna scegliere fra imprese locali o internazionali: “non sono in antitesi, abbiamo bisogno di entrambi. L’importante è che il business sia sostenibile. Nei prossimi anni, secondo le previsioni cresceranno di più le imprese di medie dimensioni che possono diventare internazionali grazie alla tecnologia. La globalizzazione fa bene alle imprese, ma deve essere responsabile e portata avanti correttamente. Ogni economia che si chiude e si ripiega su se stessa è destinata a fallire, le economie devono aprirsi”.

Parola chiave: formazione. Economica
La formazione economica come elemento cruciale per superare le sfide del mondo del lavoro e le differenze di genere. Altro tema affrontato durante la 4 giorni del festival, in un incontro moderato da Roberto Fini, presidente dell’Associazione Europea per l’Educazione Economica, cui hanno partecipato: Anna Maria Ajello, presidente Invalsi, Nadia Linciano, responsabile Ufficio Studi Economici, Consob e Antonio Schizzerotto della Fondazione Bruno Kessler.
Lo studio dell’economia e dei meccanismi che la regolano rappresenta una delle sfide per superare il livello medio basso della literacy economica e finanziaria degli italiani. Il punto di partenza è quello legato al rafforzamento della formazione scolastica sui problemi dell’economia globale e nello stesso tempo al superamento delle differenze di genere, ancora così marcato in Italia. Schizzerotto ha posto subito l’accento sull’importanza della formazione scolastica: “lo studio è sempre un valido strumento per garantirsi un ritorno occupazionale, chances di mobilità sociale e il miglioramento del proprio reddito”. I dati in Italia evidenziano come il livello d’istruzione conti più del livello sociale anche se nel nostro Paese emergono differenze di genere che vedono i ragazzi avvantaggiati rispetto alle ragazze. Un dato che preoccupa è anche quello relativo al mancato coordinamento tra il mondo della scuola e quello del lavoro: dal 2019 al 2023 si prevede un aumento nella richiesta di laureati in economia e statistica, medicina ed ingegneria ma spesso la formazione scolastica va in un’altra direzione.
Per Antonio Schizzerotto ci sono rimedi possibili alle discrasie fra domanda ed offerta di laureati a partire “dall’introduzione di forme di istruzione terziaria non accademica e a iniziative rigorose di orientamento ad iniziare dal terzo anno delle secondarie superiori. Tutto questo accanto all’attuazioni di efficaci politiche di diritto allo studio ed in particolare politiche di risparmio incentivato”. Anna Maria Ajello ha sottolineato la necessità di sviluppare l’educazione economico – finanziaria con iniziative atte a fronteggiare lo stato delle cose ma ha anche rimarcato le disuguaglianza di genere come punto nodale per migliorare il gap sul fronte della cosiddetta financial literacy: “l’Italia è un Paese che mostra marcate differenze di genere a favore dei ragazzi anche sul fronte dello studio dell’economia e della finanza. Differenze che emergono anche a parità di rendimento in matematica, lettura e caratteristiche della famiglia di provenienza”.
Anche per Nadia Linciano è necessario innalzare i livelli di istruzione finanziaria in Italia partendo proprio dall’educazione nelle scuole per creare cittadini capaci di avere sempre più strumenti per orientarsi in questo settore. La Consob in uno dei suoi ultimi rapporti offre diversi spunti di riflessione sulle azioni necessarie per predisporre un terreno fertile all’educazione finanziaria individuando in particolare la necessità di sensibilizzare i cittadini sulla necessità di accrescere le proprie competenze: una strada obbligata per innalzare il livello di attenzione verso temi che appaiono ancora poco “salienti”, ossia troppo lontani dalla propria quotidianità. Un processo che deve incominciare proprio dal sistema scolastico perché le persone con maggiore cultura finanziaria hanno più probabilità anche di pianificare i propri piani legati alla previdenza e di evitare di sovraindebitarsi.

formazione economica contro differenze di genere sul lavoro

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