Imprenditoria Made in Italy

Quando il cibo è un’impresa

ALIMENTAZIONE - quando il cibo è un'impresa

Cambiamenti socio-culturali, cambiamenti di linguaggio, cambiamenti nel marketing e nell’alimentazione. Oggi fare impresa nel comparto del Food & beverage è diventato… una vera impresa, così come lo è per i consumatori fare una scelta consapevole

Affermare il Made in Italy inizia a essere complicato, da ogni punto di vista. L’internazionalizzazione o meglio la globalizzazione è arrivata a un punto tale da confondere le idee un po’ su tutto e le imprese italiane del Food & Beverage devono combattere contro imitazioni e contraffazione ma devono anche affrontare una concorrenza sul campo identitario, sociologico e culturale. Questo perché ormai il marketing e la pubblicità viaggiano su binari che oltrepassano ogni barriera stilistica o identitaria e gli operatori di settore devono farsi capire dai consumatori italiani allo stesso modo di quelli esteri. Cosa non facile, dal momento che il linguaggio parlato è ancora attaccato alle tradizioni locali rispetto a quello delle immagini che invece si è internazionalizzato con cifre stilistiche lontane dalle nostre abitudini. Ecco allora che si tenta di avvicinare sempre più i due linguaggi creando però un attrito che a volte lascia attoniti anche solo nel leggere un menu presentato da un ristoratore: cosa sarà mai un letto di passata di mais con protuberanze del terreno del verde italiano? Sarà la nostra classica polenta ai funghi. E quando ci invitano a un’apericena cosa dobbiamo aspettarci? Ovviamente del finger food. Che altro non sarebbe che “spezzettatura” o “minutaglia” di cibo (ovvero qualche pizzetta e tramezzino). E se ci offrono un light lunch? Mettiamoci subito in allarme perché non sarà light (leggero) nemmeno per sogno, dal momento che ci arriveranno prodotti surgelati, scongelati, glassati nello zucchero per essere conservati e poi strafritti in grasso non meglio definito. E per quanto concerne il brunch? Nei Paesi anglosassoni, dov’è nata la definizione, è la colazione lenta della domenica, così lunga per le tante portate da comprendere anche il pranzo. Da noi è tutto l’opposto: un buffet veloce da consumare scomodamente in piedi. Diffidate anche delle “delizie del nostro orto” poiché spesso non sono altro che l’impiattamento di un’insalata mista in busta di plastica comprata al volo al supermercato.

Alberto Castelvecchi - LUISSA lanciare l’allarme sul modo di usare il linguaggio che descrive il cibo è Alberto Castelvecchi, fondatore della Castelvecchi edizioni, linguista e formatore di comunicazione all’Università Luiss (Luiss Business School) di Roma. “Siate sospettosi verso il linguaggio poco chiaro usato per il cibo e attenti alle ‘spettacolarizzazioni’ delle offerte sul menu” avverte. E ci invita anche a diffidare di quelle che definisce forme di contraffazione di massa. Bisogna ad esempio fare attenzione ai tanti ristoranti giapponesi che vanno così di voga in questi ultimi tempi nelle grandi città. Un caso per tutti: a Roma i ristoranti “fake” giapponesi nascono come funghi e vi basta passeggiare un po’ per la capitale all’ora di cena per incontrare code di persone lungo i marciapiedi in attesa che si liberi un tavolo per assaggiare il loro sushi o il loro pesce crudo senza sapere che in realtà in cucina ci sono al lavoro solo cinesi. In tutta Roma infatti esistono solo 4 ristoranti giapponesi, tutti gli altri sono in mano all’imprenditoria cinese che ha tutta un’altra tradizione rispetto al cibo (Cina e Giappone sono culturalmente, tradizionalmente e socialmente lontani anni luce).
Non fa male ricordarsi che non è detto che tutto ciò che è crudo sia per forza buono e genuino, anzi: c’è da fare tanta – ma tanta – attenzione all’igiene perché il cibo crudo può essere oltremodo pericoloso. Attenti anche alla formula fusion “Sushi e pizza” che non può voler dire altro che si mangia cibo surgelato e scongelato, o alla formula “All you can eat” che alla fine significa “spendo 10 euro e mangio come se non ci fosse un domani”, ricordando che se si spende poco si ha anche scarsa qualità. E a proposito di questo bisogna considerare una questione importante, che ormai è purtroppo ben nota anche all’OMS (Organizzazione mondiale della Sanità) e alla FAO nonché a qualsiasi medico e studioso: oggi sono le persone più povere a essere obese, proprio perché non hanno una cultura alimentare e vengono fuorviati da queste “sollecitazioni psico-culinarie”.

