Lavoro Mestieri e professioni

Il fotografo, tra arte e professione

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Una storia lunga millenni ha portato all’invenzione della fotografia e, solo da meno di due secoli alla creazione di un nuovo mestiere, il fotografo. Un mestiere sospeso tra arte e professione. Intervista al fotografo Massimiliano Sideri

Fissare un’immagine imperitura di sé, dei propri cari e della propria vita è da sempre stato uno dei desideri più intensi degli esseri umani, come dimostrano le pitture rupestri di epoca preistorica: ciò che volevano fare già quei primi uomini era fermare un momento della propria vita quotidiana per tramandarla ai posteri. E proprio quella pittura, quelle sagome disegnate, furono probabilmente una forma anticipatoria della odierna fotografia.

Da allora sono trascorsi secoli e secoli in cui sono stati fatti passi da gigante in campo chimico, sono stati studiati anatomicamente gli occhi umani e la vista, comprendendone il funzionamento e imitandolo, approfondendo l’ottica, inventando la camera oscura ed arrivando così alla prima immagine permanente, scattata nel 1826 dallo scienziato francese Joseph Nicéphore Niépce (immortalò ciò che vedeva dalla sua finestra). Al 1839 invece si fa risalire la prima foto ufficiale, il dagherrotipo, dal nome dell’inventore Daguerre, creatore di una macchina che però poteva stampare solo un’immagine e che presto sarebbe stata soppiantata da quelle giunte fin quasi ai giorni nostri, in grado di realizzare matrici riproducibili più volte. Oggi, epoca della digitalizzazione, anche la fotografia si è “adeguata” ma Daguerre, consideratone il padre, fu anche il primo fotografo professionista: ricevette infatti un compenso vitalizio per il suo lavoro. Un lavoro che nel tempo si è modificato ma che conserva una sorta di ambiguità di fondo: quanto c’è di esperienza, di professionalità e di competenza tecnica e quanto di intuito, di ispirazione, di passione, insomma di artistico in questo mestiere? Lo abbiamo chiesto a un fotografo che, per l’uso di alcune tecniche particolari e della loro commistione, sta salendo alla ribalta in questi ultimi anni: Massimiliano Sideri.

Massimiliano, la fotografia è una professione o un’arte?
Entrambe spesso coesistono. Ogni individuo nasce con delle attitudini e, in qualsiasi campo, chi intraprende un’attività con la sola professionalità avrà più difficolta ad emergere rispetto a chi ha anche una predisposizione artistica, che spesso rappresenta quell’elemento che permette di eccellere. Nella fotografia, così come in qualsiasi campo che riguardi l’arte, la professionalità è a supporto della creatività. Ho conosciuto molti fotografi per i quali la tecnica rappresentava una “fastidiosa” necessità per concretizzare un’idea in un’immagine.

Tu usi una tecnica particolare: in che consiste?
La tecnica che uso attualmente è stata da me adottata un po’ per caso. Sicuramente favorita dal mio lavoro. Qualche anno fa, un mio amico, conoscendo la mia passione per la fotografia, mi segnalò un software che permetteva, variando dei parametri, di ottenere effetti particolari nelle elaborazioni delle fotografie. Da quel momento ho sviluppato una mia tecnica che attraverso l’utilizzo di vari programmi e … molte ore di lavoro, mi permette di ottenere i risultati attuali, cioè delle immagini che hanno un effetto pittorico. Questo tipo di fotografie, nell’era del digitale, spesso dividono gli appassionati. I Puristi, che non ammettono manipolazioni, e gli Estremisti per i quali la fotografia rappresenta un punto di partenza per elaborazioni creative. Tra questi due estremi vi è una via di mezzo nella quale mi colloco, ma ritengo che in qualsiasi forma di arte non debbano esserci limiti espressivi.

