Lavoro Mestieri e professioni

Welfare aziendale durante e dopo la pandemia

Pubblicato l’instant report Censis-Eudaimon “Lavorare durante e dopo il Covid-19: perché è importante il welfare aziendale”

Il welfare aziendale in questo periodo ha un valore ancora maggiore rispetto al passato proprio perché il lavoro è cambiato per vari aspetti, tanto che la paura della seconda ondata di contagi e di un nuovo lockdown fa dichiarare a 8 italiani su 10 che dovrebbe esserci l’obbligo di indossare la mascherina ovunque pena una multa.

La nuova sfida del welfare aziendale
Lavorare insieme, nonostante le condizioni diversificate: ecco la nuova sfida per il welfare aziendale durante e dopo la pandemia. Per il 46,1% dei lavoratori (il 59,5% dei dirigenti, il 44,8% degli impiegati, il 45,7% degli operai) l’emergenza sanitaria ha complicato ulteriormente la vita familiare e ha differenziato profondamente le condizioni di lavoro nelle aziende. La sfida che il Covid-19 ha lanciato alle aziende è di riuscire a far cooperare persone con situazioni di lavoro e di vita personale diversissime tra loro. Il valore aumentato del welfare aziendale emergerà da questa sfida: garantire servizi adeguati a condizioni personali e lavorative molto diverse, intercettando i bisogni di ciascuno e fornendogli i servizi necessari. Riducendo così lo stress e le tensioni, e migliorando la qualità della vita di tutti.

Italiani impauriti ma pronti
Gli italiani sono impauriti ma pronti alla seconda ondata (l’84% si dichiara pronto alla nuova emergenza). Per il 66% è pronta la propria Regione, per il 55% il Governo, per il 63% dei lavoratori la propria azienda. L’83,7% degli italiani è pronto ad affrontare l’emergenza sanitaria e le restrizioni a cui da tempo si preparava. Questi sono i primi risultati dell’instant report Censis-Eudaimon “Lavorare durante e dopo il Covid-19: perché è importante il welfare aziendale”, realizzato dal Censis in collaborazione con Eudaimon (www.eudaimon.it), leader nei servizi per il welfare aziendale, con il contributo di Credem, Edison e Michelin.

L’effetto sorpresa non ci sarà più
Per il 66,1% la propria Regione è pronta (il dato aumenta all’83,2% nel Nord-Est e scende al 65,1% nel Sud e nelle isole, al 64,4% nel Centro, al 56,4% nel Nord-Ovest). Per il 55,1% il Governo è pronto (il 54,1% tra i giovani, il 62,8% tra gli anziani). E per il 63,1% dei lavoratori è pronta la propria azienda (il 70,9% tra i dirigenti, il 62,8% tra gli impiegati, il 68,5% tra gli operai). Paura sì, ma stavolta nessun “effetto sorpresa”: alla seconda ondata gli italiani si sono preparati psicologicamente e materialmente, anche dentro le aziende.

Viva la mascherina
Gli italiani d’accordo con l’obbligo della mascherina da indossare ovunque sono l’80% del totale (il dato sale all’86% tra le donne). Più favorevoli al Centro (85,6%) e al Sud (83,1%), meno al Nord-Ovest (78%) e al Nord-Est (71,6%). In particolare, tre lavoratori su quattro vogliono mascherine obbligatorie ovunque, anche in azienda, pena un’ammenda per i contravventori. Più favorevoli sono i dirigenti (84,2%) e i laureati (80,7%). O mascherina o multa anche sul lavoro? gli italiani dicono sì.

Lo stress lavorativo aumenta, non tutti sono smart worker
Ma l’effetto Covid si fa sentire pesantemente sui lavoratori privati che non possono permettersi lo smart working: più stress, più fatica, più complicato conciliare lavoro, famiglia e tempo libero. Non è così per gli smart worker. A causa dell’emergenza sanitaria il lavoro è cambiato per sempre: lo pensa quasi la metà degli occupati (il 45,9%), in particolare i millennial (57,3%) e gli operai (52%). Secondo il 44,3% sono aumentati la fatica e lo stress. L’autonomia negli impegni e negli orari di lavoro è rimasta però la stessa secondo la maggioranza (63,7%), mentre è peggiorata solo per il 18,2% (al contrario, è aumentata per il 18%). Ma per il 25,3% degli occupati adesso è più complicato conciliare lavoro, famiglia e tempo libero (per il 54,6% la conciliazione è rimasta complicata come prima, solo per il 20,1% è migliorata). Molto meglio lavorare da casa.

Felicemente in smart working?
Il 24,4% degli occupati ha sperimentato forme di lavoro da remoto: il 34,8% tra i dirigenti, il 27,2% tra gli impiegati, solo l’11,3% tra gli operai. La conciliazione di lavoro, vita familiare e tempo libero è migliorata molto di più per gli smart worker che per i lavoratori costretti alla presenza fisica: il 41,6% dei primi contro solo il 13,1% dei secondi. In particolare, per il 44% di chi lavora a distanza è migliorata la gestione dei figli: una percentuale che crolla al 15,1% tra chi non lavora da remoto. Rispetto al periodo pre-Covid, per il 24% degli smart worker è migliorato in generale il proprio lavoro, ma la pensa così solo il 7,6% di chi non lavora da remoto. D’altro canto tutto dipende dal tipo di lavoro: in molti casi non è assolutamente possibile lavorare da remoto e anche per gli smart worker non è detto che fili tutto così liscio come si crede. L’indagine quantitativa va dunque integrata con una qualitativa – ci permettiamo di osservare – poiché la situazione è piuttosto complessa. Dunque di certo sarebbe meglio un welfare aziendale che permetta di avere servizi utili lavorando in sede, come ad esempio un asilo nido aziendale.

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