Un futuro di obesi per malnutrizione

Mario Lubetkin - FAOMario Lubetkin, Vicedirettore generale della FAO, spiega che la preoccupazione generale non è solo “quale sarà il futuro dei nostri figli?” ma è soprattutto “come arrivarci?” perché se è ormai indubbio che i nuovi sistemi alimentari debbano essere equi e sostenibili, di basso impatto ambientale, con un ruolo molto più attivo nella produzione da parte di giovani, donne e indigeni, è anche vero che i numeri continuano a essere molto preoccupanti. Parliamo infatti di 820 milioni di persone che a oggi soffrono ancora la fame. Ma in modo differente rispetto al passato e a come i governi ancora pensano: sono molte oggi le zone di guerra ed è per questa causa che le popolazioni di tali territori soffrono la fame: in un Paese devastato dalla guerra è ovvio che non ci sia produzione e reperimento di generi alimentari come nei periodi di pace. Invece nei luoghi dove c’è pace e c’è povertà e ignoranza il problema di oggi è quello della malnutrizione, ovvero si mangia male. Il tema della malnutrizione è collegato a quello della fame perché sono proprio i poveri a nutrirsi male non sapendo quale sia la giusta alimentazione e basta loro cercare di riempirsi a basso costo. Cosa che fa male, malissimo e rappresenta il nuovo problema di oggi, che i Governi ancora stentano a comprendere: alla fame consegue la malnutrizione alla quale consegue l’obesità. Paradossalmente, l’obesità è collegata alla fame, cioè alla povertà.

I bambini italiani: i più obesi d’Europa

Il problema odierno dei Paesi poveri è l’obesità e l’Italia, dove i poveri ormai rappresentano il 15% della popolazione, non è da meno. Inoltre, le famiglie sono molto confuse proprio dalla pubblicità, dal marketing, dai nuovi linguaggi e gli acquirenti di cibo sono consumatori inconsapevoli con un’alimentazione sbilanciata. Prendiamo ad esempio la refezione nelle scuole: si tratta di pasti studiati, perfettamente bilanciati e commisurati alle necessità alimentari in base all’età. Viene applicata una dieta ponderata per la salute dei bambini, seguendo le indicazioni dell’OMS, del Ministero della Salute e delle ASL, in base a studi condotti da medici nutrizionisti esperti ma purtroppo si ha a che fare troppo spesso con le lamentele dei genitori che esordiscono con “a mio figlio non piacciono le verdure” o “mio figlio vuole mangiare più pasta, gliene date troppo poca” o “a mio figlio piacciono le merendine” o perfino con “il pasto glielo porto io e mangia quello che ho a casa”. Tutte affermazioni che partono da un’ignoranza di fondo. Non fa bene infatti ai bambini mangiare alla “come pensa mamma”, a meno che la mamma non sia una nutrizionista preparata, nel qual caso sarebbe concorde con il pasto bilanciato in base ai valori della dieta mediterranea (in assoluto la migliore al mondo) che viene offerto a scuola.

I bambini obesi a causa dell’ignoranza genitoriale e delle “sovrastimolazioni” del marketing del cibo e della collegata pubblicità sono purtroppo sempre di più, tanto che in Italia ormai c’è un allarme sanitario sull’obesità infantile (1 bambino su 3 è sovrappeso o obeso, i bambini italiani sono i più grassi d’Europa). Si tratta però di un cambiamento culturale che ci riporta all’allarme di apertura. Nel nostro Paese, patria della dieta mediterranea, in realtà lo stile di vita mediterraneo lo attua solo il 43% della popolazione, con tutti i gravi danni alla salute che sono collegati a questo cambiamento dovuto alla soppressione dei valori identitari della nostra cultura culinaria. E purtroppo i poveri sono proprio coloro che mangiano tanto e male, seguendo il linguaggio infiocchettato appositamente per vendere dagli esperti di marketing aziendale, i quali sanno bene che l’ansia da cibo è collegata alla psiche: è un indicatore sociologico importante in quanto nasconde l’ansia dovuta ai problemi di denaro. Dunque, per semplificare il concetto: si desidera mangiare tanto quando si hanno pochi soldi.

La dieta mediterranea diventa stile di vita mediterraneo

La dieta mediterranea aggiornata per via degli stili di vita che si sono modificati (in peggio) si è voluta rinominare “stile di vita mediterraneo”, in quanto mette alla base della piramide (ex) alimentare altri fattori che fanno bene alla nostra salute e che vanno uniti alla dieta. Si parla quindi di moto e sport, di convivialità, di riposo. Al secondo step c’è l’assunzione di liquidi e poi, al terzo (che un tempo era il primo per l’alimentazione vera e propria), quella di frutta e ortaggi, di cereali, di olio, tutti prodotti di cui l’Italia è ricchissima e di qualità eccelsa.

Piramide dieta mediterranea

L’olio di oliva, alimento mediterraneo di base per la salute umana

L’olio è un fattore importante e basilare per la salute, basti pensare ai suoi effetti sulla curva glicemica: se condiamo un piatto di pasta, alimento glicemico per eccellenza, con solo pomodoro, vedremo che dopo 60/90 minuti ci sarà un altissimo picco glicemico; se invece aggiungiamo al pomodoro dell’olio extra vergine di oliva, questo picco glicemico non ci sarà affatto. Consideriamo che il picco glicemico è alla base di tutti i processi infiammatori interni e che è pericolosissimo per chi è diabetico (altra malattia in forte aumento in Italia). L’olio extra vergine di oliva tra l’altro previene le malattie intestinali, come il morbo di Crohn o il tumore al colon. Vediamo bene dunque come fare una merenda a base di pane e olio come si faceva in passato è molto più salutare rispetto a farla con una ipercalorica merendina glassata, supercioccolatosa e burrosa.