Quando hai iniziato la tua attività fotografica e qual è stato il tuo percorso in questo ambito?
Negli anni 80 ho frequentato il corso biennale di Fotografia presso l’Istituto Europeo di Design di Roma. Successivamente ho lavorato per due anni presso lo Studio Fotografico Martelli, approfondendo le tecniche nel campo della fotografia di Moda, Pubblicitaria, Industriale, Still Life.
È passato molto tempo da quel periodo. Ho ripreso a fotografare da qualche anno, spinto dalla passione per il trekking, che mi ha spronato a portare una piccola digitale per conservare i ricordi delle innumerevoli, bellissime passeggiate fatte insieme a tanti amici. È stato come riaccendere un fuoco che covava sotto una coltre di cenere. La passione per la fotografia è riesplosa, ed eccomi qua.

La digitalizzazione ha cambiato il mondo della fotografia? In che modo?
La società si è evoluta a tal punto che ciò che in passato era un privilegio per pochi, oggi è alla portata di molti. La fotografia digitale fa parte di quel mondo di “Prodotti Consumer” di larga diffusione che è entrato nelle case di molti. Questo è un fattore positivo, che ha permesso a tanti di esprimersi anche con le immagini. Attraverso i media abbiamo la possibilità di conoscere, comodamente seduti a casa, i posti più sperduti della terra, essere informati su tutto quello che accade nel mondo. Tutto ciò ha avuto una crescita esponenziale grazie anche alla fotografia digitale. La facilità con cui attualmente si ottengono fotografie tecnicamente perfette, però, ha portato a pensare che chiunque possa cimentarsi professionalmente in questo ambito. Si assiste ad un fenomeno di omogeneizzazione delle immagini, dove la tecnica influenza la rappresentazione dei soggetti, che sembrano stereotipati. Nell’era del digitale la differenza non è più dettata solo dalla competenza, ma dalle idee, dalla creatività. Pur essendo, culturalmente, di formazione più classica, non posso rimanere indifferente di fronte alla genialità del fotografo americano David La Chapelle, tra i più rinomati del momento, le cui immagini, spesso un po’ “forti” e “kitsch”, colpiscono per l’originalità.

10b.IMG_7701f.Firma_DAP_Realism (Copia)Da dove arriva l’ispirazione per un fotografo?
L’ispirazione è figlia dell’istintualità, del nostro modo di “sentire” la vita e, nel tempo, può essere coltivata, studiando il lavoro dei fotografi, ma anche dei pittori che hanno lasciato una traccia nella storia. Non vi è un professionista, di successo o meno, che non si sia ispirato ad un artista o non abbia avuto un punto di riferimento da cui trarre stimoli creativi. È probabile che molti abbiano sviluppato la propria personalità fotografica traendo spunto dal lavoro di altri come, per esempio, “Henry Cartier Bresson” o “Steve McCurry”, tanto per citare due tra i più conosciuti dal pubblico.

Tu a cosa ti sei ispirato nelle tue ultime opere?
La mia ispirazione è nata dall’istinto, dalle situazioni, dai luoghi e dai momenti particolari che mi hanno dato emozioni. Ogni fotografia rappresenta una porta di ingresso ai miei ricordi più belli. Mi dà l’occasione di non dimenticare e di ricostruire frammenti della mia vita; di ricordare le persone che hanno attraversato la mia esistenza e che, tramite le fotografie, vivono dentro di me e con le quali, idealmente, continuo a percorrere la stessa strada, insieme. Mi sento molto vicino, nel modo di percepire la realtà, al pittore statunitense Edward Hopper. Non sono l’unico fotografo ad esserne stato influenzato. Altri, come ad esempio Gregory Crewdson e Richard Tuschman, hanno riversato nelle loro immagini tratti del suo stile.

