Quella delle Marche rischia di non essere una regione per donne: è il monito lanciato dalla CGIL regionale. Intervista a Daniela Barbaresi, Segretaria regionale CGIL Marche
“C’è ancora tanto da fare per superare le diseguaglianze di genere e perché il vero valore delle donne sul lavoro venga effettivamente riconosciuto” afferma la CGIL Marche. “Ma se tutti fanno la loro parte, si può migliorare”.
La disoccupazione femminile è al 10,7%, la percentuale più alta di tutte le regioni del Centro. Sono 33 mila in cerca di lavoro, il 12,6% in più rispetto allo stesso periodo di un anno fa. Dati allarmanti in Italia, ma anche nelle Marche. La nostra regione rischia di non essere a misura di donna? Specialmente se la donna vuole lavorare nonostante una famiglia da accudire?
Lo abbiamo chiesto a Daniela Barbaresi, Segretaria regionale CGIL Marche. Ecco cosa ci ha risposto.
“Le donne, anche nella nostra regione, continuano a fare i conti con un lavoro che non c’è, o è un lavoro instabile, precario o comunque di bassa qualità che si accetta per mancanza di alternative. Lavori con orari sempre più ridotti, anche a poche ore la settimana, con part time troppo spesso involontari che rendono parziali anche paghe e diritti.
“Donne che si misurano con vecchie e nuove diseguaglianze. Nonostante siano passati oltre quarant’anni dalla legge 903/77 sulla parità tra uomini e donne sul lavoro le diseguaglianze di genere sono ancora troppo pesanti: nei livelli di inquadramento, nei percorsi di avanzamento di carriera e soprattutto nelle retribuzioni: le lavoratrici marchigiane, oltre ad avere retribuzioni piuttosto inferiori alla media nazionale (1.983 euro lordi annui in meno), percepiscono in media 7.111 euro lordi annui meno degli uomini. Le retribuzioni medie lorde annue dei lavoratori dipendenti privati ammontano a 22.156 euro, a fronte dei 15.045 euro delle lavoratrici: quest’ultime, dunque percepiscono il 32,1% in meno dei loro colleghi maschi.
“Naturalmente queste differenze sono condizionate anche dal maggior utilizzo per le lavoratrici del part time, spesso involontario e sempre più dilagante, piuttosto che dei contratti a termine, cosi come una maggior presenza di donne nei lavori e settori più poveri. Tuttavia, l’incidenza di contratti precari o a tempo parziale giustifica solo in parte il divario retributivo tra maschi e femmine, basti osservare il fatto che le lavoratrici con contratto a tempo pieno e indeterminato percepiscono 4.890 euro lordi annui in meno dei loro colleghi maschi, pari a -17,1%.
“Osservando le qualifiche professionali, emergono notevoli differenze: la retribuzione media delle operaie è di 6.865 euro lordi anni in meno rispetto a quelle degli operai (-37,7%), quella delle impiegate è di 10.912 euro (-36,4%), quella delle lavoratrici con qualifica di quadro sono di 9.931 euro in meno (-15,8%, fino ad arrivare a una differenza di 28.863 euro lordi annui per le dirigenti (-22,0%).
“C’è ancora tanto da fare per superare le diseguaglianze di genere e perché il vero valore delle donne sul lavoro venga effettivamente riconosciuto. Per questo è necessario che la contrattazione, da quella nazionale e decentrata, sociale e territoriale, ponga al centro le reali condizioni di vita e di lavoro, l’organizzazione del lavoro, il riconoscimento di competenze e professionalità, la retribuzione e la necessaria ricomposizione del lavoro sempre più discontinuo e parziale.”
La battaglia per il potere alle donne va di pari passo con la battaglia per la sopravvivenza del pianeta”. Questo è quanto ha affermato in una intervista la nota giornalista televisiva Lilli Gruber. Ma chi porta avanti questa battaglia?
“Tutte le battaglie per l’emancipazione, i diritti, la libertà delle donne sono state battaglie che hanno garantito più libertà e più diritti per tutti. Oggi è necessario portare avanti due battaglie: quella per la sostenibilità ambientale e quella per la sostenibilità sociale, ovvero per costruire una società più giusta, solidale, accogliente che tenga insieme i bisogni dei singoli con quelli dell’intera comunità.
Battaglie che possono essere vinte solo se vedono il protagonismo più ampio possibile, dai giovani ai meno giovani. Ragazze e ragazzi, donne e uomini.”
La vita migliorerebbe per tutti se si adottassero modalità femminili nella gestione del tempo e del potere. Se le donne fossero supportate a lavorare e a non dover scegliere tar lavoro e famiglia, anche il Pil ne guadagnerebbe e il mondo del lavoro sarebbe più equilibrato. Cosa c’è ancora da fare, dal punto di vista istituzionale?
“Per creare un Paese e una regione a misura di donne occorre lavorare su tre fronti. Oltre al lavoro retribuito, c’è un lavoro non retribuito di cui si fanno carico soprattutto le donne, ovvero il lavoro di cura di bambini, genitori anziani o familiari non autosufficienti. E ogni anno tante, troppe lavoratrici madri lasciano il lavoro alla nascita di un figlio: lo scorso anno nelle Marche sono state 866; dunque ogni 12 bambini che nascono c’è almeno una lavoratrice che lascia un lavoro stabile, spesso costretta a una scelta obbligata per le difficoltà che incontra sul lavoro o per la mancanza di una rete adeguata di servizi accessibili e sostenibili economicamente. Ad esse si sommano le tante lavoratrici precarie per le quali un figlio significa spesso non veder rinnovato il contratto di lavoro. Dunque, la seconda priorità è quella di garantire un adeguato sistema di welfare che risponda ai crescenti bisogni di cura. Ma è necessario lavorare anche sul piano culturale per affermare il valore della condivisione delle responsabilità familiari tra uomini e donne senza il quale saranno sempre le donne a farsi carico del lavoro di cura.”
C’è speranza di miglioramento nelle Marche?
“Sì, ma solo se tutti fanno la propria parte: istituzioni, imprese, forze sociali, lavoratrici e lavoratori, donne e uomini.”