Diritti Lavoro

Smart working e questioni di genere negli Enti di ricerca

Pubblicata l’indagine su smart working e questioni di genere negli enti di ricerca che ha coinvolto uomini e donne che hanno svolto attività lavorativa agile durante l’emergenza Covid

È stato recentemente presentato il rapporto “Indagine sullo Smart Working e questioni di genere negli enti di ricerca italiani durante l’emergenza Covid-19” realizzato dall’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irpps).

Lo studio su smart working e questioni di genere negli enti di ricerca
L’analisi è stata svolta su un campione di 2.721 persone attraverso un questionario online tra aprile e giugno 2020, con metodo CAWI, un sistema di somministrazione online dei questionari. Scopo dell’indagine analizzare le capacità di innovazione nel garantire la continuità del lavoro e di conciliazione tra vita privata e lavoro durante il periodo di smart working. Focus incentrato su alcuni aspetti fondamentali del lavoro agile svolto dai dipendenti degli enti di ricerca pubblici. Tra i fattori indagati, la divisione del carico di lavoro, di cura domestica e familiare tra uomo e donna, la gestione del tempo libero una volta conclusa l’attività professionale; una valutazione individuale del soggetto intervistato in merito alle attività svolte e all’esperienza dello smart working in generale alla luce dell’emergenza Covid-19. Il gruppo di ricerca è stato coordinato da Sveva Avveduto e composto da Marco Cellini, Maria Cristina Antonucci, Cristiana Crescimbene, Ilaria Di Tullio, Daniela Luzi, Lucio Pisacane, Fabrizio Pecoraro e Roberta Ruggieri.

Pro e contro dello smart working per i dipendenti degli enti di ricerca
L’aspetto comune emerso dallo studio è che alla maggior parte dei dipendenti piace la soluzione dello smart working. Secondo i dati forniti, i principali fattori positivi dello smart working indicati dagli intervistati sono il risparmio di tempo negli spostamenti verso il posto di lavoro (per il 67% delle donne e il 66% degli uomini) e la flessibilità nella gestione dell’orario di lavoro (secondo il 49% delle donne e dal 51% degli uomini). Tra gli aspetti negativi, al primo posto c’è la perdita di socialità con i colleghi. Secondo Sveva Avveduto, coordinatrice del gruppo di ricerca, “la mancata socializzazione è un elemento rilevante non solo per garantire collaborazioni efficaci nei gruppi di lavoro, ma anche per assicurare quella serendipità, ovvero la capacità di giungere a scoperte per puro caso grazie alla condivisione di tempi e spazi di lavoro in comune, che è uno dei cardini della ricerca scientifica. Una maggiore integrazione tra lavoro da casa e lavoro in sede, considerato migliorabile dal 45% delle donne e dal 51% degli uomini, potrebbe costituire la risposta a questo tema”.

Intervista alla coordinatrice del gruppo di ricerca che ha realizzato l’Indagine sullo Smart Working e questioni di genere negli enti di ricerca italiani durante l’emergenza Covid-19

Dottoressa Avveduto, quel è la differenza del modo di affrontare l’ambiente di lavoro e la vita quotidiana prima e dopo lo smart working nel vostro contesto lavorativo, specialmente per le donne?
L’ambiente di lavoro della ricerca chiede spesso consistenti sforzi alle donne per mantenere un elevato livello di competitività (in termini di innovazione nei progetti, di continuità nelle pubblicazioni scientifiche e di costruzione di efficaci gruppi di lavoro) con i colleghi uomini su scala nazionale e internazionale, e per garantire, al tempo stesso una efficace conciliazione tra tempo dedicato alla professione e alla vita personale. In questo ambito professionale, lo smart working non ha avuto effetti sul quadro della competizione nell’ambito della ricerca scientifica, ma ha consentito, per alcune modalità, una differente conciliazione tra il tempo di vita e il tempo da dedicare al lavoro per le donne che svolgono una carriera scientifica.

Pronti a continuare con lo smart working dunque?
Nonostante le difficoltà della condizione emergenziale dello smart working nella pandemia, la rilevazione del Cnr ha evidenziato che il 54% dei rispondenti al questionario (personale di ricerca degli Enti pubblici) si dichiara, sicuramente o probabilmente, propenso a richiedere un prolungamento dello smart working anche in condizioni di normalità.

Dottoressa Avveduto, come organizzare lo smart working in una condizione di normalità?
Occorre individuare adeguati strumenti per la definizione e valutazione degli obiettivi professionali, prevedere nuovi diritti (come il diritto alla disconnessione) e valorizzare l’autonoma capacità di ricercatori e gruppi di ricerca di condurre e sviluppare le attività scientifiche. Si tratta di un passaggio fondamentale per migliorare l’esperienza dello smart working anche in relazione a quegli ambiti, come la conciliazione vita-lavoro, così importanti per le carriere scientifiche femminili.

Smart working e questioni di genere, il parere di una ricercatrice del gruppo
Interessante il parere di Maria Cristina Antonucci sul lockdown e lo smart working in un ambiente professionale di ricerca: “Il lockdown a mio avviso ha consentito un generale ripensamento sulle modalità – spesso dispendiose in termini di ambiente, tempo ed energia – con cui portavamo avanti le attività lavorative e personali. Bisognerà abituarsi a fare le medesime attività sfruttando meno e meglio le risorse disponibili. In questo, le capacità sinottiche, programmatorie e organizzative delle donne saranno sicuramente una risorsa per pensare a modi più sostenibili ed egualmente efficaci per lavorare e vivere nella società post-pandemica”.

Smart working e questioni di genere, focus sulle questioni di genere
La scienza è donna e se lo smart working bene organizzato e bene interpretato può agevolare la presenza femminile in ambito scientifico, ben venga. Dall’indagine emerge che sulle spalle delle donne, anche tra le dipendenti di enti di ricerca, pesa il carico di lavoro domestico come lo svolgimento delle pulizie (73%) e la cura dei figli (52%), mentre gli uomini si fanno carico di disbrigo di burocrazia (59%) e piccole riparazioni (56%). Un aspetto da prendere seriamente in considerazione qualora si voglia continuare l’esperienza di smart working oltre la fase emergenziale.

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