La tua prossima mostra sarà a Scanno, in Abruzzo: ce ne parli?
Nell’estate del 2017 proposi ad alcuni amici di Scanno (in provincia dell’Aquila) delle mie fotografie da esporre. Rispetto alle mostre locali, che avevano come soggetti strade e vicoli caratteristici, le famose “Donne in Costume” e frammenti delle tradizioni scannesi, le mie immagini erano molto diverse. Dall’espressione dei miei interlocutori, che, mentre visionavano il tutto, non lasciavano trapelare alcun segno di consenso, ebbi la sensazione che il mio genere fosse talmente fuori dagli schemi a cui la cultura locale era abituata, che la proposta non sarebbe stata accettata. Con mia sorpresa invece il parere fu favorevole, e così iniziò l’avventura che, dal 17 agosto 2017, a Scanno mi vide protagonista con le mie fotografie. Questa esperienza mi portò fortuna perché successivamente esposi a Roma, per un mese, presso la Chiesa Episcopale di St. Pauls, in via Nazionale. Presi parte ad una mostra diffusa con altri artisti e, per concludere, esposi per trenta giorni, alla Caffetteria del Chiostro del Bramante.
Quest’anno, nel solito bellissimo locale, “la Volta delle Idee”, che rievoca antiche tradizioni, il 17 agosto, alle ore 18,00 inauguro la mia ultima mostra: una serie di nuove fotografie che rappresentano, nello stile, pittorico, una continuazione delle precedenti. Come nel 2017, sono stampate su lastre di alluminio formato 40 x 60 cm. Non ho dato titoli alle singole immagini, con lo scopo di lasciare al visitatore ampia libertà di creare un legame personale, sulla base del proprio “sentire”. Il colore, che ho cercato di esaltare in ogni scatto, è parte predominante delle fotografie.

Nel tempo si cambia, ci si evolve, le modifiche interiori si ripercuotono anche nel percorso professionale e artistico. Come vedi il futuro della fotografia in generale e quello della tua fotografia in particolare?
Nell’evoluzione interiore di ciascun individuo avvengono, senza una consapevolezza razionale, mutazioni sostanziali del carattere, della percezione della vita e di come ci rapportiamo ad essa.
Tali cambiamenti, determinati anche dalle esperienze di ognuno di noi, inducono a riflessioni ed analisi retrospettive. Analizzando i lavori del passato tendiamo ad essere molto critici con le nostre fotografie, che valutiamo con occhi poco benevoli. Saltano fuori difetti di composizione, soggetti con poco appeal, ecc. Questo è un percorso che giudico comunque positivo: ci aiuta ad essere più consapevoli dei nostri limiti e costituisce una rinnovata base di partenza.
Se parliamo di un uso personale della fotografia, il futuro non può che essere positivo. La diffusione dell’immagine sarà sempre più interconnessa con la “rete Internet” e a portata di tutti. Già adesso assistiamo al fenomeno dei “cellulari” che – sempre più evoluti anche da un punto di vista fotografico (alcuni modelli montano addirittura lenti Zeiss) – nel giro di pochi secondi possono trasmettere immagini in tutto il mondo, rendendo chiunque partecipe delle proprie esperienze.
Professionalmente la cosa è più complessa. Per un fotografo professionista non è più sufficiente fare delle “belle fotografie”, ma deve confrontarsi con una moltitudine di colleghi altrettanto bravi. Quello che farà la differenza saranno le capacità personali di creare una rete di relazioni e di marketing, utilizzando tutti i nuovi sistemi, social e non, per raggiungere il proprio target.
Il mercato dell’immagine sarà sempre più competitivo, ci sarà sempre meno spazio per l’approssimazione.
Io ho la fortuna di potermi dedicare alla fotografia considerandola come un hobby. Questa dimensione permette la completa libertà espressiva. Non ho vincoli particolari, di tipo commerciale. Non ho la necessità di suddividermi in fotografo e uomo di marketing. È indubbiamente una posizione privilegiata che spero di poter conservare anche in futuro. Posso scegliere di fotografare paesaggi, fare ritratti, street photography, ecc. Posso dedicare del tempo ad effettuare prove e sperimentare nuovi percorsi. Uno di questi, attualmente, mi vede impegnato nella tecnica di elaborazione pittorica delle immagini, ma non è escluso che prossimamente intraprenda nuove strade creative, con un ritorno alla fotografia tradizionale.

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