Anna Cane - ASSITOLAnna Cane, presidente Gruppo Olio d’oliva Assitol (associazione italiana dell’industria olearia) sottolinea anche il fatto che in Italia esistono circa 500 varietà di olive da cui si ricavano olii con profili organolettici diversi. Dunque anche in termini sensoriali un pane (anche di questo ne esistono ben 500 tipologie) e olio può avere infiniti accostamenti di gusto. Rispettando anche la biodiversità (il principale parametro ambientale) oltre che il giusto numero di calorie per una merenda (150 Kcal). Ovviamente l’abbinamento pane e olio serve anche ad evitare il picco glicemico del pane (altro alimento glicemico come la pasta) ed è quindi ottimo anche per i milioni di diabetici italiani.
L’olio fa bene alla salute anche perché ha un ridotto contenuto di grassi saturi: i suoi sono acidi grassi monoinsaturi, in particolare l’acido oleico, che la ricerca reputa “grasso buono” per eccellenza in quanto aiuta a mantenere il colesterolo sotto controllo a tutto beneficio di cuore e sistema cardiovascolare. Inoltre nell’olio ci sono i polifenoli, sostanze antiossidanti che gli danno il colore e il sapore. E i suoi grassi “sani” aiutano nell’assorbimento delle vitamine A, E, D e K. Ovviamente non bisogna eccedere nel suo consumo, poiché è energetico e dunque consumarne troppo senza fare sufficiente moto ci farebbe aumentare di peso.
Il consumatore deve fare attenzione sia alla qualità dell’olio di oliva all’origine sia alla sua conservazione a casa. L’olio va infatti conservato in modo simile al vino o in brevissimo tempo si deteriora: deve stare al fresco, lontano dalla luce, senza ossigeno (quindi chiudete sempre la bottiglia dopo averlo versato).

Essere imprenditori del comparto alimentare. Una sempre più difficile impresa.

Fare impresa oggi in campo alimentare diviene difficile perché bisogna adeguarsi alla complessità del mercato, alle battaglie del marketing internazionale, alla concorrenza dei marchi esteri, alle leggi europee, ma bisogna anche rispettare l’ambiente, il lavoro dei dipendenti, la salute dei consumatori e controbattere agli attacchi che arrivano da ambiti sociali diversi. In Europa in questi giorni ci sono marce di agricoltori e allevatori che sfilano per un motivo fino a pochi anni fa impensabile: manifestano per il proprio diritto a non essere chiamati assassini, maltrattatori di animali o avvelenatori.
Giovanna Parmigiani, componente della giunta nazionale di Confagricoltura con delega all’ambiente e al territorio, è un’agricoltrice e allevatrice di suini a Piacenza. È lei a spiegarci quanto sia ormai divenuto difficile lavorare in questo settore. I cambiamenti climatici influenzano molto il lavoro agricolo e negli ultimi due anni c’è stato uno scarto di 1 grado e mezzo nelle temperature sia minime sia massime che ha causato un calo delle precipitazioni piovose di 11 millimetri con manifestazioni molto diverse rispetto al passato: piogge improvvise e torrenziali in periodi anomali. Considerando che ogni cambiamento di temperatura di 1°C causa danni elevatissimi poiché corrisponde a un calo di resa (ad esempio quella del grano cala del 7% e quella della soia del 6%) l’agricoltura italiana perde milioni di euro ogni anno. Sempre a causa dei cambiamenti climatici in questi anni c’è stata un’invasione di insetti alieni, ovvero provenienti da terre lontane ma che ormai trovano un habitat adatto anche qui. Parliamo di Xylella come di cimice asiatica per fare due esempi.

Oggi agli agricoltori e agli allevatori italiani viene richiesto di mantenere i prezzi bassi, seguendo tutte le regole di tutela dell’ambiente e dei lavoratori (con il costo del lavoro tra i più alti al mondo) e garantendo al contempo prodotti di altissima qualità. Così eccoli alle prese con l’agricoltura di precisione per evitare di sprecare acqua o concime, e con processi innovativi molto costosi, con sistemi di agricoltura integrata o biologica altrettanto costosi e, a fronte di aumenti di costi e abbassamenti di ricavi, anche con le campagne denigratorie da parte di blogger e stampa scandalistica che li accusa di orrendi misfatti, il più delle volte esagerati ad hoc per fare scoop sensazionalistici. Bisogna saper distinguere dunque fra la stragrande maggioranza degli agricoltori e degli allevatori che seguono rispettosamente le regole e quei pochi che invece le infrangono e prosperano nell’illegalità. Come dice l’antico proverbio contadino: non si può fare di tutta l’erba un fascio.

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